Quando piangere è un esercizio di compassione – Giovedì della XXXIII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari) – Presentazione della Beata Vergine Maria
Giovedì della XXXIII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari) – Presentazione della Beata Vergine Maria
Ap 5,1-10 Sal 149
Nella gloriosa memoria della santissima Vergine Maria
concedi anche a noi, o Signore, per sua intercessione,
di partecipare alla pienezza della tua grazia.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.
Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo Ap 5,1-10
L’Agnello è stato immolato e ci ha riscattato con il suo sangue, noi uomini di ogni nazione.
Io, Giovanni, vidi nella mano destra di Colui che sedeva sul trono, un libro scritto sul lato interno e su quello esterno, sigillato con sette sigilli.
Vidi un angelo forte che proclamava a gran voce: «Chi è degno di aprire il libro e scioglierne i sigilli?». Ma nessuno né in cielo, né in terra, né sotto terra, era in grado di aprire il libro e di guardarlo. Io piangevo molto, perché non fu trovato nessuno degno di aprire il libro e di guardarlo. Uno degli anziani mi disse: «Non piangere; ha vinto il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di Davide, e aprirà il libro e i suoi sette sigilli».
Poi vidi, in mezzo al trono, circondato dai quattro esseri viventi e dagli anziani, un Agnello, in piedi, come immolato; aveva sette corna e sette occhi, i quali sono i sette spiriti di Dio mandati su tutta la terra.
Giunse e prese il libro dalla destra di Colui che sedeva sul trono. E quando l’ebbe preso, i quattro esseri viventi e i ventiquattro anziani si prostrarono davanti all’Agnello, avendo ciascuno una cetra e coppe d’oro colme di profumi, che sono le preghiere dei santi, e cantavano un canto nuovo:
«Tu sei degno di prendere il libro
e di aprirne i sigilli,
perché sei stato immolato
e hai riscattato per Dio, con il tuo sangue,
uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione,
e hai fatto di loro, per il nostro Dio,
un regno e sacerdoti,
e regneranno sopra la terra».
La liturgia riconosce e attua la salvezza di Dio
Nella sala del trono celeste, dopo che sono stati presentati i personaggi e si è ascoltato il loro canto corale, assistiamo a un evento simbolico. Al centro ora c’è un libro a forma di rotolo scritto sul lato interno e su quello esterno, sigillato con sette sigilli che contiene il piano di Dio, ovvero il suo progetto sulla storia dell’uomo, in risposta ai grandi interrogativi posti dall’umanità sofferente. Tre sono i personaggi che intervengono: il primo è l’angelo che pone il grande interrogativo: chi è capace di decifrare gli enigmi della storia? Chi è in grado di dipanare il groviglio delle nostre vicende? Nessuno riesce a spezzare i sigilli del mistero: né gli angeli («in cielo»), né gli uomini («sulla terra»), né i defunti («sotto terra»). Il secondo personaggio del dialogo, Giovanni, dà voce al
pianto di tutta l’umanità desiderosa di trovare un significato per tutto il suo vivere, soffrire, amare. Sono lacrime che non trovano consolazione nelle ideologie umane, nell’agire frenetico, nell’illusione dei sogni. La possibilità di senso e di salvezza non è nelle nostre mani ma in quelle di un essere trascendente. Ecco, allora, il terzo personaggio, uno dei ventiquattro vegliardi, che dà l’annuncio pasquale tutto ritmato su immagini biblico-messianiche. Agnello è Cristo. Infatti, Egli come l’agnello pasquale dell’Esodo, si è offerto in sacrificio per i nostri peccati. Nella figura dell’Agnello «ritto» c’è un’allusione precisa al Cristo risorto; ma non meno precisa è l’allusione alla passione e morte subita a cui rimanda il termine «immolato», riferito anch’esso all’Agnello. A Cristo, morto e risorto, viene attribuita una potenza attiva totale e senza limiti. E’ la sua energia
messianica. Gli occhi esprimono la pienezza dello Spirito che Cristo possiede in quanto risorto e che Egli invia, come energia sua, su tutta la terra. E lo Spirito, una volta inviato e donato, assume tutte quelle modalità concrete – come i “sette doni” – che lo caratterizzano. La presa di possesso del libro è un po’ come l’intronizzazione di Gesù nella sua missione di rivelatore del Padre e di Salvatore. E tutto l’universo riconosce che è degno di «prenderlo». La comunità liturgica cristiana, mentre celebra la domenica “giorno del Signore”, contempla al centro del mistero di Dio il Cristo risorto, Colui che ha vinto morendo e rivela e comunica a tutti la vita di Dio, cioè il suo Spirito.
Nel momento in cui l’Agnello «ha preso» il potere, esplode l’adorazione e si eleva il canto per glorificare il Risorto: la natura e la storia si prostrano davanti a Cristo coi simboli della preghiera. È una vera e propria liturgia cosmica a cui è invitata ad associarsi la Chiesa con la sua liturgia terrena. La redenzione non ha solo cancellato il nostro passato di peccato e di male, ma ci ha donato e ci dona un nuovo modo di essere, quello di sacerdoti e re. Il secondo coro è angelico, ha dimensioni immense, esalta a gran voce l’Agnello immolato. Proclamando il primato di Cristo si afferma il primato dell’uomo.
+ Dal Vangelo secondo Luca Lc 19,41-44
Se avessi compreso quello che porta alla pace!
In quel tempo, Gesù, quando fu vicino a Gerusalemme, alla vista della città pianse su di essa dicendo:
«Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi.
Per te verranno giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno di trincee, ti assedieranno e ti stringeranno da ogni parte; distruggeranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata».
Quando piangere è un esercizio di compassione
La vicenda del cieco di Gerico e di Zaccheo insegna che chi lo cerca con umiltà e lo accoglie con gioia viene salvato, rinasce a nuova vita. Al contrario, Gerusalemme, la città posta in alto sul monte Sion, riserva a Gesù un trattamento ingiusto. Ai suoi occhi appare chiaramente la sua altezzosa bellezza che però nasconde l’orgogliosa autoreferenzialità quasi a volersi difendere da Dio. Lo sguardo di Gesù è quello dello sposo che però non si compiace della bellezza della sua sposa, ma piange la sua malattia che l’ha deformata e l’ha sta portando alla morte. Gesù fa un lamento funebre. Gli occhi di Gerusalemme sono spenti come quelli di chi non è più cosciente. Nel pianto di Gesù è raccontato tutto il dolore dell’Amore non amato, dell’aiuto rifiutato, della pace combattuta, della giustizia umiliata. Gerusalemme diventa il simbolo di coloro che sono refrattari agli inviti del Signore a convertirsi e a lasciarsi guarire e continuano a nascondersi dietro la maschera del perbenismo e del culto esteriore a cui non corrisponde l’adorazione del cuore. Gerusalemme senza il Santo in mezzo a lei è non è più città santa ma maledetta, come un corpo senza anima diventa un cadavere che si corrompe.
Il lamento di Gesù è eco del pianto di Dio che, come una madre, non si dà pace per la perdita dei suoi figli. Le lacrime di Dio sono amare come la rabbia ma esse hanno la forza di scavare e liberare anche i cuori più induriti. L’amore di Dio scende su di noi come rugiada che ristora e similmente le lacrime sono versate per smuovere la nostra presunzione e ammorbidire le nostre grette rigidità. Picconiamo il nostro orgoglio perché non diventi la pietra tombale sulla speranza alla quale Dio ci chiama e raccogliamo lacrime di Dio perché esse scavino in noi canali di grazia.
Oggi, la visione del pianto di Gesù ci porti a stargli vicino e a consolarlo, come faremmo con una persona il cui dolore ci commuove perché ci coinvolge. Compatire il dolore di Dio ci aiuterà a sentire vero dolore per i nostri peccati, per le ferite che provocano le nostre parole e la superficialità con la quale capita di trattare quelli che ci stanno vicini. Usare tenerezza nei confronti di Gesù ci permetterà di superare il senso di fastidio o la rabbia che suscitano gli atteggiamenti degli altri.
Signore Gesù, nelle tue lacrime si riflette il mio peccato e riconosco quanto distante io sia dal tuo modo di amare ma anche quanto vicino è il tuo cuore al mio. Il tuo sguardo di compassione susciti in me la contrizione del cuore e il dolore del mio peccato. Aiutami a piangere per liberarmi, con le lacrime che consegno nelle tue mani, delle mie frustrazioni e dei sensi di colpa. Esse purifichino il mio sguardo da ogni forma di arrogante autoreferenzialità per accogliere, da povero, il dono della pace che mi offri. Le lacrime del tuo dolore, come un fiume in piena, abbattano le mie resistenze opposte con atteggiamenti ipocriti e di fede falsa. Donami la forza di sfuggire all’assedio della tentazione e l’umile confidenza di gettarmi nelle tue braccia di misericordia.