Il comandamento dell’amore e l’elogio della “supportazione” – Venerdì della V settimana di Pasqua
Venerdì della V settimana di Pasqua
At 15,22-31 Sal 56
+ Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 15,12-17)
Il comandamento dell’amore e l’elogio della “supportazione” – Venerdì della V settimana di Pasqua
At 15,22-31 Sal 56
+ Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 15,12-17)
Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri.
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici.
Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».
Il comandamento dell’amore e l’elogio della “supportazione”
Spiegando il gesto della lavanda dei piedi Gesù dice ai suoi discepoli: «Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi» (Gv 13, 13-15). Con il gesto di lavare i piedi Gesù ha voluto comunicare che, pur essendo Signore e Maestro, non considera gli altri come servi ma egli stesso si fa servo. Così facendo riscatta il servizio dal pregiudizio che sia qualcosa di umiliante che mortifica la libertà personale. Al contrario, l’esempio che Gesù lascia indica che l’amore, tradotto nel linguaggio del servizio, nobilita chi lo compie. Chi serve gli altri per amore si rende veramente libero, non schiavo delle sue passioni, e signore di sé stesso.
Ci si domanda: se l’amore rende liberi, perché comandarlo? Non dovrebbe essere piuttosto oggetto di una esortazione che fa appello alla responsabilità di ciascuno? Si pensa, erroneamente, che l’amore, con tutto ciò che gli gira attorno, appartenga solo alla sfera dell’ideale, dei sentimenti, delle buone intenzioni, dei pii e santi desideri, che si perdono per strada nel groviglio degli eventi della vita reale. L’ amore è comandato perché la forza dell’imperativo spinge a passare dal piano ideale a quello reale, dal “sapere” al “fare”, dall’immaginare al realizzare. Dio per primo interpreta l’amore come un imperativo perché lo traduce in comando rivolto a sé stesso: «Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza» (Gen 1, 26). L’uomo, pensato e desiderato prima della creazione, è amato da Dio quando riceve la vita. L’amore di Dio si concretizza allorquando l’uomo è costituito “signore della terra” perché se ne prenda cura per farla fruttificare coltivandola. Dopo il comando dato a sé, sulla bocca di Dio fiorisce la prima parola rivolta all’uomo, che è insieme una benedizione e un comando, con la quale si delinea la sua vocazione: «Dio li benedisse e Dio disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra”» (Gn 1, 28).
«Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri». Anche questa parola di Gesù è una benedizione e un comando che disegna lo statuto del cristiano, abitante e costruttore del Regno di Dio. Sulla croce Gesù, il Figlio di Dio, si è fatto obbediente al Padre fino alla morte (Fil 2). Egli ha amato l’uomo facendosi suo servo perché egli potesse diventare libero. Dal trono della croce il Risorto impartisce lo stesso comando che lui stesso ha compiuto e grazie al quale ha vinto la morte e ha conquistato per sempre la vita. Quando l’amore diventa servizio genera la vita, per sé e per gli altri. Se l’amore rimane tra i principi astratti ma non trova riscontro nel servizio concreto, reso a Dio e ai fratelli, è vanità, come il vapore che presto svanisce.
L’amore fraterno è un comando perché dalla sua realizzazione dipende la vita e le relazioni tra le persone. Una persona è tale, ed è felice e completa, se vive relazioni nutrienti basate sull’intreccio e la reciprocità dell’amore che si fa servizio. La parola di Gesù dà senso e garanzia di eternità all’amore reciproco di cui quello sponsale ne è modello. In tal senso comprendiamo le parole, spesso travisate, che Paolo indirizza agli sposi: «Nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri». L’apostolo non elogia la sottomissione ma la “supportazione” reciproca, ma al contempo basata sul comune fondamento dell’amore obbediente a Cristo. In Gesù, crocifisso risorto, trova pieno compimento l’amore di Dio per l’umanità come uno sposo ama la sua sposa. Questo è il «mistero grande»! È l’amore di Dio per l’uomo, pensato, desiderato, progettato e finalmente realizzato nel sacrificio di Gesù sulla croce quando, facendosi servo, «Cristo ha amato la Chiesa e ha dato sé stesso per lei» (5,25). Così anche i discepoli di Cristo, se sono veramente tali, non possono prescindere dall’esempio vincolante del loro Signore e Maestro. Quello di Gesù, come le prime parole di Dio all’uomo, è un comando che diventa benedizione nel momento in cui viene messo in pratica. Non si tratta dunque di un dovere imposto dall’alto, ma di una esigenza vitale per l’uomo perché senza l’amore che si fa servizio reciproco e vicendevole promozione non c’è vita.
Auguro a tutti una serena giornata e vi benedico di cuore!