
LA CHIESA DEL RISORTO, GREMBO DI DIO – II DOMENICA DI PASQUA o della Divina Misericordia (ANNO C) – LECTIO DIVINA
II DOMENICA DI PASQUA o della Divina Misericordia (ANNO C) – LECTIO DIVINA

O Padre di misericordia,
che in questo giorno santo raduni il tuo popolo
per celebrare il memoriale
del Signore morto e risorto,
effondi il tuo Spirito sulla Chiesa
perché rechi a tutti gli uomini
l’annuncio della salvezza e della pace.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.
Dagli Atti degli Apostoli At 5,12-16
Venivano aggiunti credenti al Signore, una moltitudine di uomini e di donne.
Molti segni e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli apostoli. Tutti erano soliti stare insieme nel portico di Salomone; nessuno degli altri osava associarsi a loro, ma il popolo li esaltava.
Sempre più, però, venivano aggiunti credenti al Signore, una moltitudine di uomini e di donne, tanto che portavano gli ammalati persino nelle piazze, ponendoli su lettucci e barelle, perché, quando Pietro passava, almeno la sua ombra coprisse qualcuno di loro.
Anche la folla delle città vicine a Gerusalemme accorreva, portando malati e persone tormentate da spiriti impuri, e tutti venivano guariti.
La Chiesa cresce grazie alla testimonianza e non con il proselitismo
Dopo il primo sommario di 2, 42-47, che sottolinea le quattro perseveranze della Chiesa sulle quali si fonda la sua unità, e al secondo di 4,32-35, nel quale si pone l’accento sulla condivisione dei beni quale condizione di comunione e coesione dei credenti in Cristo, Luca ne fa seguire un terzo che sviluppa il tema del potere taumaturgico degli apostoli. Di essi già in 2,43 e in 4,33, si era messa in evidenza l’esercizio del potere di compiere gesti di guarigione; Come nel caso del paralitico che chiedeva l’elemosina alla «porta bella» del tempio, il miracolo è un segno che rimanda direttamente alla presenza operativa di Gesù nel cui nome agiscono gli apostoli. Essi non sono stati dotati di un potere autonomo ma attraverso di loro si manifesta l’autorità del Risorto che è ancora presente in mezzo al popolo per beneficarlo. I segni prodigiosi da una parte sono l’occasione per annunciare Gesù Cristo, dall’altro sono un appello alla conversione e a credere in lui per sperimentare la salvezza al di là della guarigione fisica. Il vangelo è annunciato a tutti a partire dalle opere compiute nella potenza dello Spirito e rivolte ad ogni uomo e donna senza alcun tipo di discriminazione. Luca attribuisce la crescita numerica della Chiesa non all’efficacia dell’opera umana degli apostoli ma direttamente all’azione generativa di Dio, il quale non fallisce mai perché ciò che lo muove è solamente l’amore.
Salmo responsoriale Sal 117
Rendete grazie al Signore perché è buono: il suo amore è per sempre.
Dica Israele:
«Il suo amore è per sempre».
Dica la casa di Aronne:
«Il suo amore è per sempre».
Dicano quelli che temono il Signore:
«Il suo amore è per sempre».
La pietra scartata dai costruttori
è divenuta la pietra d’angolo.
Questo è stato fatto dal Signore:
una meraviglia ai nostri occhi.
Questo è il giorno che ha fatto il Signore:
rallegriamoci in esso ed esultiamo!
Ti preghiamo, Signore: Dona la salvezza!
Ti preghiamo, Signore: Dona la vittoria!
Benedetto colui che viene nel nome del Signore.
Vi benediciamo dalla casa del Signore.
Il Signore è Dio, egli ci illumina.
Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo Ap 1,9-11.12-13.17-19
Ero morto, ma ora vivo per sempre.
Io, Giovanni, vostro fratello e compagno nella tribolazione, nel regno e nella perseveranza in Gesù, mi trovavo nell’isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù.
Fui preso dallo Spirito nel giorno del Signore e udii dietro di me una voce potente, come di tromba, che diceva: «Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese».
Mi voltai per vedere la voce che parlava con me, e appena voltato vidi sette candelabri d’oro e, in mezzo ai candelabri, uno simile a un Figlio d’uomo, con un abito lungo fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d’oro.
Appena lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli, posando su di me la sua destra, disse: «Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo, e il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi. Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle presenti e quelle che devono accadere in seguito».
Il Messia crocifisso e risorto, Signore nella sua Chiesa
L’Apocalisse è l’ultimo libro della Bibbia e offre uno sguardo profetico sulla storia con la luce che promana dall’evento della Pasqua di Cristo. L’autore si presenta col nome di Giovanni e si definisce «fratello e compagno» di chi è nella tribolazione, infatti egli è in esilio a Patmos a causa della professione della propria fede, fatta innanzitutto mediante la coerenza della propria vita. Egli parla come un profeta che ha ricevuto da Gesù la sua vocazione. La descrive con termini che traducono la visione mistica. Il linguaggio utilizza codici simbolici tratti dalla tradizione profetica d’Israele, soprattutto apocalittica. Apocalisse significa rivelazione il cui soggetto è il Cristo, crocifisso e risorto, il Vivente, origine e fine di tutta la creazione. L’incontro con Gesù risorto avviene di domenica, che significa «giorno del Signore». Quella che descrive Giovanni è un’esperienza mistica: viene «preso dallo Spirito. Non si tratta di un’estasi che trasferisce il profeta in un’altra dimensione, ma di un’esperienza di grazia che gli permette di essere alla presenza del Messia, in quale è saldamente sul trono posto in mezzo alle comunità che formano l’unico corpo ecclesiale. La descrizione del Cristo è quella del Messia che esercita la funzione del giudice escatologico. I suoi attributi sono descritti con simboli: l’abito lungo simboleggia il sacerdozio, la fascia d’oro la regalità, i capelli candidi l’eternità, gli occhi come fiamme di fuoco rimandano alla capacità scrutare in profondità i cuori, i piedi di bronzo simboleggiano la stabilità. Il numero sette indica la totalità e le stelle sono la cifra simbolica della Chiesa, formata da molte piccole comunità che nel buio della notte dovrebbero risplendere, e che sono saldamente in mano al Signore che le governa. Ad esse Gesù rivolge parole che mirano a toccare il cuore e a convertirlo.
Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 20,19-31
Otto giorni dopo venne Gesù.
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

LECTIO
Contesto
Il capitolo 20 del vangelo di Giovanni è dedicato agli eventi accaduti nel primo giorno della settimana che inizia la mattina presto, quando è ancora buio, con la scoperta della tomba vuota. I protagonisti delle prime scene sono Maria Maddalena e i discepoli che corrono verso il sepolcro trovato aperto. Seguono altre due scene in cui Gesù risorto appare a Maria Maddalena al sepolcro e ai discepoli riuniti nel cenacolo. L’ultima scena accade otto giorni dopo, ancora nel primo giorno della settimana. In quello che prenderà il nome di domenica, il giorno del Signore, Gesù appare nuovamente ai discepoli riuniti nel cenacolo tra i quali questa volta c’è anche Tommaso che era assente la settimana precedente e che non aveva creduto all’annuncio dei suoi compagni.
Maria Maddalena vede la tomba aperta perché la pietra sepolcrale posta all’ingresso era stata tolta. Conclude che il corpo di Gesù è stato trafugato e corre ad informare i discepoli. Due di essi corrono verso la tomba e vi entrano. All’interno vedono solo i teli e il sudario. Non sanno cosa pensare. Quei segni rimangono muti perché ancora non avevano compreso la Scrittura che annunciava la risurrezione dai morti.
Maria Maddalena, convinta del trafugamento del cadavere, rimane vicino la tomba a piangere. Il suo dolore è talmente forte che non riesce a riconoscere la novità di ciò che è accaduto sia quando vede i due angeli nel sepolcro, sia quando Gesù stesso le è davanti ma confonde con il custode del giardino. Il dialogo con questi personaggi verte sul suo dolore: «Donna, perché piangi?». Maria Maddalena si lascia interrogare ed ella risponde manifestando il suo dolore ma anche la volontà di recuperare il corpo di Gesù, costi quel che costi. Solo quando sente pronunciare il suo nome la Maddalena riconosce Gesù e lo chiama Maestro. Maria rispondendo alla chiamata di Gesù accetta di essergli discepola. Gesù le rivela che il suo cammino si sta compiendo andando verso il Padre. È questa la risurrezione, il cammino verso il Padre. Le affida anche un messaggio per i suoi fratelli per invitarli a seguirlo verso la casa del Padre suo che è diventato anche Padre nostro. La discepola del Risorto annuncia il messaggio di Gesù non prima di aver offerto le sue credenziali di credibilità dicendo di aver visto il Signore.
Testo
La pericope liturgica riguarda il racconto dell’incontro di Gesù con i discepoli ed è articolata in due scene: la prima narra l’apparizione di Gesù ai discepoli, la sera del primo giorno della settimana (vv. 19-23); la seconda, avvenuta otto giorni dopo, riporta la manifestazione di Gesù, di nuovo ai discepoli, tra cui figura anche Tommaso (vv. 24-29).
L’insistenza sul fatto che le apparizioni si siano verificate nel primo giorno della settimana e anche al compimento dell’ottavo giorno, segnala che per la prima comunità cristiana quello era il giorno nel quale la Chiesa si riuniva per fare memoria della passione e della risurrezione di Gesù, spezzando il pane (cf. At 20,7; 1 Cor 16,2; Ap 1,10). Prima della fine di quel giorno anche i fratelli di Gesù, riuniti nel cenacolo ancora molto timorosi per la reazione dei Giudei, ricevono la sua visita. Infatti, è Gesù che viene e sta in mezzo alla comunità alla quale offre la pace. Questa è la caratteristica del Giorno del Signore quando la comunità si riunisce. Essa è in un luogo dalle porte chiuse, segno del fatto che la Chiesa terrena ha sempre dei limiti, delle chiusure. La comunità dei discepoli, contrariamente al sepolcro aperto, è chiusa nella sua paura. In essa ci sono assenze che pesano. La paura dei discepoli è un segno evidente che l’annuncio di Maria, non è riuscita a rompere quelle barriere difensive erette a protezione e di cui le porte chiuse sono un simbolo. Contrariamente al sepolcro, Gesù è vivo e presente in mezzo alla comunità. La sua non è un’assenza colmata da segni che ne evocano la presenza. Gesù è presente nella Chiesa come forza che genera vita e che trasforma i testimoni oculari in ministri della misericordia. Gesù è nella Chiesa e partecipa ad essa la missione di essere nel mondo via di pace e di riconciliazione. Lo stare di Gesù in mezzo, così vivo e vivificante, contrasta con la staticità mortale dello stare dei discepoli nel cenacolo.
Gesù afferma la sua presenza che non è vincolata al permesso accordatogli dagli uomini. La Chiesa è sua e la sua presenza è stabile, centrale e sorgente di benedizione. Il Risorto non è un fantasma o uno spirito, ma egli è nella Chiesa presente con il suo corpo vivo e vivificante, tant’è che mostra le ferite della passione impresse nelle mani e nel costato. L’ostensione delle ferite delle mani e del costato (v.20) identifica il Risorto col crocifisso. La gioia dei discepoli nel rivedere Gesù viene dalla consapevolezza che la risurrezione non è una vaga e vana utopia ma è realtà che permette di permanere nella relazione con Gesù, anche se in una maniera del tutto nuova. Si compie quel ribaltamento, che Gesù aveva preannunciato in 16, 16.17.19.22, per il quale i discepoli passano dalla tristezza alla gioia. Non è solo il tempo in cui i discepoli vedono Gesù nuovamente, ma anche quello nel quale lo vedono in maniera nuova, lo riconoscono Messia. Anche Gesù, li vede di nuovo e il suo cuore si riempie di gioia. Con questo gesto Gesù fa memoria del suo sacrificio sulla croce dal quale è scaturita la benedizione di Dio simboleggiati dal dono dello Spirito e dall’acqua e sangue sgorgati dal costato aperto. Il mostrare le piaghe del suo corpo e il soffiare rimandano al momento nel quale Gesù, morendo, aveva consegnato lo Spirito e il soldato gli aveva aperto il costato da cui era uscito sangue e acqua. Gesù nell’ora della morte afferma che tutta la Scrittura è ormai compiuta.
La formula «pace a voi», ripetuta tre volte (vv. 19.21.26) sulla bocca di Gesù non è solamente un saluto o un augurio ma è il nome del dono del Risorto che abilita i discepoli ad uscire allo scoperto ed essere suoi coraggiosi testimoni. La Pace del Risorto è la dotazione personale degli apostoli missionari.
La consegna dello Spirito è l’atto con il quale si compie la volontà del Padre e ciò per cui il Figlio era stato inviato nel mondo. Gesù è mandato dal Padre non per condannare ma per salvare. Innalzato sulla croce attira tutti a sé. Gesù non è stato portato via ma è stato innalzato verso il Padre. Egli non è stato portato via, ma è diventato «Via» verso il Padre suo e Padre nostro, Dio suo e Dio nostro. Il dono dello Spirito Santo è dato ai discepoli perché essi, credendo, partecipino alla stessa missione del Maestro e Signore. Come Gesù è stato inviato dal Padre per condurre a Lui tutti i figli dispersi, così anche i discepoli, riuniti attorno a Gesù diventano missionari del perdono affinché tutti, credendo, possano ricevere il dono della salvezza, la vita eterna.
Sulla croce Gesù è stato consacrato Sacerdote, l’unico che con l’offerta della sua vita ha permesso la purificazione di tutti gli uomini e la loro riconciliazione con il Padre. Con la sua morte Gesù è diventato fratello di ogni uomo offrendoci la possibilità di diventare figli di Dio. Il perdono dei peccati, mediante l’effusione dello Spirito dalla croce, ci ha fatto rinascere come figli di Dio. Questo dono diventa anche missione verso gli altri fratelli condividendo con loro il dono della misericordia di Dio. La benedizione, il gesto di alitare e la parola che lo spiega, rivelano e comunicano ai discepoli la stessa missione di Gesù nel mondo. La vocazione dei discepoli è quella di rendere visibile a tutti la misericordia di Dio e offrire i benefici del perdono. Gli apostoli, ricevendo il dono dello Spirito Santo, sono consacrati per la missione. L’apostolato è legato indissolubilmente alla santificazione della quale diviene l’ambito in cui si realizza. La missione degli apostoli è quella di essere «l’onda lunga» del Signore che con il suo sacrificio ha riconciliato il mondo col Padre e lo ha santificato perché ogni figlio d’uomo possa conformarsi al Figlio di Dio.
La seconda parte della pericope liturgica (vv. 24-29) inizia con un intermezzo nel quale ritorna in scena Tommaso, chiamato «Didimo», ovvero «gemello». I suoi compagni vorrebbero convincerlo della realtà della risurrezione, annunciata dalla Maddalena, ma egli pone delle condizioni ben precise: essere trattato come gli altri. Una cosa è credere alla parola dei suoi compagni, altra cosa è credere in Gesù, crocifisso risorto. Anche lui vuole vedere i segni nel corpo che sono stati mostrati da Gesù agli altri. Più che una prova, Tommaso lega la fede al contatto personale con Gesù. L’annotazione temporale, che colloca l’episodio otto giorni dopo quello descritto nella scena precedente, connette ancora una volta la comunità riunita al giorno del Signore. In tal modo l’evangelista suggerisce discretamente che nell’assemblea liturgica domenicale è possibile fare esperienza del Signore risorto dal quale ricevere il dono dello Spirito Santo.
Le parole che Gesù rivolge a Tommaso non sono semplicemente il segno dell’accondiscendenza alle condizioni poste dall’apostolo, ma indicazioni che permettono al «gemello» di mettersi al passo con gli altri compagni che, al vedere Gesù erano passati dalla tristezza alla gioia. Quella di Tommaso è diffidenza nei confronti degli altri discepoli la cui testimonianza non era stata accolta. L’incontro con Gesù risorto, come era accaduto la settimana prima ai suoi compagni, e il dono della pace attiva in coloro che ricevono lo Spirito Santo un cambiamento che trasforma la diffidenza (essere incredulo) in confidenza (con la comunità riunita per l’eucaristia).
Al pari del «Rabbounì» pronunciato dalla Maddalena, l’espressione di Tommaso «Mio Signore e mio Dio» traduce in parole la gioia della fede che trabocca dal cuore ricolmo del dono dello Spirito riversato mediante la Parola. Se Maria Maddalena è l’immagine della Chiesa sposa, Tommaso rappresenta la Chiesa comunità di fratelli di Gesù che lo riconoscono come proprio «gemello», figli di un medesimo Padre, vivificati dallo stesso Spirito. Vedere Gesù significa vedere il Padre e credere è sinonimo di amare. La beatitudine espressa da Gesù trova eco nelle parole che Pietro rivolge ai cristiani che, pur nelle prove, perseverano nella fede: «Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la salvezza delle anime» (1 Pt 1, 8-9). Beato non è tanto colui che giunge ad una certezza, ma colui che progredisce nel buio della prova, illuminato interiormente dalla certezza di essere amato, fino a giungere alla pienezza della gioia nella comunione dei santi.
La testimonianza della propria esperienza con Gesù risorto non è il contenuto essenziale della missione ma la spinta iniziale ad andare dai fratelli per camminare insieme incontro a lui. Il cuore della fede non è l’esperienza dei singoli, ma l’incontro con Cristo risorto che viene a farsi toccare e così introdurci nel grande mistero dell’amore di Dio attraverso le sue ferite. Questo avviene la domenica nell’eucaristia. Gesù prende la nostra mano, come quella di Tommaso perché il contatto con la sua carne apra gli occhi non solamente per riconoscere che la resurrezione è un fatto storico ma che ha valore per me anche oggi. Oggi riconosco quanto è grande l’amore di Dio per me: ha dato suo Figlio per salvarmi e riconciliarmi con Lui.

MEDITATIO – Gemelli diversi
La pagina del vangelo di Giovanni narra ciò che avviene nel primo giorno della settimana, che noi chiamiamo domenica. Gesù prima si è rivelato a Maria Maddalena presso il giardino dove si trovava la tomba poi, la sera dello stesso giorno e dopo otto giorni, ai discepoli che invece erano chiusi nel cenacolo. I cristiani vivono la domenica come il giorno santo nel quale incontrarsi per incontrare Gesù. É lui il centro della comunità. L’evangelista lo ribadisce chiaramente quando ripete che Gesù «venne, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: “Pace a voi”». La presenza di Gesù cambia la fisionomia di quell’assemblea. La Chiesa, infatti, non si autoconvoca e non si riunisce semplicemente per stare insieme o farsi compagnia illudendosi in questo modo di potersi difendere dalle minacce esterne. Le porte chiuse del cenacolo indicano una comunità ripiegata su sé stessa e preoccupata solo dell’autoconservazione. I discepoli sono accomunati dalla medesima paura ma questo non significa che sono uniti. La differenza tra la comunità prima e dopo l’incontro con Cristo sta nell’essere concordi e unanimi. Il vero volto della Chiesa è fatto da uomini e donne che, incontrando Gesù, si lasciano cambiare il cuore e con esso il proprio modo di pensare e di vivere. La concordia e l’unanimità sono le caratteristiche di una Chiesa in festa perché attinge dalla mensa eucaristica i beni spirituali necessari per condividere con i fratelli anche i beni materiali. La domenica è il giorno della festa e della famiglia perché nell’incontro con Gesù condividiamo con lui la gioia dello Spirito e ci scambiamo come fratelli il dono della Pace. Il corpo di Gesù, che supera le barriere del tempo e dello spazio, non solamente viene mostrato ma anche donato. Attraverso la sua parola, simboleggiata dall’alito, Gesù ci dona lo Spirito Santo affinché il nostro corpo, come quello suo, comunichi agli altri il bene della gioia con lo sguardo benevolo, l’ascolto attento, le parole benedicenti, i contatti delicati e rispettosi.
L’incontro con Gesù nell’eucaristia domenicale è una forte esperienza di fede che inizia col vedere, prima forma di contatto, e che poi giunge al toccare il suo corpo non per afferrarlo, ma per riceverlo in dono. Questo perché non rimaniamo spettatori distanti che provano momentaneamente l’emozione della gioia ma che non sono capaci di comunicarla agli altri. Sapere che il Signore ci ha amato fino a morire per noi può commuoverci come quando vediamo un film, ma non convertirci. Tommaso, detto Dìdimo, che significa gemello, è il fratello che ci rimanda alla realtà dei fatti e ridimensiona l’euforia dell’evento. La gioia è cosa diversa dall’entusiasmo. La fede non si trasmette attraverso riti collettivi e neanche attraverso meeting di massa, ma mediante il contatto personale, corpo a corpo, cuore a cuore, vita a vita.
Tommaso da una parte è il nostro fratello gemello che stigmatizza il fatto di vivere la fede semplicemente nella sua dimensione cerebrale e rituale e rivendica il bisogno di fare esperienze concrete e dirette con Gesù che coinvolgano tutti i sensi; dall’altra ci mostra che diventare credenti significa diventare fratelli gemelli di Gesù. Tommaso, con la sua professione di fede, è modello del cristiano che è tale non perché è membro di un gruppo di fratelli, ma perché vuole appartenere a Cristo ed essergli gemello in morte e in vita.
ORATIO
Signore Gesù, che vieni a visitare i tuoi fratelli
per portare loro la pace,
entra anche nel mio cuore indurito dalla paura
e guariscilo con il dono del tuo Spirito.
Grazie per la delicatezza
con la quale ti fai presente,
dolce e discreto ospite dei miei giorni tristi.
Sii tu il centro del mio tempo
e la tua parola sia sorgente continua
d’ispirazione delle mie scelte.
Le ferite del tuo corpo
sono i sigilli di autenticità
del tuo amore per me.
Eterna è la tua misericordia!
In essa possa trovare rifugio
e forza per ricominciare.
Purifica e aumenta la mia fede,
conquistami con il tuo amore
affinché il mio cuore appartenga a te.
Signore Gesù,
vieni in mezzo ai tuoi discepoli,
vittime della paura,
vieni e rimani con noi
che siamo separati in casa,
vieni e dona la Pace a noi che siamo
ricchi d’orgoglio e poveri d’umiltà.
Come in uno specchio mostrami
la bruttura del peccato
perché sia spezzato l’incantesimo ingannevole
dell’ambizione e dell’avidità.
Guarisci con il balsamo della misericordia
le ferite del peccato,
avvolgimi con il manto regale
della vera libertà per ricevere sul capo
la corona di gloria che non appassisce.
Lo Spirito Santo, come olio di letizia,
scenda e ci unga, consacrandoci per la missione
di essere collaboratori della gioia
dei nostri fratelli
privi di ogni desiderio di vana gloria
ma unicamente fedeli
al comandamento dell’amore vicendevole.
Accresci in noi la fede
affinché non facciamo finta di amare,
cercando solamente il nostro interesse,
ma aiutaci a offrire i nostri corpi perché,
mediante la tua intercessione,
la nostra vita sia un sacrificio gradito a Dio
per il bene nostro e di tutta la tua santa Chiesa. Amen.
