Non la vita, ma la morte ha le ore contate – Giovedì della VI settimana di Pasqua

Non la vita, ma la morte ha le ore contate – Giovedì della VI settimana di Pasqua

17 Maggio 2023 0 Di Pasquale Giordano

Giovedì della VI settimana di Pasqua

At 18,1-8   Sal 97  


O Dio, che hai reso il tuo popolo

partecipe della redenzione,

fa’ che esulti in eterno

per la risurrezione del Signore.

Egli è Dio, e vive e regna con te,

nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.


Dagli Atti degli Apostoli (18,1-8)

In quei giorni, Paolo lasciò Atene e si recò a Corìnto. Qui trovò un Giudeo di nome Aquila, nativo del Ponto, arrivato poco prima dall’Italia, con la moglie Priscilla, in seguito all’ordine di Claudio che allontanava da Roma tutti i Giudei. Paolo si recò da loro e, poiché erano del medesimo mestiere, si stabilì in casa loro e lavorava. Di mestiere, infatti, erano fabbricanti di tende. Ogni sabato poi discuteva nella sinagoga e cercava di persuadere Giudei e Greci. Quando Sila e Timòteo giunsero dalla Macedònia, Paolo cominciò a dedicarsi tutto alla Parola, testimoniando davanti ai Giudei che Gesù è il Cristo. Ma, poiché essi si opponevano e lanciavano ingiurie, egli, scuotendosi le vesti, disse: «Il vostro sangue ricada sul vostro capo: io sono innocente. D’ora in poi me ne andrò dai pagani».

Se ne andò di là ed entrò nella casa di un tale, di nome Tizio Giusto, uno che venerava Dio, la cui abitazione era accanto alla sinagoga. Crispo, capo della sinagoga, credette nel Signore insieme a tutta la sua famiglia; e molti dei Corìnzi, ascoltando Paolo, credevano e si facevano battezzare.

La chiesa domestica ambito privilegiato per tessere trame di vangelo

Dopo l’annuncio del Vangelo ad Atene Paolo si reca nell’importante città di Corinto, che per la sua posizione geografica, aveva un’importanza strategica nei traffici commerciali. Qui Paolo si ferma per un anno e mezzo. I suoi primi collaboratori nell’opera evangelizzatrice sono Aquila e Priscilla, che lo ospitano a casa loro, anche perché avevano in comune la fede giudaico-cristiana e il lavoro; infatti erano fabbricanti di tende. Paolo vive la familiarità con questa coppia, che aveva dovuto lasciare Roma, in maniera piena perché condivide la vita ordinaria e quella di fede. L’apostolo non disdegna il lavoro presso la casa di Aquila perché rappresentava un’occasione per incontrare la gente e testimoniare con la professionalità dell’opera artigianale i valori umani della disponibilità, correttezza, dell’onestà. Anche l’ambito del lavoro è ideale per annunciare il vangelo, affinché con la sua potenza Dio possa operare la trasformazione dei cuori. Un altro ambito nel quale testimoniare la propria fede in Gesù Cristo era la sinagoga nella quale le parole della Scrittura erano rilette e ricomprese alla luce di Gesù e degli eventi pasquali. Come in ogni missione di evangelizzazione non mancano le resistenze e le chiusure che non scoraggiano gli apostoli ma li incoraggiano a cogliere i segni di Dio che riesce ad aprire i cuori alla fede. Si assiste ad un decentramento della predicazione della Parola che si diffonde non più nei luoghi ufficiali, ma in quelli domestici nei quali si respira maggiormente un clima familiare più adatto ad assimilare lo spirito evangelico. La casa di Aquila e Priscilla prima e Tizio Giusto dopo, diventano luoghi nei quali la Chiesa si riunisce in fraternità per l’eucaristia e per l’insegnamento degli Apostoli. Questa pagina degli Atti degli Apostoli è un richiamo forte a creare nelle nostre comunità sempre più fredde e istituzionalizzate, ingessate in strutture organizzate, un clima di famiglia più vivo. Ognuno dovrebbe sentirsi accolto e avvertire l’esigenza di contribuire a rendere più bella la comunità a cui si appartiene.

+ Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 16,16-20

Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia.

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Un poco e non mi vedrete più; un poco ancora e mi vedrete».

Allora alcuni dei suoi discepoli dissero tra loro: «Che cos’è questo che ci dice: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”, e: “Io me ne vado al Padre”?». Dicevano perciò: «Che cos’è questo “un poco”, di cui parla? Non comprendiamo quello che vuol dire».

Gesù capì che volevano interrogarlo e disse loro: «State indagando tra voi perché ho detto: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”? In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia».

Non la vita, ma la morte ha le ore contate

«Che cosa è questo “un poco”?» i discepoli discutono tra loro sul significato delle parole di Gesù che hanno il sapore di un annuncio. Non riescono a comprendere il nesso tra i due tempi, quello dell’assenza e il momento della sua visione. In realtà, dopo la Pasqua il riferimento appare più chiaro. La morte e la risurrezione sono i due eventi a cui Gesù allude. L’ora della morte è vicina, il tempo si è fatto breve. Ma il messaggio non vuole solo dichiarare l’imminenza e la ineluttabilità della morte, come se fosse l’ammonimento del «memento mori». Il cuore dell’annuncio sta nel fatto che non la sua vita ma la sua morte ha le ore contate. Il nascondimento della morte si racchiude in «un poco» che a sua volta si schiude all’eternità della vita. Il distacco è una separazione momentanea che prepara non solo un nuovo incontro ma un incontro nuovo, ovvero una relazione rinnovata.

Il discepolo di Gesù corre il rischio di scindere la fede dalla vita e «vedere» la sua esistenza senza scorgere in essa la presenza di Dio. Questo accade quando amiamo particolarmente ed entriamo in una forte comunione con gli altri facendoci carico della loro sofferenza. Quanto più empaticamente entriamo in contatto con i fratelli tanto più notiamo il contrasto tra chi soffre per i vari problemi della vita e chi invece sembra condurne una spensierata e allegra, o almeno così ci appare. Gesù ci offre una lettura diversa delle cose che ha la pretesa di essere credibile. Infatti, chi più di Lui sa cosa significa soffrire e morire ingiustamente? Egli si è unito a tutte le vittime del mondo di ogni luogo e di ogni tempo per infondere loro fiducia, consolazione e speranza. Le offre innanzitutto ai suoi discepoli che gemono e soffrono insieme ai poveri della terra perché essi possano donarle a loro volta. Lo Spirito Santo, che ha risuscitato Gesù dai morti, infonde in noi la stessa carità di Cristo che, condivisa insieme al dolore dei fratelli, trasforma la tristezza in gioia, lo sconforto in speranza.

Signore Gesù, donami lo Spirito della Carità che mi spinga fuori dal vicolo cieco delle paure di coinvolgermi nelle vicende dolorose dei miei fratelli e di rimanere insieme a loro all’ombra della croce. Guarisci il mio modo di giudicare la realtà che accentua le mie disgrazie e ingrandisce l’altrui apparente tranquillità e libertà. Donami, Signore, la sapienza di misurare il tempo della mia vita valutando il suo valore in base al criterio dell’amore donato e ricevuto. Tu che con la tua morte hai posto un limite alle tenebre e con la risurrezione hai ridotto all’impotenza la morte, infondi nel cuore la certa speranza che le ore del dolore sono contate, come quelle del parto, ma che ad esse segue l’eterna gioia e il giorno senza tramonto.