Sottoporsi al giudizio di Dio – Martedì della XVII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

Sottoporsi al giudizio di Dio – Martedì della XVII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

28 Luglio 2024 0 Di Pasquale Giordano

Martedì della XVII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

Ger 14,17-22   Sal 78  

O Dio, nostra forza e nostra speranza,

senza di te nulla esiste di valido e di santo;

effondi su di noi la tua misericordia

perché, da te sorretti e guidati,

usiamo saggiamente dei beni terreni

nella continua ricerca dei beni eterni.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,

e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.


Dal libro del profeta Geremìa Ger 14,17-22

Ricordati, Signore! Non rompere la tua alleanza con noi.

Il Signore ha detto:

«I miei occhi grondano lacrime

notte e giorno, senza cessare,

perché da grande calamità

è stata colpita la vergine,

figlia del mio popolo,

da una ferita mortale.

Se esco in aperta campagna,

ecco le vittime della spada;

se entro nella città,

ecco chi muore di fame.

Anche il profeta e il sacerdote

si aggirano per la regione senza comprendere».

Hai forse rigettato completamente Giuda,

oppure ti sei disgustato di Sion?

Perché ci hai colpiti, senza più rimedio per noi?

Aspettavamo la pace, ma non c’è alcun bene,

il tempo della guarigione, ed ecco il terrore!

Riconosciamo, Signore, la nostra infedeltà,

la colpa dei nostri padri:

abbiamo peccato contro di te.

Ma per il tuo nome non respingerci,

non disonorare il trono della tua gloria.

Ricòrdati! Non rompere la tua alleanza con noi.

Fra gli idoli vani delle nazioni c’è qualcuno che può far piovere?

Forse che i cieli da sé mandano rovesci?

Non sei piuttosto tu, Signore, nostro Dio?

In te noi speriamo,

perché tu hai fatto tutto questo.

Le lacrime d’amore che fecondano il dolore

In tempo di grave siccità il profeta intercede per il popolo, confessando a nome di tutti il peccato e chiedendo aiuto. Geremia è rimasto solo, escluso dal gruppo di profeti ascoltati e approvati. Il popolo non sa discernere tra gli artisti dell’inganno e i veri profeti. Gli impostori abbandonano il terreno delle ragioni sensate e della rivelazione illuminata per cadere nei cunicoli ingannevoli dei presagi e delle fantasie. Il popolo segue i rassicuranti oracoli di coloro che intercettano le attese della gente e dei potenti prospettando scenari esaltanti ma distanti dalla triste realtà nella quale le ingiustizie e l’idolatria minano alla base la coesione sociale d’Israele. Nei versetti precedenti alla pericope liturgica Geremia delinea la contrapposizione tra i falsi profeti e Dio. Alle rassicuranti parole dei profeti che annunciano l’assenza di guerre e prosperità, Dio attesta che la malvagità del popolo e l’imbroglio dei profeti hanno raggiunto il culmine e la disfatta è ormai stabilita. Davanti a tale situazione, nella quale Geremia appare il sabotatore e il traditore della patria, il profeta parla al popolo narrando la visione che riflette la drammatica situazione in cui versa Gerusalemme. Le sue parole, aderenti alla realtà, rivelano dove sia verità e smascherano la falsità degli oracoli degli ingannatori. Quella di Geremia è una reazione compassionevole davanti al messaggio di Dio che rivela la ineluttabilità della sofferenza. Dio fa sua la compassione del profeta e ne fa un oracolo. Il dramma non è minacciato ma pianto e oggetto di un lamento funebre. Il pianto del profeta e di Dio è il segno della partecipazione alla sofferenza del popolo che abita nella città di Gerusalemme, personificata in una giovane. Il profeta è certo che Dio non l’abbandona al suo destino per cui dalla visione passa alla supplica appassionata. Se è reale il peccato d’Israele con le sue drammatiche conseguenze è ancora più reale l’amore di Dio che ristabilisce la pace e dona la vita. Se è vero che Dio castiga per il peccato e ancora più vero che non rimane in lite per sempre ma fa vincere la fedeltà sulla ritorsione. È proprio sul primato dell’amore di Dio che si fonda la speranza di Geremia e di tutto il popolo.

+ Dal Vangelo secondo Matteo Mt 13,36-43

Come si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo.

In quel tempo, Gesù congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo».

Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!».

Sottoporsi al giudizio di Dio

L’insegnamento di Gesù richiede di essere assimilato perché chi accoglie nel suo cuore la Parola di Dio, e la fa crescere dentro di sé, diventa figlio del Regno. La casa rappresenta lo spazio nel quale la parola di Gesù può essere compresa e vissuta perché la si lega alla vita. Nella parabola la Chiesa vi legge un’allegoria. Questo linguaggio associa ad ogni immagine, tratta dall’esperienza, una realtà concreta che appartiene al mondo delle relazioni nel quale viviamo. Non si tratta solamente di descrivere delle situazioni esterne ma di presentare con estremo realismo le dinamiche interne. È nel segreto del cuore che si decide a chi appartenere, da cui ne conseguono i comportamenti. Siamo chiamati ad essere giudici di noi stessi sottoponendoci costantemente al giudizio di Dio. La parola di Dio è come fuoco che distrugge o rafforza. Se dentro il nostro cuore coltiviamo il risentimento e il pregiudizio, alimentato dalla rabbia e dalla paura, prima o poi diventano aggressività verbale o fisica. Sottoporsi al giudizio di Dio vuol dire far passare dal fuoco della sua giustizia i nostri sentimenti perché sia sradicata e distrutta la zizzania del peccato, seminato da Satana, e la nostra vita possa risplendere di quella carità che attinge la sua bellezza dal cuore di Dio. Dio, giudice giusto e misericordioso, è sempre all’opera perché i suoi figli nel mondo vivano le prove della vita come itinerario di purificazione e riconciliazione. In tal modo i loro occhi non saranno accecati dall’orgoglio, ottenebrati dallo scoraggiamento, ma coglieranno i segni dell’azione di Dio che non abbandona i suoi figli ma li guida sapientemente alla gioia e allo splendore della vita eterna.

Signore Gesù, Tu che con la tua morte e risurrezione sei stato costituito giudice dei vivi e dei morti, guidaci tutti alla comunione fraterna e insegnaci a giudicare noi stessi prima di accusare gli altri. Donami la sapienza di conoscermi come mi conosce il Padre mio e Padre tuo e di vagliare i pensieri che favoriscono la riconciliazione da quelli che creano solchi profondi di odio. Il tuo Spirito mi aiuti ad offrire al Padre insieme a Te il dolore dell’ingiustizia subita, l’umiliazione che spegne i sogni e le speranze, la delusione per la fiducia tradita, la sofferenza per l’ingratitudine e la calunnia, perché elimini dal mio cuore ogni seme di arroganza ed egoismo e faccia spazio ai germogli fruttiferi della mitezza e della carità.