Novena dell’Immacolata 2024 – Beato chi spera nel Signore – La preghiera di Agar

Novena dell’Immacolata 2024 – Beato chi spera nel Signore – La preghiera di Agar

1 Dicembre 2024 0 Di Pasquale Giordano

La preghiera di Agar

Dal Libro della Genesi (21, 14-21)

14 Abramo si alzò di buon mattino, prese il pane e un otre d’acqua e li diede ad Agar, caricandoli sulle sue spalle; le consegnò il fanciullo e la mandò via. Ella se ne andò e si smarrì per il deserto di Betsabea. 15 Tutta l’acqua dell’otre era venuta a mancare. Allora depose il fanciullo sotto un cespuglio 16 e andò a sedersi di fronte, alla distanza di un tiro d’arco, perché diceva: “Non voglio veder morire il fanciullo!”. Sedutasi di fronte, alzò la voce e pianse.  17  Dio udì la voce del fanciullo e un angelo di Dio chiamò Agar dal cielo e le disse: “Che hai, Agar? Non temere, perché Dio ha udito la voce del fanciullo là dove si trova. 18 Àlzati, prendi il fanciullo e tienilo per mano, perché io ne farò una grande nazione”. 19 Dio le aprì gli occhi ed ella vide un pozzo d’acqua. Allora andò a riempire l’otre e diede da bere al fanciullo. 20 E Dio fu con il fanciullo, che crebbe e abitò nel deserto e divenne un tiratore d’arco.  21  Egli abitò nel deserto di Paran e sua madre gli prese una moglie della terra d’Egitto.

La preghiera è parte del processo di purificazione e fecondità nello Spirito

In occasione dello svezzamento di Isacco, all’età di tre anni presumibilmente, Abramo organizza un banchetto durante il quale avviene un incidente che sembra rovinare la festa. Sara vede Ismaele scherzare con Isacco. Ai suoi occhi non è una scena tranquilla come potrebbe apparire a chiunque altro perché il lei riemergono ferite non curate nel rapporto con Agar. La paura di Sara è che Ismaele, degno figlio di sua madre che, benché avesse obbedito ad un suo comando, poi le si era rivoltata contro non tenendola in nessun conto, avrebbe potuto anche lui insidiare il figlio e usurpare l’identità di Isacco prendendone il suo posto. Nello scherzare di Ismaele Sara vede un possibile pericolo che il riso, di cui Isacco è portatore, fosse rubato da Ismaele. Sara fa sua la menzogna detta da Abramo ad Abimelec. Ismaele e Isacco sono fratelli perché figli dello stesso padre ma non della stessa madre. Sara proietta in questo rapporto fraterno, nel quale Ismaele condivide il riso con il fratello Isacco, la conflittualità non sanata con Agar che è vista ancora come una concorrente. Da qui il diktat di Sara di allontanare la schiava e suo figlio. In questo caso Abramo non è indifferente e non assume un atteggiamento deresponsabilizzante. Reagisce interiormente prendendo le distanze dalla volontà di sua moglie.

In questa crisi in cui Abramo viene coinvolto nel conflitto interiore di Sara Dio interviene perché lo sguardo del patriarca non si fermi, come quello di Sara al pericolo, ma si lasci guidare dalla promessa di Dio che ha dichiarato Isacco destinatario della benedizione con la funzione di trasmetterla agli altri popoli, e ha riservato per Ismaele il dono di essere una grande nazione.

Abramo inconsapevolmente potrebbe essere vittima ancora una volta di Sara e rimanere sul piano del suo ragionamento anche se per opporsi a lei. In quel caso la difesa di Agar e Ismaele nasconderebbe la paura di perdere un figlio che considera suo anche perché è stato partorito per lui. Ma Dio gli chiede di non seguire il suo senso di giustizia ma di fidarsi di lui anche se quello che viene chiesto da Sara gli sembra una grande ingiustizia.

Abramo segue la voce di Dio e si riallinea alla decisione di Sara anche se non può parlarsi di obbedienza e accondiscendenza alla sua richiesta perché più che cacciare Abramo accompagna con premura Agar e Ismaele dando doro una scorta di acqua e di cibo. Abramo deve imparare a lasciar andare con quell’equipaggiamento che è nelle sue possibilità, affinché si compia quello che Dio ha promesso a Ismaele per Abramo. Perché la benedizione giunga e si concretizzi per Ismaele è necessario che Abramo li lasci andare. Il patriarca, fidandosi di Dio, vede il dramma con speranza e inconsciamente si prepara a lasciar andare anche Isacco. Abramo, prendendo una posizione contraria a quella di Sara, assume sempre più una sua personalità. Essa però non deve emergere in contrapposizione a quella di sua moglie ma in maniera complementaria. Tale complementarietà è garantita dalla parola di Dio che da una parte rassicura Abramo, dall’altra lo spinge ad assumere una personalità conforme alla promessa ricevuta sin dall’inizio, essere mediatore di benedizione per tutti.

Lasciando andare «il ragazzo» Abramo fa un passo avanti nella sua maturità affettiva perché dimostra di non considerarlo come un oggetto da possedere ma un figlio a cui dagli la possibilità di vivere permettendo alla parola di Dio di realizzarsi.

Immaginiamo questa madre e questo figlio, stremati dalla stanchezza e arsi dal caldo, in una solitudine che si fa sempre più profonda. Sembra la fine: Agar depone il figlio sotto un cespuglio, l’ultimo baluardo di riparo, per compiere l’ultimo gesto di tenerezza e maternità.

Ci viene alla mente, anni dopo, un’altra donna – anche lei in una situazione di pericolo – che avvolgerà il bambino in fasce e lo deporrà in una mangiatoia….

Anche Agar deve compiere la stessa strada di purificazione e maturità perdendosi nel deserto. Quando le risorse umane si esauriscono Agar decide di distaccarsi da suo figlio per non vederlo morire. Anche lei è in attesa della morte. Entrambi gridano, Agar contro in maniera disperata, Ismaele invece con fiducia verso Dio, il quale lo ascolta come dice anche il suo nome (Dio ascolta).

Agar sembra non poter esser ascoltata e non ascoltare e sfoga tutta la sua amarezza. Questa preghiera di Agar ci può apparire una “non preghiera”, non ci sono parole, è un pianto, un grido. È una preghiera povera ma vera.

La preghiera può esprimersi come un grido di dolore, un senso di impotenza, un alzare la voce e piangere, una richiesta di aiuto, ma anche un credere che qualcuno può raccogliere il tuo dolore.

La solitudine di Agar non è ignorata da Dio, al contrario, è ascoltata ed è abitata dal Dio della vita. È ancora nel deserto, senz’acqua, deve alzarsi a prendere per mano il figlio fidandosi oltre ogni apparenza e dando credito alla promessa di Dio: Agar è una donna che osa. Dio si rivolge ad Agar dicendole di non temere perché ha ascoltato il grido di Ismaele e vi risponde confermando quello che già era stato detto ad Abramo. Agar che gridava contro non voleva vedere la morte del figlio, ora Dio le fa vedere una sorgente segno che nella visione di Dio la meta non è la morte e non siamo abbandonati in essa, ma la morte genera la vita. Agar riceve da Dio nuovamente Ismaele perché ella lo prenda in braccia come un bambino, ma lo prenda per mano come un ragazzo grande che ha bisogno di essere accompagnato e sostenuto, non imboccato.

Agar è ascoltata da Dio e ascolta Dio, e questo Dio le apre gli occhi, le dona uno sguardo nuovo su ciò che la circonda e che c’era anche prima ma che non riusciva a vedere per il suo dolore e il dolore del figlio. Agar vede un pozzo nel deserto, un pozzo sempre presente: vede la vita dove prima c’era la morte, un nuovo inizio dove tutto sembrava finito e ritorna ad essere capace di far crescere il proprio futuro.

Dalla preghiera di Agar, la preghiera di cui è capace, impariamo anche per noi che solo in questa reciprocità di ascolto possiamo ricevere uno sguardo nuovo, una visione nuova sulla realtà, sulla nostra vita, proprio lì dove ci troviamo e così come siamo.

Dio non abbandona, abita il deserto e diventa capace di colmare misurato da un tiro d’arco…

Quante volte nella nostra vita abbiamo momenti di slancio che ci fanno sentire vicini a Dio e sentire Dio vicino e momenti in cui ci sentiamo invece smarriti di nuovo. Dio non smette di ascoltare le nostre preghiere e le nostre “non preghiere”. Non smette di desiderare per noi la possibilità di aprirci gli occhi, di donarci uno sguardo nuovo.

Dall’Enciclica di Benedetto XVI «Spe Salvi», n.32

Un primo essenziale luogo di apprendimento della speranza è la preghiera. Se non mi ascolta più nessuno, Dio mi ascolta ancora. Se non posso più parlare con nessuno, più nessuno invocare, a Dio posso sempre parlare. Se non c’è più nessuno che possa aiutarmi – dove si tratta di una necessità o di un’attesa che supera l’umana capacità di sperare – Egli può aiutarmi [25]. Se sono relegato in estrema solitudine…; ma l’orante non è mai totalmente solo. Da tredici anni di prigionia, di cui nove in isolamento, l’indimenticabile Cardinale Nguyen Van Thuan ci ha lasciato un prezioso libretto: Preghiere di speranza. Durante tredici anni di carcere, in una situazione di disperazione apparentemente totale, l’ascolto di Dio, il poter parlargli, divenne per lui una crescente forza di speranza, che dopo il suo rilascio gli consentì di diventare per gli uomini in tutto il mondo un testimone della speranza – di quella grande speranza che anche nelle notti della solitudine non tramonta.

PREGHIAMO

O Dio, che ci dai la gioia di venerare

la Vergine Maria, madre della santa speranza,

concedi a noi, con il suo aiuto,

di elevare fino alle realtà celesti

gli orizzonti della speranza,

perché impegnandoci all’edificazione della città terrena,

possiamo giungere alla gioia perfetta,

mèta del nostro pellegrinaggio nella fede.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,

e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.