La santità cammina sulle due gambe del servizio a Dio e all’uomo – Mercoledì della XXVIII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)
Mercoledì della XXVIII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)
Gal 5,18-25 Sal 1
+ Dal Vangelo secondo Luca Lc 11,42-46
Guai a voi, farisei; guai a voi dottori della legge.
In quel tempo, il Signore disse: «Guai a voi, farisei, che pagate la decima sulla menta, sulla ruta e su tutte le erbe, e lasciate da parte la giustizia e l’amore di Dio. Queste invece erano le cose da fare, senza trascurare quelle. Guai a voi, farisei, che amate i primi posti nelle sinagoghe e i saluti sulle piazze. Guai a voi, perché siete come quei sepolcri che non si vedono e la gente vi passa sopra senza saperlo».
Intervenne uno dei dottori della Legge e gli disse: «Maestro, dicendo questo, tu offendi anche noi». Egli rispose: «Guai anche a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!».
La santità cammina sulle due gambe del servizio a Dio e all’uomo
Con un linguaggio molto duro, Gesù richiama l’ordine giusto della realtà: prima l’uomo e poi la norma. Infatti, se ami ha senso la fedeltà con cui assolvi i precetti della legge; al contrario, senza misericordia la presunta giustizia sarebbe solamente uno sterile formalismo e un inutile esercizio di autoreferenzialità. Non c’è veramente fede se non si pratica la fraternità e non c’è vera carità senza che essa costruisca una rete di solidarietà tra le persone. Per chi si ferma all’apparenza è facile confondere le buone maniere con la nobiltà d’animo. Certo, il rispetto delle persone passa anche attraverso gesti di buona educazione, ma la cortesia non è sufficiente per affermare la pratica della giustizia. Le parole di Gesù devono indurci a fare un esame di coscienza per poter discernere tra la voglia di ostentazione e di affermazione personale e il testimoniare la propria fede che rende autentica l’obbedienza a Dio se è concreta la cura necessaria verso i poveri. Se la parola di Dio ci ferisce e ne sentiamo dolore vuol dire che sta toccando il nervo scoperto del nostro orgoglio. Se reagiamo con permalosità vuol dire che opponiamo resistenza all’azione della grazia. La conversione, a cui la Parola di Dio vuole condurci, consiste nell’uscire dal cerchio magico nel quale è imprigionato il nostro io, per andare incontro al tu dell’altro, per ascoltarlo cogliendone i suoi bisogni e insieme seguire Cristo che è la via, la verità e la vita.
Signore Gesù, guida sicura nel cammino della vita, parli con franchezza e correggi come fa un padre con i figli che ama. Tu, da pedagogo sapiente quale sei, non fai preferenze e non hai riguardo di alcuno ma sei attento a tutti e ti prendi cura particolarmente dei fratelli più piccoli e indifesi. Il tuo sguardo acuto e pieno di tenerezza converta il mio cuore affinché non spacci ipocritamente per tua volontà ciò che è ambizione personale. Piega la rigidità del mio temperamento che mi induce ad essere inflessibile con gli altri e indulgente con me stesso o con chi mi è amico. Donami lo spirito di vera contrizione perché il dolore del mio peccato si muti in supplica di perdono.