Fondamento della fede cristiana è la misericordia che sana – Venerdì della XIII settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)

Fondamento della fede cristiana è la misericordia che sana – Venerdì della XIII settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)

6 Luglio 2023 0 Di Pasquale Giordano

Venerdì della XIII settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)

Gen 23,1-4.19; 24,1-8.62-67   Sal 105  

O Dio, che ci hai reso figli della luce

con il tuo Spirito di adozione,

fa’ che non ricadiamo nelle tenebre dell’errore,

ma restiamo sempre luminosi

nello splendore della verità.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,

e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.


Dal libro della Gènesi Gen 23,1-4.19; 24,1-8.62-67

Isacco amò Rebecca e trovò conforto dopo la morte della madre.

Gli anni della vita di Sara furono centoventisette: questi furono gli anni della vita di Sara. Sara morì a Kiriat Arbà, cioè Ebron, nella terra di Canaan, e Abramo venne a fare il lamento per Sara e a piangerla.

Poi Abramo si staccò dalla salma e parlò agli Ittiti: «Io sono forestiero e di passaggio in mezzo a voi. Datemi la proprietà di un sepolcro in mezzo a voi, perché io possa portar via il morto e seppellirlo». Abramo seppellì Sara, sua moglie, nella caverna del campo di Macpela di fronte a Mamre, cioè Ebron, nella terra di Canaan.

Abramo era ormai vecchio, avanti negli anni, e il Signore lo aveva benedetto in tutto. Allora Abramo disse al suo servo, il più anziano della sua casa, che aveva potere su tutti i suoi beni: «Metti la mano sotto la mia coscia e ti farò giurare per il Signore, Dio del cielo e Dio della terra, che non prenderai per mio figlio una moglie tra le figlie dei Cananei, in mezzo ai quali abito, ma che andrai nella mia terra, tra la mia parentela, a scegliere una moglie per mio figlio Isacco».

Gli disse il servo: «Se la donna non mi vuol seguire in questa terra, dovrò forse ricondurre tuo figlio alla terra da cui tu sei uscito?». Gli rispose Abramo: «Guàrdati dal ricondurre là mio figlio! Il Signore, Dio del cielo e Dio della terra, che mi ha preso dalla casa di mio padre e dalla mia terra natia, che mi ha parlato e mi ha giurato: “Alla tua discendenza darò questa terra”, egli stesso manderà il suo angelo davanti a te, perché tu possa prendere di là una moglie per mio figlio. Se la donna non vorrà seguirti, allora sarai libero dal giuramento a me fatto; ma non devi ricondurre là mio figlio».

[Dopo molto tempo] Isacco rientrava dal pozzo di Lacai Roì; abitava infatti nella regione del Negheb. Isacco uscì sul far della sera per svagarsi in campagna e, alzando gli occhi, vide venire i cammelli. Alzò gli occhi anche Rebecca, vide Isacco e scese subito dal cammello. E disse al servo: «Chi è quell’uomo che viene attraverso la campagna incontro a noi?». Il servo rispose: «È il mio padrone». Allora ella prese il velo e si coprì. Il servo raccontò a Isacco tutte le cose che aveva fatto. Isacco introdusse Rebecca nella tenda che era stata di sua madre Sara; si prese in moglie Rebecca e l’amò. Isacco trovò conforto dopo la morte della madre.

Le nozze del figlio amato

Abramo dopo aver pensato all’avvenire per quello che riguarda il possesso della terra ora si preoccupa della posterità della sua discendenza. Morta Sara, sua moglie e madre di Isacco, Abramo incarica il suo servo di cercare una moglie per suo figlio rispondendo a due esigenze. La prima è garantire l’identità del suo clan affinché si crei una giusta relazione con gli altri, condizione questa legata alla circoncisione e all’impegno preso da Abramo con il Signore. Per tale motivo la ricerca deve essere condotta presso la famiglia di origine di Abramo. La seconda garanzia riguarda la terra di Canaan che il Signore ha promesso. Questo è la ragione per cui Isacco non deve muoversi. Abramo è certo che Dio guiderà la ricerca e la porterà a buon fine. Nel momento in cui affida al servo la ricerca della moglie per suo figlio Abramo non delega ma rinuncia al controllo dell’avvenire di Isacco la cui realizzazione è guidata da Dio la cui volontà prende forma anche grazie alla disponibilità di chi si mette a suo servizio. Il servo di Abramo, agendo in suo nome, non conduce la ricerca in base al caso ma fa discernimento per riconoscere quale sia la donna che il Signore ha scelto per Isacco.

Rebecca rispecchia tutti i criteri attraverso i quali il servo di Abramo avrebbe potuto riconoscere l’eletta tra le donne. A ben vedere l’atteggiamento di Rebecca riflette quello di Abramo soprattutto per ciò che riguarda l’ospitalità, il rispetto per l’uomo e i suoi animali e la gentilezza.

Il servo raccontando a Labano e alla madre in ordine i fatti accaduti, dalla missione affidatagli dal suo padrone, la sua preghiera vicino al pozzo e l’incontro con Rebecca, dimostra loro che è il Signore Dio a guidare la storia e che in definitiva la richiesta non è primariamente né del servo, né di Abramo, ma del Signore stesso il quale attende una risposta. In un primo momento la famiglia di Rebecca dà il proprio assenso, poi sembra quasi ripensarci cercando di trattenerla per altri giorni. Interpellata la ragazza lei risponde subito «Andrò». La traduzione non rende bene. Quella di Rebecca non è solamente una risposta affermativa, ma l’espressione della sua volontà decisa a compiere il volere di Dio. Rebecca, infatti, nella risposta usa lo stesso verbo che Dio ha rivolto ad Abramo all’inizio: il verbo andare («vattene da»). Come Abramo anche Rebecca, interpellata da Dio, si mette in cammino lasciando il certo per l’incerto e questo solamente sulla base della Sua parola. Anche i familiari di Rebecca si allineano alla volontà di Dio allorquando lasciandola andare la benedicono riconoscendo che lei è destinataria della benedizione di Dio mediante Abramo. Così Rebecca acquisisce una personalità decisa e indipendente tale che possa completarsi con quella di Isacco che invece appare un po’ debole e ancora dipendente dalla madre, anche se non c’è più.

La conclusione del capitolo segna il passaggio definitivo da una generazione ad un’altra. Isacco, e non più Abramo, è il padrone del servo e Rebecca prende il posto di Sara. Il tutto è detto i brevi frasi che descrivono l’unione tra Isacco e Rebecca.

+ Dal Vangelo secondo Matteo Mt 9,9-13

Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Misericordia io voglio e non sacrifici.

In quel tempo, Gesù, vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.

Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?».

Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici”. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori».

Fondamento della fede cristiana è la misericordia che sana

L’invito a seguirlo Gesù, dopo ai quattro pescatori, lo rivolge ad un uomo di nome Matteo che incontra mentre è seduto al banco delle imposte a compiere il suo lavoro di pubblicano, ovvero esattore delle tasse. Non mancavano certo le riserve nei confronti degli esponenti di quella categoria considerati peccatori per l’attaccamento ai soldi e per la collaborazione al governo imperiale. Gesù supera lo steccato del pregiudizio aprendo la sequela a tutti, senza escludere nessuno. Quello che poteva essere un problema per i primi discepoli, i pescatori provenienti dalla classe più povera della società, diventa un motivo di scandalo per i farisei, sedicenti custodi dell’ortodossia ebraica, i quali si vedono immischiati in mezzo a pubblicani e peccatori, senza alcuna distinzione. I farisei – lo dice il nome stesso – si vantavano di essere i «separati», cioè i «distinti», per il fatto che si guardavano bene dal contaminarsi con «certa gente». Si meravigliano che Gesù lo faccia. Oggi potremmo identificare questi tali con coloro che confondono l’esperienza della fede con una sorta di «corso di lingua straniera» diviso per livelli. Pur credendo di aver raggiunto quelli più alti della religiosità, essi hanno bisogno di riprenderne i contenuti basilari. Pretendono di esaminare i suoi discepoli per saggiarne la preparazione e invece essi stessi sono messi sotto esame da Gesù, che conosce l’intimo di ciascuno di loro, e li trova mancanti. Perciò il Maestro li rimanda per imparare i fondamentali della fede: «Misericordia io voglio e non sacrifici». La vita, per certi versi, è una scuola continua di umanità i cui livelli più alti si raggiungono solamente mettendosi alla sequela di Cristo che chiama attorno a sé non i perfetti ma i perfettibili, non quelli che amano le discussioni, ma che si mettono in discussione e sono capaci, come Matteo il pubblicano, di ricalcolare l’itinerario della propria vita.

Signore Gesù, che chiami tutti a seguirti sulla via dell’amore, rivolgi i tuoi occhi verso di me, uomo fragile e di vita breve, che nulla può offrire se non la sua povertà. La tua parola vinca la sordità del mio cuore indurito dall’avidità di guadagno e mi dia la forza di lasciare ciò che mi lega ai beni materiali e agli onori, per seguire Te e gustare la bellezza dello stare a mensa con Te, dove s’impara l’arte dell’accoglienza e della fraternità. Guariscimi dalla presunzione del perfezionismo, scandalo che mi fa cadere nel giudizio contro gli altri. Donami l’umiltà di lasciarmi educare alla scuola di tanti miei fratelli e sorelle, i quali prima e meglio di me, hanno scoperto che fondamento della fede cristiana è la misericordia che sana.