Dona a Dio la tua miseria e riceverai la Sua misericordia – Lunedì della XVIII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

Dona a Dio la tua miseria e riceverai la Sua misericordia – Lunedì della XVIII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

3 Agosto 2024 0 Di Pasquale Giordano

Lunedì della XVIII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

Ger 28,1-17   Sal 118 

Mostra la tua continua benevolenza, o Padre,

e assisti il tuo popolo,

che ti riconosce creatore e guida;

rinnova l’opera della tua creazione

e custodisci ciò che hai rinnovato.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,

e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.


Dal libro del profeta Geremìa Ger 28,1-17

Ananìa, il Signore non ti ha mandato e tu induci questo popolo a confidare nella menzogna.

In quell’anno, all’inizio del regno di Sedecìa, re di Giuda, nell’anno quarto, nel quinto mese, Ananìa, figlio di Azzur, il profeta di Gàbaon, mi riferì nel tempio del Signore sotto gli occhi dei sacerdoti e di tutto il popolo: «Così dice il Signore degli eserciti, Dio d’Israele: Io romperò il giogo del re di Babilonia! Entro due anni farò ritornare in questo luogo tutti gli arredi del tempio del Signore che Nabucodònosor, re di Babilonia, prese da questo luogo e portò in Babilonia. Farò ritornare in questo luogo – oracolo del Signore – Ieconìa, figlio di Ioiakìm, re di Giuda, con tutti i deportati di Giuda che andarono a Babilonia, poiché romperò il giogo del re di Babilonia».

Il profeta Geremìa rispose al profeta Ananìa, sotto gli occhi dei sacerdoti e di tutto il popolo, che stavano nel tempio del Signore. Il profeta Geremìa disse: «Così sia! Così faccia il Signore! Voglia il Signore realizzare le cose che hai profetizzato, facendo ritornare gli arredi nel tempio e da Babilonia tutti i deportati. Tuttavia ascolta ora la parola che sto per dire a te e a tutto il popolo. I profeti che furono prima di me e di te dai tempi antichissimi profetizzarono guerra, fame e peste contro molti paesi e regni potenti. Il profeta invece che profetizza la pace sarà riconosciuto come profeta mandato veramente dal Signore soltanto quando la sua parola si realizzerà».

Allora il profeta Ananìa strappò il giogo dal collo del profeta Geremìa, lo ruppe e disse a tutto il popolo: «Così dice il Signore: A questo modo io romperò il giogo di Nabucodònosor, re di Babilonia, entro due anni, sul collo di tutte le nazioni». Il profeta Geremìa se ne andò per la sua strada.

Dopo che il profeta Ananìa ebbe rotto il giogo che il profeta Geremìa portava sul collo, fu rivolta a Geremìa questa parola del Signore: «Va’ e riferisci ad Ananìa: Così dice il Signore: Tu hai rotto un giogo di legno, ma io, al suo posto, ne farò uno di ferro. Infatti, dice il Signore degli eserciti, Dio d’Israele: Pongo un giogo di ferro sul collo di tutte queste nazioni perché siano soggette a Nabucodònosor, re di Babilonia, e lo servano; persino le bestie selvatiche gli consegno».

Allora il profeta Geremìa disse al profeta Ananìa: «Ascolta, Ananìa! Il Signore non ti ha mandato e tu induci questo popolo a confidare nella menzogna; perciò dice il Signore: Ecco, ti faccio sparire dalla faccia della terra; quest’anno tu morirai, perché hai predicato la ribellione al Signore». In quello stesso anno, nel settimo mese, il profeta Ananìa morì.

Portare il giogo dell’obbedienza

Il tentativo di ribellione al re di Babilonia da parte del re di Giuda comporta l’intervento di Nabucodonor che assedia Gerusalemme, la invade, deporta il re e una parte degli abitanti e nomina Sedecia il quale pronuncia il suo giuramento di vassallaggio. Il monarca babilonese consolida il suo impero ma i re vassalli, soprattutto quelli più periferici dell’impero, sfruttano i momenti di debolezza per liberarsi dal giogo. Non mancavano anche in Giuda gente che attizzava il malcontento, lo spirito di ribellione e le vane speranze del popolo. Tra i più strenui assertori della ribellione per l’agognata autonomia erano i profeti funzionari che Geremia cerca di smascherare. L’uomo di Dio predica l’accettazione del vassallaggio politico come unico mezzo di sopravvivenza. Quella era l’ora di Nabucodonosor, il quale a sua volta, suo malgrado, era servo e vassallo di Dio. Geremia affermava che il servizio del Signore passava in quel momento storico attraverso la sottomissione a re di Babilonia. Il messaggio del profeta era quello di accettare anche la situazione ingiusta non con un atteggiamento rassegnato ma di speranza. Dall’ora delle tenebre non si fugge ma si abita da pellegrini della speranza perché si ha fede che Dio metterà un limite all’ingiustizia e al suo tempo.

Tra i profeti funzionari c’è Ananìa che predice la prossima fine della schiavitù simboleggiata dal giogo che viene rotto. Compiendo questo segno profetico Ananìa intende annunciare che il processo di liberazione e riscatto è iniziato ed è irreversibile. Geremia risponde evocando la tradizione codificata poi nel testo di Dt 18,22 che fornisce il criterio fondamentale per discernere il vero dal falso profeta. Nella storia ci sono stati profeti di sventura e di salvezza. Geremia è stato l’uno e l’altro, perché ha predicato la conversione quale deterrente affinché le conseguenze del peccato non siano disastrose. La ribellione all’autorità costituita rappresenta il modo più eclatante per non cogliere l’appello alla conversione. Geremia ama il popolo e vorrebbe che le parole di Ananìa si realizzassero ma sa che questo è possibile solo se l’uomo si converte a Dio e abbandona la sua condotta perversa che invece porta alla morte.

La posizione dei due profeti coincide nel desiderare il bene e la libertà ma divergono sul modo in cui si realizza la salvezza: senza conversione, Ananìa, con la conversione, Geremia. Quale delle due profezie è autentica? Quella che si realizza. Geremia predice la morte di Ananìa e avviene. La conferma con i fatti del suo annuncio di sventura attesta la vera profezia e la falsa parola, la vera speranza, che richiede la conversione, e la falsa fiducia che non ferma, ma addirittura è causa di morte.

+ Dal Vangelo secondo Matteo Mt 14,13-21

Alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla.

In quel tempo, avendo udito [della morte di Giovanni Battista], Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte.

Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati.

Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qui».

E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla.

Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.

Dona a Dio la tua miseria e riceverai la Sua misericordia

Per Gesù la morte del Battista rappresenta un momento critico che affronta cercando spazi di solitudine, non di isolamento. Infatti, il deserto è il luogo degl’incontri intimi e profondi che non avvengono tra i potenti che si mettono d’accordo per spartirsi il potere, ma tra i bisognosi che condividono nella solidarietà la loro povertà. Nel deserto a contatto con la povera gente Gesù comprende il senso della sofferenza annunciata nel martirio del Battista. Il deserto nella notte della prova senza la luce della misericordia di Dio è avvolto dal buio dello scoraggiamento che induce all’isolamento e al distanziamento nel quale ognuno è abbandonato al suo destino. Il deserto, luogo della compassione e della solidarietà, diventa lo spazio nel quale vivere il tempo di grazia dell’incontro con la Misericordia e tra i miseri che hanno bisogno di cura. L’incontro con Gesù fa dei nostri cuori, desertificati dalla paura, lo spazio dell’ascolto nutriente della sua Parola. Essa ci fa riconoscere nelle nostre povertà la vicinanza di Dio compassionevole che è solidale con noi. Prima di darci tutto egli ci chiede di dargli il nostro niente, offrirgli la nostra miseria senza vagare altrove nell’illusoria speranza di trovare la pace del cuore. Chiede anche di non fermarci al miracolo del pane, ma di renderlo fruibile a tutti distribuendo a piene mani, e senza tenere nulla per sé, tutto quello che Gesù dona. Solo nella logica del dono di sé per i fratelli possiamo dare un senso alla sofferenza causata dagli stessi e ridare al cuore, inaridito dal dolore e dalle prove, vitalità ed entusiasmo.

Oratio

Two fish and five loaves of bread with candle-light and an antique wine jar

Quando le ombre della paura si allungano a lambire i sogni e insidiano la speranza, tu cerchi un deserto, luogo in cui non ci siano nemici ma compagni.

Se, pellegrinando, cerchi la solitudine che conforta lì, nel deserto, troverai amici da consolare;

se, fuggendo, cerchi l’isolamento che illude, lì, negl’inferi troverai altri pesi da cui volerti liberare.

Quando ti senti arido e solo sappi che Cristo si è fatto deserto per incontrarti e trasformarti; quando ti senti spento sappi che Cristo si è fatto tramonto per illuminarti.

Il tuo cuore, nudo come il deserto e avvolto dalla paura come da tenebre, sia l’altare sul quale deporre la tua miseria, invocare la benedizione, ricevere frammenti di misericordia da donare a tutti.

Allora la tua povertà non sarà un alibi per allontanarti ma un motivo per avvicinarti; il tuo deserto non sarà il luogo della vergogna ma la sala della festa nuziale; la tua sera non sarà più il tempo della nostalgia ma dell’attesa del giorno senza tramonto.