Novena dell’Immacolata 2024 – Beato chi spera nel Signore – La preghiera della donna pagana

Novena dell’Immacolata 2024 – Beato chi spera nel Signore – La preghiera della donna pagana

4 Dicembre 2024 0 Di Pasquale Giordano

VII Giorno – La preghiera della donna pagana

+ Dal Vangelo secondo Matteo Mt 15,21-28

Donna, grande è la tua fede!

In quel tempo, partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne. Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola.

Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele».

Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni».

Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.

La fede è grande tanto quanto la speranza di salvezza riposta in Dio

Il vangelo di domenica scorsa ci ha consegnato in un’icona densa di contenuto il dramma della fede messa alla prova. I discepoli non riescono a fronteggiare il problema del vento contrario che sospinge la loro barca alla riva opposta a quella verso cui si stanno dirigendo. Nella difficoltà, vedendo Gesù camminare sulle acque, sono sconvolti dalla paura perché lo prendono per un fantasma. La parola di Gesù, che si fa riconoscere, non basta per rassicurarli. Pietro vuole una prova e chiede di poter camminare sulle acque. Ricevuto il permesso, egli inizia a farlo ma, preso ancora dalla pura del vento contrario, inizia ad affondare. L’apostolo ha la forza di gridare aiuto e Gesù lo afferra mettendolo in salvo e rimproverandogli la poca fede. Quando finalmente tutti sono nuovamente sulla barca gli apostoli si prostrano confessando che Gesù è il Figlio di Dio.

Anche la pagina del vangelo di questa domenica, che presenta la figura di una donna Cananea abitante del territorio straniero della fenicia in cui Gesù si era ritirato, ci offre spunti di riflessione sulla fede che è messa alla prova, questa volta però dal silenzio di Dio. Come i discepoli nella barca contrastata dal vento, anche lei è in grande difficoltà perché sua figlia è tormentata da un demonio. Similmente a Pietro, anche la Cananea grida verso Gesù pregandolo di avere pietà di lei. Ma, al contrario di quello che accade all’apostolo, Gesù non tende la mano ma oppone il silenzio.

Gesù tira dritto per la sua strada seguito dai discepoli e dalla donna che gli grida dietro con insistenza. In questo clima di tensione s’inseriscono due dialoghi, il primo con i discepoli e il secondo con la donna, che infrangono finalmente il muro della incomunicabilità. Sia i discepoli che la donna si avvicinano a Gesù e lo supplicano invocando aiuto. I discepoli chiedono a Gesù di «mandar via» (lett.) la donna esaudendo la sua richiesta o di accondiscendere alla sua richiesta in modo da potersene liberare. Non sappiamo quali sentimenti albergano nel cuore dei discepoli sentendo le grida della donna. Certo è che essi non rimangono indifferenti. La indeterminatezza in cui ci lascia il racconto ci autorizza ad avanzare delle ipotesi partendo dalla nostra esperienza, quando ascoltiamo la preghiera o la richiesta di aiuto proveniente da persone che ci sono estranee. Tante sono le scene a cui assistiamo quotidianamente nelle quali donne, uomini, bambini e anziani gridano verso di noi chiedendo aiuto. Ci sentiamo quasi pressati ma anche interpellati oppure scomodati dal grido di aiuto che si eleva da più parti e soprattutto dai nostri confini. Sentiamo fastidio? Avvertiamo compassione? Alziamo le spalle invocando l’intervento delle autorità oppure, riconoscendo i nostri limiti, sollecitiamo l’aiuto misericordioso di Dio? In genere abbiamo difficoltà a prendere l’iniziativa e preferiamo fare appello ad istanze superiori perché è più comodo delegare e dire agli altri quello che dovrebbero fare piuttosto che domandarsi, dopo aver ascoltato, come intervenire in prima persona. Tuttavia, nelle parole dei discepoli è sottesa la domanda: perché non fai niente?

Replicando ai discepoli, Gesù parla delle pecore perdute della casa d’Israele e, successivamente, rivolgendo finalmente la parola alla donna, accenna ai figli, ai cagnolini e al pane dei figli. Il dire di Gesù è allusivo e il suo linguaggio più che dare risposte offre spunti per delle domande da rivolgere a sé stessi. I discepoli si riconoscono gregge di quel pastore che è venuto a radunare le pecore disperse? Anche noi sperimentiamo lo smarrimento davanti alle prove della vita. Le contrarietà ci destabilizzano e preferiamo allontanarci da Dio e chiuderci in una sorta d’isolamento volontario piuttosto che chiedere aiuto. Le crisi mettono in luce le fondamenta sulle quali basiamo le relazioni di fiducia. Quanto più siamo autoreferenziali tanto più le delusioni e i traumi, piccoli o grandi della vita, scavano dentro di noi fossati e anfratti nei quali ci rifugiamo. In questo deserto di solitudine, insoddisfazione e tristezza, vaghiamo alla ricerca di surrogati di felicità, esploriamo sentieri per trovare individui accondiscendenti che assecondino le nostre utopie, piuttosto che persone alle quali chiedere umilmente aiuto e con le quali farsi compagni di strada per ritornare a casa. Il nostro cammino di fede è guidato dalla voce del Pastore? Siamo più propensi a fare branco attorno a falsi pastori che ingenerano paura e diffidenze o a formare insieme con gli altri fratelli e sorelle nella fede l’unico gregge di Cristo?

Mentre riflettiamo ci raggiunge la donna che si prostra davanti a Gesù invocando il suo aiuto. Lei, essendo straniera, non è membro del popolo d’Israele al quale Dio aveva promesso il Messia. Finalmente Gesù rivolge la parola alla donna. Anche a lei parla della casa con immagini che evocano una famiglia seduta attorno alla mensa per condividere il pane. La nostra memoria va al luogo nel quale Gesù, dopo aver fatto sedere la folla, prende i pani e i pesci, li benedice e li dà ai discepoli perché tutti possano mangiare. Il pane rimasto non viene gettato, ma raccolto. Questa è la casa di preghiera per tutti i popoli, di cui parla Isaia nella prima lettura, e verso la quale Dio stesso, come il buon pastore, conduce e raduna. Nella casa di Dio, non ci sono solo i figli, quelli che seguono Gesù, si nutrono della sua parola e che comunque si smarriscono, ma ci sono anche i cagnolini che attendono le briciole che cadono dalla mano dei loro padroni. C’è un diverso grado di appartenenza a Dio e alla Chiesa, ma tutti amati nello stesso modo. Infatti, sembra replicare la Cananea, la mia sofferenza non è uguale a quella delle altre donne Israelite, non sono forse madre come lo è una donna del popolo eletto? Le parole della donna straniera riecheggiano nella preghiera che eleviamo dopo il Padre nostro quando diciamo: «Non guardare ai nostri peccati ma alla fede della tua Chiesa». La fede è grande quanto il desiderio e la speranza di essere salvati da Dio. Pietro nella poca fede dubita e affonda, la Cananea con la sua grande fede spera, perché, al contrario di Pietro, ella non è concentrata e centrata su di sé, ma è tutta protesa verso Dio come un cagnolino in attesa di ricevere le briciole dal suo padrone.

La donna, esempio per i discepoli di umiltà e coraggio, non si arrende davanti al silenzio ma sceglie di perseverare nella preghiera superando ogni ostacolo. La consapevolezza della sua piccolezza e indegnità non si trasforma in complesso d’inferiorità o di colpa disperato. La fede umile di questa donna straniera ci invita a riconoscere che la bontà misericordiosa di Dio non è un privilegio riservato a pochi eletti, ma è una promessa universale per la cui realizzazione i «figli» sono chiamati ad essere missionari facilitatori.

Noi, discepoli di Cristo, davanti al grido dei poveri, che non si differenziano per colore della pelle, fede che professano, censo, convincimenti politici, non possiamo limitarci ad essere portavoce o lamentatori seriali, delegando poi ad altri il lavoro. Partecipando alla mensa eucaristica, nella quale riceviamo il pane dei figli, non dobbiamo ritenerci beati perché siamo sazi e non ci manca nulla, ma abbassiamo il nostro sguardo anche verso i «cagnolini», cioè verso coloro che vivono una condizione di marginalità, a causa loro o per colpa altrui, ma che sono abitati dall’intima speranza che qualcuno accorgendosi di loro, dia da mangiare.

Troppo presi dai nostri bisogni non ci accorgiamo che essi appartengono anche a chi è nascosto agli occhi degli uomini, ma non a quelli di Dio. Da qui si rinnova l’invito missionario: «Date loro voi stessi da mangiare». La fede diventa grande non solo se è sostenuta dalla speranza in Dio ma anche se è alimentata dalla carità fraterna. Il silenzio di Dio è lo spazio nel quale Egli ci risponde attraverso la comunione fraterna.

Dal Discorso 77 di Sant’Agostino, Vescovo

«Questa donna cananea di cui il brano del Vangelo letto poc’anzi fa un grande elogio, ci offre un esempio d’umiltà e una condotta ispirata alla fede e ci mostra come innalzarci dall’umiltà fino al cielo. Essa però, com’è chiaro, non apparteneva al popolo d’Israele, al quale appartenevano i Patriarchi, i Profeti, i parenti di nostro Signore Gesù Cristo e la stessa Vergine Maria, madre di Cristo. Questa donna non era di questo popolo, ma era pagana. Il Signore infatti, come abbiamo sentito, s’era ritirato nella regione di Tiro e Sidone. La donna cananea era venuta di lì e con insistenza petulante implorava la grazia della guarigione per la figlia ch’era crudelmente straziata dal demonio. Tiro e Sidone erano città dei pagani e non del popolo d’Israele, anche se vicine a quel popolo. La cananea dunque, bramosa di ottenere la grazia, gridava e picchiava con forza alla porta, ma Cristo si mostrava indifferente verso di lei, non per rifiutarle la misericordia, ma per infiammarne il desiderio; e non solo perché fosse più ardente il suo desiderio, ma – come ho detto prima – fosse messa in risalto la sua umiltà. Gridava come se il Signore non la sentisse, mentre invece egli disponeva in silenzio ciò che aveva intenzione di fare. I discepoli pregarono per lei il Signore e dissero: Mandala a casa perché ci vien dietro e continua a gridare. Ma egli rispose: Io sono stato mandato solo alle pecore sperdute del popolo d’Israele…

Il Signore non era stato inviato se non alle pecore sperdute della casa d’Israele, ma poiché lo avrebbero servito e gli avrebbero ubbidito, dando ascolto alla predicazione, anche popoli ch’egli non conosceva, non passò sotto silenzio neppure quelli mentre si trovava lì. Poiché il medesimo Signore dice in un passo: Ho anche altre pecore che non sono in questo ovile. Anche quelle devo condurle dentro in modo che vi sia un unico gregge e un solo pastore.

Una di tali pecorelle era questa donna; per questo motivo non veniva trascurata ma la sua aspettativa veniva solo ritardata. Non sono stato inviato – dice Cristo – se non alle pecore sperdute della casa d’Israele. Ma quella insisteva gridando, continuava a pregare, a bussare, come se già avesse sentito dire: “Domanda e riceverai, cerca e troverai, bussa e la porta ti verrà aperta”. Insistette e bussò. Infatti anche il Signore disse: Domandate e riceverete, cercate e troverete, bussate alla porta e vi sarà aperta, ma egli prima aveva detto: Non date ai cani ciò ch’è santo e non gettate le vostre perle ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e, rivoltandosi contro di voi, vi sbranino; vale a dire: perché, dopo aver disdegnato le vostre perle, non vi siano anche molesti. Non gettate quindi loro ciò che disprezzano.

“E come faremo a distinguere – così possiamo immaginare che replicassero – quali sono i porci e quali i cani?”. La cosa appare evidente nella risposta data a quella donna. Poiché alle sue insistenze il Signore rispose così: “Non sta bene portar via il cibo ai figli e buttarlo ai cani. Tu sei un cane, sei una pagana, adori gl’idoli “. Ma che cos’è tanto abituale ai cani quanto leccare i sassi? Non è dunque giusto portar via il pane ai figli e buttarlo ai cani. Se dopo aver sentito queste parole quella se ne fosse andata via, si sarebbe avvicinata come un cane e come un cane si sarebbe allontanata, ma con il bussare, da cane che era divenne una persona umana. Poiché insistette nel chiedere e, con l’accettare quello che poteva sonare come un rimprovero offensivo, diede prova d’umiltà e ottenne misericordia. In effetti non si turbò né si adirò d’essere stata chiamata “cane” mentre chiedeva una grazia, domandava misericordia. “È vero, Signore; mi hai chiamata cane, sono davvero un cane, riconosco il mio nome; è la Verità che parla, ma non per questo devo essere esclusa dal ricevere una grazia. Sono proprio un cane, ma anche i cani mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni. Desidero una grazia piccola piccola, non voglio stare per forza a tavola, cerco solo delle briciole”.

Vedete come è messa in risalto l’umiltà. Il Signore l’aveva chiamata cane; essa non lo negò ma disse di esserlo. E poiché riconobbe d’essere un cane, subito il Signore le disse: “O donna, grande è la tua fede. Accada come tu vuoi. Tu ti sei riconosciuta un cane, io perciò ti riconosco ormai come una persona umana. O donna, grande è la tua fede; hai chiesto, hai cercato, hai bussato alla porta; ora ricevi, trova, ti sia aperta la porta”. Vedete, fratelli, come soprattutto l’umiltà è stata esaltata nei confronti di questa donna ch’era cananea, che cioè proveniva dal paganesimo ed era prefigurazione, cioè simbolo, della Chiesa. In realtà il popolo giudaico, per essere escluso dal Vangelo, s’era gonfiato di superbia per il fatto d’aver ricevuto la Legge, per il fatto che da esso erano discendenti i Patriarchi, erano usciti i Profeti, e Mosè, il servo di Dio, aveva compiuto nell’Egitto i grandi miracoli che abbiamo sentito ricordati nel salmo, aveva condotto il popolo attraverso il Mar Rosso mentre le acque si ritiravano, ricevette la Legge che diede allo stesso popolo. Il popolo giudaico aveva bene dei motivi per vantarsi ed esaltarsi, ma a causa della stessa superbia avvenne che non volle umiliarsi a Cristo, maestro d’umiltà, repressore dell’orgoglio, medico divino, il quale perciò, pur essendo Dio, si fece uomo affinché l’uomo si riconoscesse uomo. È una medicina molto efficace. Se questa medicina non cura la superbia, non so che cosa può curarla. È Dio e si fa uomo: mette da parte la divinità, cioè in qualche modo la depone, ossia nasconde la propria natura e appare la natura assunta. Si fa uomo pur essendo Dio, mentre invece l’uomo non si riconosce uomo, cioè non si riconosce mortale, fragile, peccatore, malato, in modo da ricercare il Medico almeno perché è malato; ma ciò ch’è più pericoloso, gli sembra d’esser sano.

Preghiamo

Dio di bontà infinita,

concedi ai tuoi fedeli,

per intercessione della beata Vergine Maria,

madre di misericordia,

di sperimentare sulla terra la tua clemenza,

e di contemplare la tua gloria nel cielo.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,

e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,per tutti i secoli dei secoli.