La Carità rende liberi-Martedì della II settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari) – Sant’Antonio, abate
Martedì della II settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari) – Sant’Antonio, abate
Dalla lettera agli Ebrei Eb 6,10-20
La speranza che ci è proposta è come un’àncora sicura e salda.
Fratelli, Dio non è ingiusto tanto da dimenticare il vostro lavoro e la carità che avete dimostrato verso il suo nome, con i servizi che avete reso e che tuttora rendete ai santi. Desideriamo soltanto che ciascuno di voi dimostri il medesimo zelo perché la sua speranza abbia compimento sino alla fine, perché non diventiate pigri, ma piuttosto imitatori di coloro che, con la fede e la costanza, divengono eredi delle promesse.
Quando infatti Dio fece la promessa ad Abramo, non potendo giurare per uno superiore a sé, giurò per se stesso dicendo: «Ti benedirò con ogni benedizione e renderò molto numerosa la tua discendenza». Così Abramo, con la sua costanza, ottenne ciò che gli era stato promesso. Gli uomini infatti giurano per qualcuno maggiore di loro, e per loro il giuramento è una garanzia che pone fine a ogni controversia.
Perciò Dio, volendo mostrare più chiaramente agli eredi della promessa l’irrevocabilità della sua decisione, intervenne con un giuramento, affinché, grazie a due atti irrevocabili, nei quali è impossibile che Dio mentisca, noi, che abbiamo cercato rifugio in lui, abbiamo un forte incoraggiamento ad afferrarci saldamente alla speranza che ci è proposta. In essa infatti abbiamo come un’àncora sicura e salda per la nostra vita: essa entra fino al di là del velo del santuario, dove Gesù è entrato come precursore per noi, divenuto sommo sacerdote per sempre secondo l’ordine di Melchìsedek.
Gesù è l’ancora della speranza e il precursore della nostra salvezza
Perseverare nella fede non è facile perché bisogna fare i conti con la stanchezza e il dubbio che il bene compiuto sia inutile. Questo dilemma emerge soprattutto durante le persecuzioni nelle quali sembra che Dio sia assente o indifferente. L’autore della Lettera agli Ebrei esorta ad imitare la perseveranza di Abramo al quale Dio aveva fatto la promessa di dargli una discendenza numerosa come la sabbia del mare. In realtà, quella promessa si è realizzata non solo in Isacco ma soprattutto in Gesù Cristo e nella Chiesa, che è il suo corpo. Infatti, siamo discendenza di Abramo se lo imitiamo nella fede e siamo figli nel Figlio di Dio nella misura in cui ci aggrappiamo a Lui soprattutto nelle difficoltà. Cristo, sommo sacerdote della nuova alleanza, è la nostra speranza che è come un’ancora gettata nel profondo del cielo. Gesù è il nostro precursore che ha aperto nel deserto della sofferenza e della morte la via che conduce al cielo. Anche se a volte non ne abbiamo contezza, è aperta davanti a noi la via della salvezza che possiamo percorrere lasciandoci guidare dalla Parola di Dio.
+ Dal Vangelo secondo Marco Mc 2,23-28
Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato!
In quel tempo, di sabato Gesù passava fra campi di grano e i suoi discepoli, mentre camminavano, si misero a cogliere le spighe.
I farisei gli dicevano: «Guarda! Perché fanno in giorno di sabato quello che non è lecito?». Ed egli rispose loro: «Non avete mai letto quello che fece Davide quando si trovò nel bisogno e lui e i suoi compagni ebbero fame? Sotto il sommo sacerdote Abiatàr, entrò nella casa di Dio e mangiò i pani dell’offerta, che non è lecito mangiare se non ai sacerdoti, e ne diede anche ai suoi compagni!».
E diceva loro: «Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato! Perciò il Figlio dell’uomo è signore anche del sabato».
La Carità rende liberi
Il precetto del sabato riveste un ruolo centrale nella fede ebraica. Letteralmente il termine ebraico shabbat, tradotto con sabato, significa fermarsi e allude al fatto che Dio nel giorno finale della creazione si ferma dal lavorare. Da qui anche il significato del riposo. Celebrare il sabato significa imitare Dio. Come lui si è fermato dal creare, così l’uomo si astiene dal lavorare. In tal modo il sabato diventa il giorno della festa nella quale si gusta il valore della libertà e della fraternità. Il lavoro, vissuto nella solitudine e spesso nella competizione, trova il suo approdo nella festa, esperienza di condivisione e di comunione. La legge, nell’imporre il divieto di lavorare in giorno di sabato, intende educare a proteggere il senso più profondo del sabato che risiede nel riposo inteso come relazione di amore e cura reciproca. La celebrazione del sabato diventa profezia del banchetto festoso che Dio prepara per gli uomini in cui essi gusteranno le prelibatezze del suo amore. È appunto questo il significato dei dodici pani dell’offerta che venivano posti sulla mensa del tempio e che solo i sacerdoti potevano mangiare una volta che venivano cambiati il sabato. I sacerdoti rappresentavano il popolo d’Israele nell’atto di presentare al Signore i pani, frutto della terra e del lavoro dell’uomo, e di mangiarli alla sua presenza per indicare il fatto di riceverli dalla mano di Dio. Il rito corre il rischio di non essere più significativo quando si stacca dalla vita e la legge riduce la fede a pratiche formali che hanno la pretesa, quasi magica, di piegare Dio a sé stessi. L’episodio biblico richiamato da Gesù mostra che la norma non ha il primato assoluto ma è subordinata al bisogno vitale dell’uomo. Davanti all’uomo bisognoso cedono tutte le barriere legislative. Se di trasgressione si deve parlare essa si rivolge contro la rigidità della legge che crea divisione piuttosto che comunione e solidarietà, come invece dovrebbe essere. Nell’ Eucaristia presentiamo a Dio il pane dell’offerta dal sapore della terra e della fatica del nostro lavoro per ricevere da Lui il pane che sazia la fame dell’uomo, non solamente di cibo ma soprattutto d’amore. La salvezza, anelito di ogni uomo che cerca la pace, è l’approdo ultimo della vita ed essa consiste nel passaggio dalla sola soddisfazione del proprio bisogno all’oblazione totale di sé all’Altro. In definitiva, la Legge è data non per sé stessa o come forma di auto salvezza, ma per educare l’uomo vivere pienamente l’esperienza della relazione che va dall’accogliere l’aiuto di Dio con gratitudine ad essere eucaristia per l’altro.
Signore Gesù, il tuo nome è Carità e in Te si compendia tutta la Legge, aiutaci a liberarci dalla presunzione di salvarci da soli mediante le nostre opere ma insegnaci a disobbedire alla paura superando tutti gli ostacoli che essa genera nel nostro cuore. Fa che possiamo sempre confidare nella provvidente misericordia del Padre presentando a Lui ogni nostra fatica e chiedendo il dono dello Spirito Santo. Guardando alla nostra umiltà saziaci di beni spirituali per condividerli con gioia insieme agli altri fratelli nella fede. Fa di noi sacerdoti della Carità che rende liberi.