Operai del Vangelo seminati nei solchi della storia – Giovedì della XXVI settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

Operai del Vangelo seminati nei solchi della storia – Giovedì della XXVI settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

1 Ottobre 2024 0 Di Pasquale Giordano

Giovedì della XXVI settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

Gb 19,21-27   Sal 26

O Dio, che riveli la tua onnipotenza

soprattutto con la misericordia e il perdono,

continua a effondere su di noi la tua grazia,

perché, affrettandoci verso i beni da te promessi,

diventiamo partecipi della felicità eterna.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,

e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.

Dal libro di Giobbe Gb 19,21-27

Io so che il mio redentore è vivo!

Giobbe disse:

«Pietà, pietà di me, almeno voi, amici miei,

perché la mano di Dio mi ha percosso!

Perché vi accanite contro di me, come Dio,

e non siete mai sazi della mia carne?

Oh, se le mie parole si scrivessero,

se si fissassero in un libro,

fossero impresse con stilo di ferro e con piombo,

per sempre s’incidessero sulla roccia!

Io so che il mio redentore è vivo

e che, ultimo, si ergerà sulla polvere!

Dopo che questa mia pelle sarà strappata via,

senza la mia carne, vedrò Dio.

Io lo vedrò, io stesso,

i miei occhi lo contempleranno e non un altro».

La visione di Dio

Giobbe, uomo giusto e timorato di Dio, subisce molte prove sotto le quali rimane saldo nella fede. Eppure, essa appare più come una accettazione rassegnata degli eventi nei quali si manifesta una forza divina superiore alle sue capacità umane. Nonostante le sue opere giuste egli non scampa dai colpi inferti dalla sventura. Essi non intaccano solo il suo patrimonio ma il suo corpo e la sua identità. Ci sono domande drammatiche sepolte sotto la coltre di una giustizia fondamentalmente basata sulle proprie forze. Esse, come il magma di un vulcano che improvvisamente si sveglia, escono da un cuore che viene ferito dalle affermazioni teologiche dei suoi amici che lo invitano a riconoscere in sé stesso la colpa che lo ha condannato alla sofferenza mortale. Il dialogo teologico si trasforma in disputa che dal piano umano si sposta a quello divino. Giobbe passa da uno stato di passiva quiescenza ad una battaglia per difendere la sua rettitudine morale, fino a giungere a ingaggiare una lite con Dio chiamato in giudizio perché gli dia conto del suo comportamento nei suoi confronti. Giobbe cerca la giustizia secondo i suoi criteri. Dio lo educa a cercare la verità per scoprire che c’è un progetto di amore molto più grande delle aspettative mondane calibrate sulle capacità umane. La gloria mondana, prodotta dalle opere degli uomini, è fugace e provvisoria, mentre quella di Dio è solida ed eterna perché fondata sul suo ineffabile e fedele amore. La fede di Giobbe, un tempo basata sulle sue opere di giustizia, diventa umile obbedienza della Parola di Dio che gradualmente introduce nel grande mistero del suo amore. La vita non appare più come un enigma ma come un luminoso mistero, un progetto di vita, un cammino verso la pienezza della vita, la Casa di Dio, che attraversa la strada aperta in mezzo macerie delle false speranze e delle ingannevoli illusioni. Il cammino della santità comporta un graduale svuotamento del proprio io, l’impoverimento dell’avidità e il depotenziamento dell’orgoglio con la sua carica di aggressività affinché dall’io mortificato possa nascere il noi della vera fede e dell’amore che spinge a donarsi e perdonarsi gli uni gli altri. Credere in Dio vuole dire vivere in Lui e far vivere Lui in noi.

+ Dal Vangelo secondo Luca Lc 10,1-12

La vostra pace scenderà su di lui.

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.

Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.

In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.

Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città».

Operai del Vangelo seminati nei solchi della storia

Gesù invia in missione i discepoli, gli operai del Vangelo. La preghiera è necessaria per chiedere un numero maggiore di evangelizzatori che gettino il seme della Parola nel mondo in cui domina la legge dei lupi. Gli evangelizzatori non sono eroi solitari ma piccolo gregge chiamato ad abitare in mezzo a branchi di lupi. L’operaio e l’agnello sono immagini con le quali Gesù delinea l’identità del discepolo missionario. Egli non è detentore di nulla ma beneficiario di tutto e, come tale, va incontro agli altri con fiducia e speranza, forte solamente del mandato che ha ricevuto da Dio. Egli, che non cura il suo orticello e non ha altra guida se non il Buon Pastore, vive la sua missione non per difendere qualcosa o qualcuno, ma per costruire ponti di comunicazione e rete di comunione edificati e tessute con la pace e la mitezza. Gli operai del vangelo sono inviati nella messe con l’unico equipaggiamento loro consentito, la povertà. Si tratta della disposizione del cuore ad accogliere tutto come un dono. Se si fosse ingolfati di preoccupazioni materiali non ci sarebbe spazio per la pace che Dio dona. Essi non devono contare sulle proprie forze, ma sulla provvidenza di Dio che essi sperimentano nell’accoglienza che ricevono. Tutto è grazia, tutto riceviamo senza condizioni e tutto doniamo senza limiti. Ecco perché il primo dono che offrono i missionari del Vangelo è la pace. Essi sono nel mondo il segno dell’amore gratuito di Dio che viene donato prima di ogni altro gesto o parola. Entrare nella casa, senza scegliere la migliore o quella che offre migliore ospitalità, significa inserirsi nel tessuto familiare della gente e integrarsi nella trama delle relazioni per renderle più stabili e feconde. Dio si fa prossimo all’uomo nella concretezza della sua vita attraverso i suoi testimoni che, con discrezione e rispetto, annunciano il vangelo non prima di aver ascoltato e condiviso il vissuto delle persone.

Signore Gesù, divino operaio del Vangelo, donami la mitezza dell’agnello perché sia umile portatore della tua benedizione. Fa che non sia tentato di difendere con le stesse armi usate da chi offende, ma lo Spirito mi conforti nelle mortificazioni e m’incoraggi nelle tribolazioni causate dalle polemiche o dalle lotte di potere. Libera il mio cuore dalla paura e dall’orgoglio e fecondalo con la tua Parola perché, attingendone il seme a piene mani, possa piantarlo ovunque Tu mi seminerai nei solchi della storia. La tua volontà guidi le mie scelte di vita affinché essa si compia in me e attraverso di me e tutti possano conoscerti come «il Padrone della messe».