MIRABILE SCAMBIO – NATALE DEL SIGNORE –  MESSA DEL GIORNO – Lectio divina

MIRABILE SCAMBIO – NATALE DEL SIGNORE –  MESSA DEL GIORNO – Lectio divina

24 Dicembre 2023 0 Di Pasquale Giordano

MIRABILE SCAMBIO

O Dio, che in modo mirabile

ci hai creati a tua immagine e in modo più mirabile

ci hai rinnovati e redenti,

fa’ che possiamo condividere la vita divina del tuo Figlio,

che oggi ha voluto assumere la nostra natura umana.

Egli è Dio, e vive e regna con te,

nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.


Dal libro del profeta Isaìa Is 52,7-10

Tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio.

Come sono belli sui monti

i piedi del messaggero che annuncia la pace,

del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza,

che dice a Sion: «Regna il tuo Dio».

Una voce! Le tue sentinelle alzano la voce,

insieme esultano,

poiché vedono con gli occhi

il ritorno del Signore a Sion.

Prorompete insieme in canti di gioia,

rovine di Gerusalemme,

perché il Signore ha consolato il suo popolo,

ha riscattato Gerusalemme.

Il Signore ha snudato il suo santo braccio

davanti a tutte le nazioni;

tutti i confini della terra vedranno

la salvezza del nostro Dio.

L’evangelizzatore e i testimoni

L’oracolo del capitolo 52, col quale si apre la seconda parte del libro di Isaia, funge da inclusione con quello del capitolo 40, che invece lo inaugura. Entrambi i testi sono una proclamazione e hanno in comune l’immagine del messaggero che deve annunciare la venuta prossima del Signore. Ciò che viene preannunciato nel cap. 40 viene proclamato realizzato nel 52. Le sentinelle della città santa, appostate sulle mura, scorgono sulle montagne vicine il messaggero che corre per annunciare la pace, la liberazione, il lieto messaggio. Le sentinelle si rivolgono allora alla città stessa, ancora in rovina, e alzano la voce per annunciare l’arrivo del Signore. Il profeta predilige termini che si riferiscono al corpo per far passare il messaggio che l’evento della salvezza coinvolge tutta la persona perché non è una realtà astratta ma è un fatto che tocca la vita: i piedi umani sono gli strumenti affinché si manifesti il braccio divino. Particolarmente importante è il valore attribuito al messaggero e alla sua testimonianza. Vi è una mediazione molteplice, quella del messaggero che porta la bona notizia alle rovine di Gerusalemme, «Regna il tuo Dio», e quella delle sentinelle che ricevono il suo messaggio e lo ritrasmettono a tutte le nazioni e a tutti i confini della terra. La figura dell’evangelizzatore trova compimento in Gesù che fa conoscere il Padre e quella delle sentinelle corrisponde a Giovanni e ai testimoni che fungono da mediatori affinché la fede dei credenti possa maturare fino a giungere ad essere l’opzione fondamentale della propria vita.

Salmo responsoriale Sal 97

Tutta la terra ha veduto la salvezza del nostro Dio.

Cantate al Signore un canto nuovo,

perché ha compiuto meraviglie.

Gli ha dato vittoria la sua destra

e il suo braccio santo.

Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,

agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.

Egli si è ricordato del suo amore,

della sua fedeltà alla casa d’Israele.

Tutti i confini della terra hanno veduto

la vittoria del nostro Dio.

Acclami il Signore tutta la terra,

gridate, esultate, cantate inni!

Cantate inni al Signore con la cetra,

con la cetra e al suono di strumenti a corde;

con le trombe e al suono del corno

acclamate davanti al re, il Signore.

Dalla lettera agli Ebrei Eb 1,1-6

Dio ha parlato a noi per mezzo del Figlio.

Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo.

Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente. Dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra della maestà nell’alto dei cieli, divenuto tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato.

Infatti, a quale degli angeli Dio ha mai detto: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato»? e ancora: «Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio»? Quando invece introduce il primogenito nel mondo, dice: «Lo adorino tutti gli angeli di Dio».

Gesù Cristo, Parola di Dio che crea e salva

L’autore della lettera agli Ebrei introduce la sua meditazione su Gesù, presentato come il Cristo nelle vesti del Sommo Sacerdote fedele e misericordioso, mettendo in risalto la Parola quale caratteristica del Dio d’Israele. Dio parla continuamente al suo popolo invitandolo ad amarlo e ad unirsi a Lui. Molti sono stati i modi con i quali Dio ha voluto allacciare relazioni d’amore con Israele manifestandogli il suo affetto e la sua volontà. Gesù, pur apparendo al mondo quale figlio di Maria e di Giuseppe, è Figlio di Dio, parola prima, per mezzo del quale tutto è stato creato, ed è parola ultima perché tutto il creato sia salvato e diventi Regno di Dio nel quale tutti gli uomini sono adoratori di Dio in «Spirito e Verità». Riecheggiano le parole dei Sapienti d’Israele che rintracciano nella creazione e nella storia la Sapienza di Dio che risplende del suo amore misericordioso. Questa luce sfolgora definitivamente nell’evento della Pasqua quando Gesù è «intronizzato». Nella risurrezione dai morti si manifesta nel Crocifisso risorto la gloria di Dio e Gesù è riconosciuto come il Figlio di Dio. Gesù Cristo, quale Figlio di Dio, è «Luce da Luce, Dio vero da Dio vero». In questo senso egli è «irradiazione della sua gloria»; ed è «impronta della sua sostanza» perché vedendo Gesù si vede il Padre e chi accetta l’amicizia di Gesù diventa anche lui figlio di Dio, erede della vita eterna.

+ Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 1,1-18

Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi.

In principio era il Verbo,

e il Verbo era presso Dio

e il Verbo era Dio.

Egli era, in principio, presso Dio:

tutto è stato fatto per mezzo di lui

e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.

In lui era la vita

e la vita era la luce degli uomini;

la luce splende nelle tenebre

e le tenebre non l’hanno vinta.

Venne un uomo mandato da Dio:

il suo nome era Giovanni.

Egli venne come testimone

per dare testimonianza alla luce,

perché tutti credessero per mezzo di lui.

Non era lui la luce,

ma doveva dare testimonianza alla luce.

Veniva nel mondo la luce vera,

quella che illumina ogni uomo.

Era nel mondo

e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;

eppure il mondo non lo ha riconosciuto.

Venne fra i suoi,

e i suoi non lo hanno accolto.

A quanti però lo hanno accolto

ha dato potere di diventare figli di Dio:

a quelli che credono nel suo nome,

i quali, non da sangue

né da volere di carne

né da volere di uomo,

ma da Dio sono stati generati.

E il Verbo si fece carne

e venne ad abitare in mezzo a noi;

e noi abbiamo contemplato la sua gloria,

gloria come del Figlio unigenito

che viene dal Padre,

pieno di grazia e di verità.

Giovanni gli dà testimonianza e proclama:

«Era di lui che io dissi:

Colui che viene dopo di me

è avanti a me,

perché era prima di me».

Dalla sua pienezza

noi tutti abbiamo ricevuto:

grazia su grazia.

Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,

la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.

Dio, nessuno lo ha mai visto:

il Figlio unigenito, che è Dio

ed è nel seno del Padre,

è lui che lo ha rivelato.

LECTIO

Contesto

Il capitolo 1 del vangelo è composto di due parti: la prima (1, 1-18) il prologo in forma poetica presenta il Lògos e la sua vicenda, la seconda (1, 19-51) è l’inizio del racconto evangelico. Nel prologo l’evangelista informa il lettore circa l’identità e la missione di Gesù. Infatti, esso ha la stessa funzione dei «vangeli dell’infanzia» perché vuole offrire la chiave di lettura teologica della figura di Gesù, collegando la sua vicenda e la sua missione direttamente alla volontà di Dio. Il prologo è una sorta di ouverture che intende guidare il lettore alla comprensione del tema e dello sviluppo narrativo della vicenda che ha come culmine la Pasqua di Cristo Gesù.

Struttura

Nei vv. 1-18 c’è una cesura tra il v. 13 e il v. 14. Prima i soggetti sono alla terza persona per poi passare alla prima persona plurale. Nella prima parte si parla di Giovanni Battista legando la sua venuta e la sua missione alla fede dei destinatari della sua opera evangelizzatrice (vv. 6-8) e al v. 15 è introdotto un locutore che rende la sua testimonianza unendosi alla confessione della comunità credente (v. 16). Dunque, il prologo si divide in due parti: nei vv. 1-13 il soggetto è il Lògos di cui si mette in evidenza la sua preesistenza e la sua venuta nel tempo; nella seconda parte (vv. 14-18) si dà voce alla confessione di fede dei credenti. La preesistenza del Lògos lo colloca nell’eternità di Dio (vv. 1-4) e la sua venuta nel mondo come luce lo rende partecipe della storia dell’uomo (vv. 5-8). Il mondo degli uomini, ovvero gli uomini del mondo, rifiuta il Lògos (vv. 9-11), mentre chi lo accoglie diventa figlio  di Dio perché da Lui si viene generato (vv. 12-13). La seconda parte del prologo contiene la confessione di fede di quanti hanno accolto la venuta del Lògos. La voce di Giovanni si unisce a quella dei testimoni che identificano il Lògos, chiamato «Figlio unigenito del Padre», con la persona storica di Gesù Cristo (vv.16-18).

Spiegazione

L’inizio del prologo richiama chiaramente quello della Genesi con i temi della creazione, della luce e delle tenebre e della vita. Il «principio» di cui si parla è un “tempo” che potremmo definire kairos, che precede il kronos. Il termine Lògos non è facile da tradurre perché ogni termine ridurrebbe la ricchezza del suo significato. Certamente l’evangelista Giovanni conosce la riflessione sul concetto di «parola di Dio» come potenza creatrice e sostenitrice del mondo esistente. Il Logòs è «parola di Dio», come lo è la Sapienza nella letteratura sapienziale (Pr 8; GB 28; Sir 24; Sap 7-9), perché coopera nella creazione dell’universo fungendo da archetipo/modello e da architetto (Pr 8,22-23-27-31). Tuttavia, il Lògos non è «sophia» (sapienza intesa come idea progettuale») né è una creatura (partorita dalla mente di Dio), anche se fosse stata la prima. Il Lògos lo potremmo accostare all’immagine del «sogno» di Dio per il mondo: avere figli in un mondo di pace e di giustizia perché vivano in comunione tra loro e con il creato e partecipino alla vita stessa di Dio e alla comunione con Lui. Il kairos di Dio genera il kronos dell’uomo che, per mezzo di Gesù, giunge alla sua pienezza nel momento in cui il sogno di Dio si compie. La redenzione segna il compimento del sogno di Dio.

La ripetizione del verbo essere all’imperfetto, riferita al Lògos, suggerisce l’idea di una condizione perdurante in un tempo che precede (kairos) quello dell’uomo (kronos). I tre verbi «era» assumono significati diversi perché il primo indica l’esistenza (dal principio, ovvero da sempre), il secondo la relazione (con Dio) e il terzo è un predicato che ribadisce la natura divina del Lògos. Tra il Lògos e Dio non c’è identificazione intesa come sovrapposizione o fusione, ma un’unità che risulta dalla relazione di amore, la quale non annulla la distinzione ma la colloca in un rapporto ordinato l’uno all’altro. In altri termini, si potrebbe dire che all’origine (pre-esistenza/kairos) c’è l’amore (la pro-esistenza). L’amore è il progetto di vita di Dio, per cui «ciò che era di Dio lo era anche del Lògos».

I primi due versetti si concentrano sull’identità del Lògos in relazione con Dio. Dal v.3 si passa alla sua missione in relazione al mondo creato e agli uomini che lo abitano. Riprendendo il racconto della Genesi, l’evangelista ricorda che Dio ha creato parlando e che tutto ha avuto inizio dal Lògos del Padre mediante il quale Egli si rivela e comunica. L’intera creazione è rivelazione perché è effetto del «dire di Dio» che diventa opera la cui bellezza si contempla nel grande libro del creato. Il v. 4 introduce il tema della vita e della luce. Mediante il Lògos il creato riceve l’esistenza biologica; all’uomo, che non ne è solo una parte ma anche il suo vertice, viene offerta insieme alla vita fisica anche quella di Dio (la vita eterna). La luce e la vita da elementi della natura diventano simboli che rimandano alla vita di Dio partecipata agli uomini. Il Lògos, parola di Dio, è luce che illumina il cammino della fede che porta a vivere con Dio, in Dio e per Dio. Nel racconto evangelico «luce» e «vita» sono i nomi che rivelano la vocazione e la missione di Gesù. La funzione della luce è quella di brillare e illuminare. A Dio, che «viene nel mondo» come luce per «illuminare» ogni uomo e farsi conoscere da lui, fa riscontro l’uomo che deve scegliere se respingere la luce e abitare nelle tenebre dell’ignoranza o accoglierla lasciandosi illuminare per essere a sua volta segno luminoso di speranza. Il Lògos è sorgente della luce e della vita, mentre Giovanni è il testimone della luce. La sua missione consiste nell’annunciare la venuta della luce, come una sentinella o come l’aurora. Testimoniare significa essere corpo illuminante che esiste e illumina solo se riflette la luce che riceve. Similmente la testimonianza di Giovanni è funzionale all’annuncio del vangelo: Cristo, luce del mondo, ha sconfitto le tenebre del peccato e della morte. Di questa vittoria possono godere coloro che credono.

Il Lògos viene nel mondo perché tra lui e «i suoi» si crei la stessa familiarità che caratterizza il suo rapporto con Dio. Tuttavia, questo non è automatico perché la realizzazione sogno di Dio deve passare attraverso la libertà dell’uomo che ha la possibilità di rifiutare o accogliere la Luce. Il Lògos è luce e vita perché vive la relazione con Dio in un rapporto dialogico. La sua missione è aprire all’uomo, ed estendere a tutti, la possibilità di partecipare alla vita divina, alla pro-esistenza.

Dal mondo creato l’attenzione passa alla comunità degli uomini che è caratterizzata da legami di appartenenza con Dio. Gli uomini, dice l’evangelista, sono tutti membri della famiglia di Dio perché creati tali. Tuttavia, lo status di familiari di Dio diventa effettivo nella misura in cui si accoglie il Lògos credendo in lui. La fede è una libera scelta degli uomini con cui esprimono la loro responsabilità nei confronti di Dio. Essere figli di Dio vuol dire scegliere di vivere per Dio rispondendo di sì all’impegno di amore che Lui ha preso con gli uomini di «vivere per loro come Padre». Come il Padre per mezzo del Lògos sceglie di amare il mondo, creandolo, e gli uomini, chiamandoli a far parte della sua famiglia, così, per mezzo dello stesso Lògos, Gesù Cristo, gli uomini scelgono di amare Dio consacrando (credere in) la propria vita per Lui, come ha fatto Gesù. Il fatto che venga usato il verbo «diventare» vuol dire che la figliolanza di Dio è un progetto sempre da realizzare. La grazia costituisce la persona nel suo status di figlio di Dio ma il credente diventa adulto nella fede vivendo continuamente da figlio di Dio. «Credere nel nome di» significa «affidarsi completamente», «avere fiducia di». Nel processo di maturazione spirituale si coniugano la grazia che accompagna e l’impegno a rimanere fedele alla scelta iniziale di fidarsi di Gesù e unirsi a lui.

La seconda parte del prologo inizia con l’affermazione dell’evento dell’incarnazione. Si tratta anche in questo caso di un passaggio. L’assunzione della condizione umana è tradotta con l’immagine di «diventare carne». Il passaggio del Lògos dalla dimensione divina, caratterizzata dall’eternità, a quella temporale, che è invece contraddistinta dalla precarietà, è specificato con l’immagine del «attendarsi» o «porre la dimora» in mezzo a quelle degli uomini. La tenda richiama immediatamente l’esperienza dell’esodo e la «presenza» di Dio che si fa pellegrino in mezzo al popolo che per tanti anni e forestiero in terra straniera. La letteratura sapienziale identifica la Sapienza con la presenza di Dio che abita insieme al suo popolo. Proprio questa coabitazione fa del cammino esistenziale un pellegrinaggio, e non un vagabondare. La comunità, abitata dal Lògos, diventa casa aperta ad accogliere chiunque sia desideroso di attingere alle sorgenti della Sapienza.

Il racconto dell’esodo parla della gloria di Dio che avvolgeva come una nube la tenda. L’evangelista, testimone degli eventi nei quali Gesù si è reso protagonista, testimonia che la gloria descritta nei racconti dell’Antico testamento egli l’ha contemplata in Gesù che chiama «Figlio unigenito». In lui, infatti, risiede la pienezza della grazia e della fedeltà di Dio. In altri termini, Gesù rivela agli uomini la ricchezza inesauribile dell’amore del Padre. Gesù Cristo è il rivelatore del Padre perché per mezzo suo si riversa su l’umanità tutta la ricchezza della misericordia divina. Gesù non è in contrapposizione con Mosè ma in continuità anche se rappresenta la novità e il compimento. Mosè è stato scelto tra gli uomini per essere il mediatore attraverso cui donare la Legge. Gesù è l’unico e vero mediatore perché tramite lui, non solo si riversa l’abbondanza della grazia, ma l’uomo può corrispondere a Dio con la sua vita. Gesù è l’unica via che introduce nella intimità familiare di Dio, che è la vita vera.

MEDITATIO

Il cammino della Parola, dal cuore di Dio all’abbraccio del Padre

Il prologo del vangelo di Giovanni ci porta col cuore alla prima parola, o meglio alla parola prima, quella che sgorga dalla relazione tra il Padre e il Figlio. Giovanni, quasi a conclusione della sua vita, redige il vangelo, che ha il sapore di una testimonianza e di un testamento della propria vita. Quando la narrazione è terminata, sente il bisogno di ricapitolarla facendo precedere il racconto da un inno attraverso il quale si compie un viaggio dal principio all’oggi. Il principio non è un inizio lontano nel tempo, ma è la sorgente del presente. In quel principio fuori del tempo e dello spazio risiede la chiave di lettura di tutto ciò che esiste.

All’origine c’è il dialogo, una parola donata reciprocamente, meglio diremmo che nel dialogo ci si dona reciprocamente l’uno all’altro. La relazione che unisce le persone che compongono la Trinità è caratterizzata dal fatto che esse comunicano e si comunicano l’amore, non informazioni o idee, ma ciò che fa di esse una autentica comunità.

Il cosmo è il riflesso di questa comunione tra realtà diverse che, armonizzandosi, fanno vivere. L’ecosistema e ogni forma di società autenticamente umana sono espressioni di vita paragonabile ad una sinfonia o meglio ancora ad un corpo nel quale ogni membro ha la sua specificità a servizio del bene comune.

Se lo sguardo sapiente sulla creazione fa comprendere il posto che è stato assegnato a ciascuno e l’ascolto della Legge rende coscienti delle proprie responsabilità nei confronti degli altri, l’adesione a Gesù Cristo rivela il senso finale della vita. Essa è un dono che educa a farsi dono a Dio e ai fratelli. Gesù, narrando con la vita il Padre, condivide con chi lo ascolta il suo stesso sguardo di figlio di Dio e lo coinvolge nel dialogo intimo e sublime tra Lui e il Padre.

La preghiera è il modo con il quale entrare in questo circolo in cui tutti sono avvolti dal vincolo della carità, che colma le valli del pessimismo e abbassa le montagne dell’orgoglio.

Gesù ci richiama al principio di tutto e da qui ripartire per raggiungere il fine della vita che è vivere pienamente con Gesù da figli di Dio.

Dall’umiliazione della schiavitù all’umiltà del servizio

Il Natale del Signore è la prima delle grandi feste che ritmano l’anno liturgico che ruota attorno all’ evento della Pasqua. Non è un caso che la liturgia riserva a queste due solennità la veglia notturna in cui gioca un ruolo importante il segno della luce che splende e rischiara le tenebre.

Siamo un popolo in cammino ma immerso nel buio dell’incertezza e della paura. Per quanto possano darci speranza le tecniche scientifiche, che sono pure a servizio del bene dell’uomo, sentiamo di essere ancora tra le nebbie della precarietà e della debolezza che vela di tristezza anche i momenti di festa che vorremmo vivere nella pace e nella serenità.

Il vangelo parla di un decreto dell’imperatore che ordinava un censimento. Per questo Giuseppe, in obbedienza al comando imperiale compie il viaggio verso Betlemme, la città in cui era nato Davide. Si tratta in un certo senso di un ritorno a casa, alle proprie origini. Lì a Betlemme un giorno il profeta Samuele era stato inviato da Dio a casa di Iesse per consacrare re uno dei suoi figli. Samuele giungendo in quella casa aveva iniziato a cercare tra gli uomini più grandi e più forti, ma Dio riorienta la ricerca tra i più piccoli perché il Signore non guarda l’apparenza ma il cuore. Fu dunque chiamato il più piccolo dei figli di Iesse, Davide, che era con i pastori a pascolare il gregge. Davide da pastore di pecore divenne pastore di un popolo. Dall’umiliazione all’umiltà. Facile immaginare che davanti ai primi segni di gravidanza di Maria si siano scatenate le critiche e i pettegolezzi degli abitanti di Nazaret. Forse anche questo avrà spinto i novelli sposi a lasciare il villaggio e andare a Betlemme. S’intrecciano esigenze che potremmo definire sociali con quelle più strettamente personali.

L’imposizione delle regole, siano esse finalizzate a prevenire il contagio, oppure quelle che regolano il vivere sociale, anche se possono apparire ingiuste, sono l’occasione ieri come oggi per fare del nostro cammino un pellegrinaggio dell’umiltà. Anche noi possiamo sentire tutto il peso delle frustrazioni, dei limiti, delle attese deluse che, se assolutizzate, ci portano a vagare confusi e disorientati. L’attaccamento alle cose e uno stile di vita possessivo e controllistico fanno della paura la nostra guida. Il risultato è l’aggressività verbale, fisica e psichica. Stiamo male perché viviamo male l’umiliazione e affidiamo la gestione del nostro malessere ai pensieri negativi che generano giudizio e pessimismo.

Nella notte del dolore e dell’incertezza ci viene incontro la luce del vangelo che splende al di sopra dei nostri ragionamenti arzigogolati. È necessario distrarre lo sguardo dal nostro io che piange e si lamenta contro gli altri per rivolgerlo verso l’alto e verso l’altro. L’obbedienza non sarà mera esecuzione di ordini ma un cammino nuovo guidato dalla parola di Dio che dà la direzione giusta ai nostri passi.

La meta è Betlemme, la casa del pane. Giuseppe e Maria non obbediscono solo ad un comando imperiale, ma realizzano il volere di Dio, quello di fare casa con noi. Loro non sono pienamente consapevoli, come non lo siamo neanche noi dei progetti divini, ma nell’obbedienza agli uomini si concretizza anche la volontà di Dio. La ribellione, la mormorazione, anche se sono giustificate da una motivazione di giustizia non portano alla pace, anzi, alimentano la guerra. Invece di concentrarci su ciò che non va negli altri e nei loro modi di comportarsi, rimanendo ripiegati su noi stessi, dovremmo alzare gli occhi al cielo e domandarci cosa fare per non replicare e alimentare il male subito.

Maria e Giuseppe pur essendo di casa a Betlemme non vi trovano posto in un alloggio familiare. Non si perdono d’animo e fanno di una grotta adibita a stalla per gli animali la loro dimora familiare. Il centro di questa casa diventa la mangiatoia perché in essa è deposto il bambino appena nato e avvolto in fasce. Maria e Giuseppe ci insegnano a celebrare il Natale con atteggiamenti di docile obbedienza, concreta attenzione al più piccolo. Essi, infatti non cercano la comodità per sé stessi, ma creano uno spazio per accogliere e far nascere il loro bambino. Non perdono tempo a giudicare, a lamentarsi, a rimbrottare o rinfacciare, ma accolgono la disponibilità di chi, rimanendo nell’anonimato, offre loro uno spazio della propria casa, il luogo meno nobile ma che è reso umano dalla loro presenza e soprattutto da quella di Gesù, dalla loro premurosa delicatezza e dalla tenera debolezza del bambino. I gesti ordinari e silenziosi di Maria e Giuseppe rendono umano ciò che è bestiale. Adattarsi non significa rinunciare ai propri sogni o ai desideri più belli ma iniziare a realizzarli partendo dall’essenziale e accettando di fare a meno del superfluo.

Ecco, dunque, la meta del cammino di Giuseppe e Maria, non solo Betlemme, non solo un alloggio, ma una mangiatoia. Il richiamo insistente della mangiatoia ci porta a pensare al mangiare che da preoccupazione diventa occasione, da tempo atteso a tempo vissuto. In tempo di crisi quello che diamo per scontato non lo è più. Nell’abbondanza non ci preoccupiamo di cosa mangiare e cosa dare da mangiare ai figli; nella società dell’opulenza, in cui si confonde il benessere con il benavere, l’attesa e l’attenzione è sui beni di consumo, su oggetti che ci danno solo l’illusione di essere al passo dei tempi quando invece rincorriamo miraggi inconsistenti. In molte case questa domanda è ora drammaticamente urgente. Essa potrà essere accolta nella misura in cui facendoci solidali con i fratelli, sentiremo nostro il loro bisogno, senza giudicarli. Così la domanda che germoglia da un cuore misericordioso è: cosa posso preparare per loro, come posso prepararmi per dare loro da mangiare. In molti casi il nutrimento essenziale è la comprensione benevola con cui mi approccio ai fratelli e alle sorelle proprio perchè cosciente dei loro limiti e anche delle loro colpe.

È la tenerezza che ci porta ad adattarci e ad abitare anche gli spazi che a noi appaiono inospitali perché i nostri occhi cercano quella perfezione che non troveremo mai fuori di noi ma solamente in Dio. Questi luoghi sono le relazioni fraterne che rimarranno inaccessibili senza che la grazia di Dio le illumini. La luce della Parola di Dio permette di vedere nell’umiliazione l’Umiltà, nel niente il Tutto, nel dramma la Salvezza, nella mancanza di beni la pienezza del Bene.

Il Bambino nella mangiatoia è la risposta di Dio all’uomo che spesso si riempie di aria ma non è mai sazio. Dio scende verso l’uomo non per dargli il pane materiale ma per dare sé stesso da mangiare; alimentati dal Suo Spirito siamo riempiti di Lui, del Suo Amore. Chi si sazia veramente al banchetto di Dio non se ne sta comodo a fare la siesta esulandosi dagli altri o chiudendosi in piccoli circoli, ma si sente spinto a donare a tutti con gioia quello che lui stesso ha ricevuto gratuitamente. Strada facendo s’impara alla scuola di Gesù e in compagnia dei santi, come Maria e Giuseppe, non solo a condividere quello che si ha ma a darsi all’altro per amore in tutto ciò che si fa.

Natale sia per noi il tempo del cammino verso Betlemme, ma ancor di più verso la mangiatoia, la mensa della Parola e dell’Eucaristia sulla quale Dio si fa gustare e vedere quanto è buono e da lì partire per farsi pane da spezzare con tutti.

ORATIO

Bambino Dio, nato nella grotta di Betlemme

da una giovane donna della Palestina,

pellegrina insieme al suo sposo Giuseppe

sulle strade accidentate

della faticosa obbedienza

alla volontà di Dio,

vieni e mostrati a noi che,

distratti da mille ansie e paure,

abbiamo lasciato cadere dal nostro cuore

la dolcezza della ospitalità,

che proviamo fastidio

sentendo le grida degli oppressi,

che erigiamo un muro d’indifferenza

per respingere le richieste per noi assurde

di chi ci sveglia dal torpore dell’anima

riportandoci indietro dal mondo dei sogni,

che chiudiamo la porta di casa

a chi bussa per chiedere asilo,

che neghiamo l’aiuto a chi,

stremato dalla fatica, implora umanità,

che voltiamo le spalle

a chi cerca il volto di un amico,

che giudichiamo dall’apparenza

e condanniamo il presunto reo

dimentichi del comune bisogno di perdono.

Perdendo la memoria di Te

abbiamo smarrito la via della pace.

Vieni, Luce delle Genti,

e raccogli tutti gli uomini dispersi

nell’unità di una rinnovata fraternità universale.

Vieni, Principe della Pace,

e trasforma le armi belliche

in strumenti di riconciliazione.

Vieni, Consolatore degli afflitti,

Speranza di chi confida in Te,

e sostieni con la forza della tua Parola

chi si fa carico della debolezza degli altri.

Vieni, Medico dell’anima,

e fascia le piaghe dei cuori

di chi ama senza essere amato,

Vieni, Difensore dei poveri,

e dona coraggio a chi lotta solitario

la battaglia della giustizia.

Vieni, Salvatore del mondo,

e liberaci dalla spirale del male.

Vieni, Pastore dei pastori,

e conducici dolcemente

ai pascoli della vita eterna.

Amen.