La misericordia di Dio è la misura della carità fraterna – Giovedì della XXIII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

La misericordia di Dio è la misura della carità fraterna – Giovedì della XXIII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

11 Settembre 2024 0 Di Pasquale Giordano

Giovedì della XXIII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

1Cor 8,1-7.11-13   Sal 138  

O Padre, che ci hai liberati dal peccato

e ci hai donato la dignità di figli adottivi,

guarda con benevolenza la tua famiglia,

perché a tutti i credenti in Cristo

sia data la vera libertà e l’eredità eterna.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,

e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.


Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi 1Cor 8,1-7.11-13

Ferendo la coscienza debole dei fratelli, voi peccate contro Cristo.

Fratelli, la conoscenza riempie di orgoglio, mentre l’amore edifica. Se qualcuno crede di conoscere qualcosa, non ha ancora imparato come bisogna conoscere. Chi invece ama Dio, è da lui conosciuto.

Riguardo dunque al mangiare le carni sacrificate agli idoli, noi sappiamo che non esiste al mondo alcun idolo e che non c’è alcun dio, se non uno solo. In realtà, anche se vi sono cosiddetti dèi sia nel cielo che sulla terra – e difatti ci sono molti dèi e molti signori –,

per noi c’è un solo Dio, il Padre,

dal quale tutto proviene e noi siamo per lui;

e un solo Signore, Gesù Cristo,

in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo grazie a lui.

Ma non tutti hanno la conoscenza; alcuni, fino ad ora abituati agli idoli, mangiano le carni come se fossero sacrificate agli idoli, e così la loro coscienza, debole com’è, resta contaminata.

Ed ecco, per la tua conoscenza, va in rovina il debole, un fratello per il quale Cristo è morto! Peccando così contro i fratelli e ferendo la loro coscienza debole, voi peccate contro Cristo. Per questo, se un cibo scandalizza il mio fratello, non mangerò mai più carne, per non dare scandalo al mio fratello.

L’intelligenza cognitiva, emotiva e spirituale

Nei capp. 8-10 Paolo affronta il problema degli idolotiti ovvero le carni degli animali sacrificati agli idoli e i cui avanzi, non utilizzati nei banchetti sacri, erano venduti al mercato (10,25) o consumati nei pressi del tempio (8,10). I cristiani di Corinto erano divisi a questo riguardo: si potevano mangiare senza venire a patti con l’idolatria? Paolo cita, correggerli, gli argomenti dei «forti» (vv. 1.4.8) e risponde con in Rm 14-15: il cristiano è libero, ma la carità esige da lui che rispetti le opinioni degli scrupolosi e che eviti di scandalizzarli.

Paolo intreccia la questione di coscienza con quella della sapienza. Si confrontano, scontrandosi, la sapienza del mondo e quella di Dio. L’una esclude l’altra, perché la sapienza del mondo gonfia di orgoglio e l’io tende ad occupare tutti i posti, escludendo gli altri e Dio, la sapienza divina, invece, edifica perché la sua forza risiede nell’amore-comunione. La sapienza del mondo si ferma ai fatti senza toccare l’anima della storia che sono le relazioni personali. È un dato della realtà che non esistono gli idoli, ma questa conoscenza può portare all’ateismo pratico quando il proprio io prende il posto di Dio e così, anche in contraddizione con la fede professata, si diventa egolatri. Paolo parla di una intelligenza cognitiva che va considerata insieme a quella emotiva e soprattutto a quella spirituale. Non sempre questi tre livelli dell’intelligenza progrediscono insieme e armonicamente. Il caso dei Corinti divisi tra i «forti», che hanno le idee chiare sugli idoli e le carni sacrificate nei templi pagani, e chi invece è debole perché scrupoloso. Dio ha in sé in sommo grado tutti e tre i livelli di intelligenza perché Lui è la verità, la gioia e l’amore. La fede rientra nell’ambito della intelligenza spirituale. Essa cresce quando all’accoglienza della verità rivelata da Gesù Cristo, per la quale crediamo in un solo Dio, associamo anche il dono del suo amore che ci dispone a non considerarci superiori agli altri fratelli ma loro servitori, proprio perché più piccoli. L’intelligenza cognitiva ed emotiva ci porta a riconoscere colui che è più grande e a sottometterci a lui, con l’amore, ovvero l’intelligenza spirituale che pure viene da Dio, riconosciamo Cristo anche nei deboli e davanti a loro rinunciamo a noi stessi per servirli e aiutarli. Chi non riconosce Cristo nei deboli in realtà sta confondendo Dio col proprio io cadendo in grosso peccato.

+ Dal Vangelo secondo Luca Lc 6,27-38

Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro.

E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi.

Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso.

Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».

La misericordia di Dio è la misura della carità fraterna

«A voi che mi ascoltate». Discepoli di Gesù sono coloro che lo ascoltano con lo spirito umile di chi sa di dover imparare non una lezione ma uno stile di vita dalla quale possa irradiarsi la bellezza propria di Dio. La santità di Dio non è la proiezione nel cielo dei sogni di gloria umana. Essa, invece, e l’anima del mondo che, se ne viene privata, si corrompe perché lasciata in balia di forze distruttive. Il male si alimenta con il pensiero giudicante e si diffonde con gesti e parole offensive. Il male deforma la realtà trasformando le persone in nemici, l’amore in odio, la benedizione in maledizione. C’è certamente una lotta che cristiano conduce, quella di sottrarsi alla logica commerciale che riduce le relazioni a scambio di favore, di disobbedire alla paura, di trasgredire le regole della vendetta e della ritorsione. Al contempo, il discepolo di Gesù impara ad ingaggiare la buona battaglia per la libertà, quella che sia apparenta con la responsabilità, che si coniuga con la gratuità, che si esprime con il linguaggio del rispetto, che coltiva la fraternità e cerca il dialogo con tutti. Gesù insegna ai suoi discepoli ad essere nel mondo l’anima che lo rende vivo, affluenti attraverso i quali la bontà di Dio raggiunge le rive più lontane dell’umanità e a fare del proprio bisogno di perdono la misura della misericordia donata ai fratelli.

Signore Gesù, tu non sei un simbolo né un ideale, ma sei Dio, fratello che si fa maestro, amico che si fa compagno e guida nella vita. Insegnami a prenderti in parola perché la salvezza che Tu offri non sia promessa utopistica ma storia vissuta. Aiutami a misurare i miei desideri in base alla tua volontà e ad alzare l’asticella del mio impegno nel mondo fino a raggiungere l’altezza della tua croce.