Amare con-tatto – Lunedì della V settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)
Lunedì della V settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)
1Re 8,1-7.9-13 Sal 131
+ Dal Vangelo secondo Marco (Mc 6,53-56)
Quanti lo toccavano venivano salvati.
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli, compiuta la traversata fino a terra, giunsero a Gennèsaret e approdarono.
Scesi dalla barca, la gente subito lo riconobbe e, accorrendo da tutta quella regione, cominciarono a portargli sulle barelle i malati, dovunque udivano che egli si trovasse.
E là dove giungeva, in villaggi o città o campagne, deponevano i malati nelle piazze e lo supplicavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello; e quanti lo toccavano venivano salvati.
Amare con-tatto
Anche quella traversata del lago, dopo l’euforia per il fatto di aver sfamato una folla intera con pochi pani e qualche pesce, non è stata una passeggiata. I discepoli si sono misurati con le loro forze risultate impari davanti al vento che soffiava in senso contrario alla loro direzione di marcia vanificando gli sforzi compiuti per avanzare nel viaggio. Vedendo Gesù camminare sul mare, diretto verso di loro, non lo hanno riconosciuto scambiandolo per un fantasma, al punto di gridare più per la paura di lui che per la difficoltà causata dal vento.
I discepoli, a cui è affidata la conduzione della barca della Chiesa, devono fare i conti con la loro durezza di cuore. Essi non hanno ancora maturato la necessaria docibilità, cioè la convinzione del dover sempre imparare, non solo da Gesù, ma anche dagli altri. Scesi dalla barca ricevono una lezione importantissima. La gente riconosce Gesù e gli va incontro, lo segue dovunque egli vada per presentargli i malati. La Chiesa si fa carico dei sofferenti per accompagnarli a Gesù. Non è forse questa la missione dei discepoli che non hanno la soluzione in tasca ma si fanno compagni di viaggio verso la speranza?
L’altro insegnamento viene dall’espresso desiderio dei malati di entrare in contatto con Gesù senza la presunzione di afferrarlo. Essi lo attendono nelle piazze insieme con gli altri per dire che la volontà dell’incontro non rimane nel segreto del cuore ma spinge a tradurla in esperienza condivisa con la comunità. Il cuore dei discepoli è duro perché essi si sforzano principalmente di capire con la mente invece di lasciarsi toccare il cuore dagli eventi miracolosi compiuti da Gesù. Una fede vissuta solamente a livello cerebrale, escludendo i sensi e gli affetti, si sclerotizza. La fede nasce e cresce per contatto fisico, concreto, personale. Toccare Gesù significa unirsi a lui pur sapendo di essere indegni, vuol dire condividere con lui il male che ci fa soffrire. La preghiera è stare cuore a cuore con Dio, attraverso Gesù. È la preghiera che ci salva perché chi prega impara a cercare e a trovare chi si ama.
Signore Gesù, rendi più semplice la mia fede, meno complicata dagli sforzi di voler credere con la testa prima che con il cuore. La fede dei semplici mi aiuti a convincermi che imparare non significa necessariamente capire, ma lasciarsi toccare il cuore dalla tua parola e dai tuoi gesti d’amore. Anche io ti supplico come i malati di poterti toccare e gustare la bellezza di condividere con te gioie e preoccupazioni, speranze e paure senza lasciarmi scoraggiare se l’attesa si fa lunga. Non tornerò indietro, ma rimarrò sulla piazza, nella comunità, insieme con i fratelli e le sorelle, compagni di viaggio nella sofferenza e nella speranza, certo che il desiderio di vita nuova non andrà deluso.