La Carità rende liberi – Martedì della II settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)
Martedì della II settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)
1Sam 16,1-13 Sal 88
+ Dal Vangelo secondo Marco Mc 2,23-28
Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato!
In quel tempo, di sabato Gesù passava fra campi di grano e i suoi discepoli, mentre camminavano, si misero a cogliere le spighe.
I farisei gli dicevano: «Guarda! Perché fanno in giorno di sabato quello che non è lecito?». Ed egli rispose loro: «Non avete mai letto quello che fece Davide quando si trovò nel bisogno e lui e i suoi compagni ebbero fame? Sotto il sommo sacerdote Abiatàr, entrò nella casa di Dio e mangiò i pani dell’offerta, che non è lecito mangiare se non ai sacerdoti, e ne diede anche ai suoi compagni!».
E diceva loro: «Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato! Perciò il Figlio dell’uomo è signore anche del sabato».
La Carità rende liberi
Il precetto del sabato riveste un ruolo centrale nella fede ebraica. Letteralmente il termine ebraico shabbat, tradotto con sabato, significa fermarsi e allude al fatto che Dio nel giorno finale della creazione si ferma dal lavorare. Da qui anche il significato del riposo. Celebrare il sabato significa imitare Dio. Come lui si è fermato dal creare, così l’uomo si astiene dal lavorare. In tal modo il sabato diventa il giorno della festa nella quale si gusta il valore della libertà e della fraternità. Il lavoro, vissuto nella solitudine e spesso nella competizione, trova il suo approdo nella festa, esperienza di condivisione e di comunione. La legge, nell’imporre il divieto di lavorare in giorno di sabato, intende educare a proteggere il senso più profondo del sabato che risiede nel riposo inteso come relazione di amore e cura reciproca. La celebrazione del sabato diventa profezia del banchetto festoso che Dio prepara per gli uomini in cui essi gusteranno le prelibatezze del suo amore. È appunto questo il significato dei dodici pani dell’offerta che venivano posti sulla mensa del tempio e che solo i sacerdoti potevano mangiare una volta che venivano cambiati il sabato. I sacerdoti rappresentavano il popolo d’Israele nell’atto di presentare al Signore i pani, frutto della terra e del lavoro dell’uomo, e di mangiarli alla sua presenza per indicare il fatto di riceverli dalla mano di Dio. Il rito corre il rischio di non essere più significativo quando si stacca dalla vita e la legge riduce la fede a pratiche formali che hanno la pretesa, quasi magica, di piegare Dio a sé stessi. L’episodio biblico richiamato da Gesù mostra che la norma non ha il primato assoluto ma è subordinata al bisogno vitale dell’uomo. Davanti all’uomo bisognoso cedono tutte le barriere legislative. Se di trasgressione si deve parlare essa si rivolge contro la rigidità della legge che crea divisione piuttosto che comunione e solidarietà, come invece dovrebbe essere. Nell’ Eucaristia presentiamo a Dio il pane dell’offerta dal sapore della terra e della fatica del nostro lavoro per ricevere da Lui il pane che sazia la fame dell’uomo, non solamente di cibo ma soprattutto d’amore. La salvezza, anelito di ogni uomo che cerca la pace, è l’approdo ultimo della vita ed essa consiste nel passaggio dalla sola soddisfazione del proprio bisogno all’oblazione totale di sé all’Altro. In definitiva, la Legge è data non per sé stessa o come forma di auto salvezza, ma per educare l’uomo vivere pienamente l’esperienza della relazione che va dall’accogliere l’aiuto di Dio con gratitudine ad essere eucaristia per l’altro.
Signore Gesù, il tuo nome è Carità e in Te si compendia tutta la Legge, aiutaci a liberarci dalla presunzione di salvarci da soli mediante le nostre opere ma insegnaci a disobbedire alla paura superando tutti gli ostacoli che essa genera nel nostro cuore. Fa che possiamo sempre confidare nella provvidente misericordia del Padre presentando a Lui ogni nostra fatica e chiedendo il dono dello Spirito Santo. Guardando alla nostra umiltà saziaci di beni spirituali per condividerli con gioia insieme agli altri fratelli nella fede. Fa di noi sacerdoti della Carità che rende liberi.