CREDENTI SI DIVENTA … ATTRAVERSO LE CRISI – XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)
XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)
Gb 38,1.8-11; Sal 106; 2Cor 5,14-17
+ Dal Vangelo secondo Marco Mc 4,35-41
Chi è costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?
In quel giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui.
Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?».
Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».
E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».
Lectio divina
Nel racconto evangelico di Marco si contano tre traversate del lago di Tiberiade la prima delle quali avviene dopo l’insegnamento di Gesù che racconta tre parabole. I protagonisti sono sempre Gesù con i suoi discepoli e la crisi è un elemento constante presente in tutte e tre le traversate. Il passaggio all’«altra riva» avviene tra il discorso in parabole, di cui il sonno di Gesù sembra riprendere l’immagine del seminatore che attende lo sviluppo del seme affidato alla terra, e l’incontro con l’indemoniato e la sua liberazione che invece pare sia un’eco della manifestazione di autorità esercitata sulle acque agitate del mare e sul vento impetuoso. Lo sfondo letterario del brano potrebbe essere riconosciuto in testi come il Sal 107.
È giunta la sera e sta per terminare una giornata. Ci si trova davanti ad un passaggio di tempo, da un giorno ad un altro, e di luogo, così come il seme dalla mano del seminatore passa nelle profondità del terreno. Gesù invita a passare all’altra riva. Il fluire del tempo non può essere determinato dall’uomo ma Gesù sembra voler offrire un contenuto al transito da una giornata all’altra e uno stimolo al passaggio dall’ascolto della Parola alla vita. Da ciò che accadrà nella traversata il lettore comprende anche il suo valore educativo. L’altra riva è quella orientale abitata da una popolazione a maggioranza pagana. Prima di compiere la traversata bisogna congedare la folla numerosa che aveva ascoltato l’insegnamento di Gesù e salire sulla barca. Il Maestro aveva insegnato da una barca che gli era stata messa a disposizione, ma quando bisogna partire i discepoli lo accolgono nella loro. Gesù avrebbe potuto salire su altre barche e invece sceglie di essere preso su quella dei suoi discepoli. Essi lo prendono sulla barca «così com’era», dice l’evangelista. Questo inciso è stato interpretato in vari modi. Potremmo comprendere questo dettaglio come il segnale di una certa fiducia che i discepoli nutrono per Gesù. È come dire che non gli fecero troppe domande in seguito all’invito a passare all’altra riva pur sapendo di andare incontro alla notte.
Durante la traversata la situazione si complica a causa di una tempesta di vento che alza le onde riversandole nella barca al punto che in breve tempo essa è colma d’acqua. Alla concitazione dei discepoli in quei momenti fa da contro altare il sonno di Gesù che invece sta a poppa sul cuscino. I discepoli, in preda al panico e convinti di stare sul punto di morire, si accostano al Maestro recriminandogli la sua indifferenza nei loro confronti. La fiducia, nata dall’ascolto del suo insegnamento e dimostrata da essi nel prendere Gesù con loro, sembra infrangersi non solo a causa delle forze ostili che si stanno abbattendo su di loro, ma soprattutto per l’inoperosità di Gesù che dorme profondamente incurante di quello che sta accadendo. Quelli che sono sulla barca con Gesù lo appellano con il titolo di Maestro riconoscendo l’autorevolezza del suo insegnamento. In realtà i discepoli sono come il seme che, immerso nella terra, segretamente cresce di passaggio in passaggio. Ma questo gli uomini non lo comprendono subito perché il processo di crescita, che mai avviene senza dolore, li fa sentire soli e abbandonati. Una volta svegliato Gesù rivela che la sua parola è autorevole anche sulle forze ostili della natura, come lo era stato contro il demonio nella sinagoga di Cafarnao e lo sarà nella terra dei Gheraseni contro la legione di diavoli che posseggono un pover’uomo.
La poca fede rimproverata ai discepoli è anche la denuncia del fatto che in essi la Parola ascoltata necessita di essere ancora meglio assimilata affinché nelle crisi, come quella, i discepoli non devono lasciarsi vincere dalla paura. La fede è la spinta a mettere in pratica la parola di Dio e senza di essa la paura scoraggia nel praticarla e nel farla fruttificare. «Passiamo all’altra riva» non è solo una pia esortazione ma una chiara indicazione di direzione e senso da dare all’impegno personale e comunitario anche quando questo è contrastato da difficoltà che inducono a pensare di essersi ingannati o di essere stati presi in giro.
Non è vero che nulla è cambiato nei discepoli dopo quella esperienza perché dalla paura, causata dalla tempesta e che li ha portati a interrogare il Maestro con toni forti, come in precedenza avevano fatti i suoi primi oppositori, essi passano ad avere timore di Gesù e a porsi una domanda sulla sua identità. A ben vedere l’interrogativo finale diventa anche una verifica dei discepoli della propria capacità di obbedienza e in ultima analisi della fede che li abita. Se il vento e il mare obbediscono alla sua parola e addirittura i demoni non sono capaci di opporgli resistenza e cedono, come mai i discepoli hanno difficoltà a credergli? Calmata la tempesta sul mare e ritornata la bonaccia ora è il momento di riportare la calma dentro se stessi e nella barca, tra i gli stessi discepoli. Come fare?
Credenti si diventa … attraverso le crisi
Dal terreno in cui è immerso il seme si passa all’acqua del mare attraversata dalla piccola barca sulla quale c’è Gesù e i suoi discepoli. Il Maestro, in una sua parabola, aveva detto che il Regno di Dio è come un seme che, una volta sprofondato nella terra, diventa frutto attraverso passaggi graduali. Questa immagine comunica una serena pace propria dei ritmi della natura che si svolgono in gran parte nel silenzio. Lo stesso vale per il processo di sviluppo biologico del corpo, ma i dinamismi della vita umana sono più articolati. I passaggi più delicati non avvengono mai in maniera indolore e il racconto della tempesta sedata ne è un esempio. L’evangelista sembra dire che la vita spirituale, non meno importante di quella fisica, non si sviluppa e non cresce «spontaneamente», quasi che sia riducibile ad un fattore culturale ricevuto sin dalla nascita, dipendente dal luogo o dalla condizione in cui si vive e da cui si è condizionati. La fede, sebbene sia un dono gratuito, richiede di essere coltivata perché fruttifichi anche in condizioni precarie, come suggerisce l’immagine delle acque, e sfavorevoli, come indica l’esperienza della tempesta. La fede è un fatto personale, ma non strettamente individuale, la cui crescita chiama in causa le relazioni con gli altri e con il Signore, in maniera particolare. Dopo essere stati attorno al Maestro e averlo ascoltarlo, condividendo il pane della sua Parola, bisogna continuare a seguirlo anche quando invita a lasciare le sicurezze della terra ferma e imbarcarsi per passaggi avventurosi e verso orizzonti sempre più ampi. Gesù da una parte indica la pazienza dell’agricoltore e dall’altra propone ai discepoli di essere audaci come i naviganti. Pazienza e audacia devono contemperarsi affinché la prima non diventi tendenza ad accomodarsi nelle situazioni accontentandosi di «coltivare il proprio orticello» e la seconda non si trasformi in arrogante temerarietà che confonde la sete di potere con il regno di Dio e il servizio che lo caratterizza.
I discepoli recepiscono l’invito di Gesù e lo accolgono sulla barca «così come era», convinti che basti eseguire le indicazioni del Maestro per essere padroni della situazione. Ci saranno state altre tempeste che i pescatori hanno affrontato, ma quella sembra essere destinata a mettere la parola fine alla loro vita. Colui che li ha invitati a mettersi in cammino e che è salito con loro sulla barca, nel momento più critico c’è ma è come se non ci fosse, perché dorme. Tutto il peso della lotta per vincere le forze della natura che si sono scatenate contro la barca sembra ricadere sulle loro spalle. Lì essi sperimentano la loro impotenza e gridano a Gesù per svegliarlo recriminandogli la sua silenziosa indifferenza davanti al dramma. Nella solitudine misuriamo le nostre forze e le troviamo gravemente mancanti sia nel contrastare le forze ostili interiori che ci minacciano da dentro, sia anche nel realizzare i comandi di Dio. Il mare è simbolo del male con i suoi misteriosi e nascosti desideri di grandezza e con le sue manifestazioni di orgoglio violento e distruttivo. La tempesta è l’immagine del conflitto interiore che si scatena a causa dell’egoismo e dell’arroganza che ci abitano e che, per quanto ci sforziamo di tenere a bada, a volte ci sovrastano.
Nella prova l’atteggiamento di Gesù si contrappone a quello dei discepoli. Il primo dorme, lasciandosi vincere dalla stanchezza e cedendo «le armi» con fiduciosa obbedienza, i secondi si lasciano afferrare dalla paura e guidare dalla rabbia. Gli uomini vorrebbero «svegliare» Dio e riportarlo nella propria realtà perché intervenga. Gesù invece si «desta», ad indicare il passaggio dal sonno della morte all’autorità che mette un limite alla minaccia mortifera del male. Gesù sulla croce ha sperimentato il silenzio di Dio e ha provato il suo abbandono. In quel contesto di paura e di rabbia ha affidato il timone della sua barca al Padre, certo di essere salvato non dalla morte, ma attraverso di essa. La croce è l’altra riva a cui Gesù conduce, lì dove la sofferenza ci dà la misura della nostra umanità piccola come il seme ma al contempo la fede fa di questi limiti lo strumento per lasciarci amare da Dio e salvare. È Lui che mette un limite al male di cui siamo capaci e ci fa fruttificare nell’amore fino al dono totale della nostra vita.
Signore Gesù, Tu che hai sperimentato l’abisso della solitudine e le tenebre dell’abbandono, ascolta il grido della mia preghiera carica di paura e di rabbia. Aiutami a vivere le prove della vita come passaggi necessari attraverso i quali coltivare il seme della fede perché cresca fino a diventare frutto maturo e abbondante nella carità fraterna. Quando la preoccupazione diventa ansia che serra la gola e toglie il respiro, donami il tuo Spirito, perché non ceda alla tentazione che mi induce a cedere allo scoraggiamento e ad abbandonare la barca, la comunità dei miei fratelli, al suo destino. La tua Parola metta un limite alla forza dell’orgoglio e dell’ira che scatenano dentro di me reazioni violente e che portano con loro distruzione degli affetti e rovina delle relazioni. Trasforma la mia paura in timore e l’orgoglio in fiducia, muta il dubbio in speranza e il mio grido di aiuto in canto di lode, la mia preghiera di lamentazione in inno di ringraziamento.