
VEGLIA PASQUALE NELLA NOTTE SANTA

Fratelli e sorelle, dopo il solenne inizio della Veglia,
ascoltiamo con cuore sereno la parola di Dio.
Meditiamo come nell’antica alleanza Dio ha salvato il suo popolo
e nella pienezza dei tempi ha mandato a noi
il suo Figlio come redentore.
Preghiamo perché Dio, nostro Padre, porti a compimento
quest’opera di salvezza realizzata nella Pasqua.
Prima lettura
Dal libro della Gènesi Gen 1, 1.26-31
In principio Dio creò il cielo e la terra.
Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: dòmini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra».
E Dio creò l’uomo a sua immagine;
a immagine di Dio lo creò:
maschio e femmina li creò.
Dio li benedisse e Dio disse loro:
«Siate fecondi e moltiplicatevi,
riempite la terra e soggiogatela,
dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo
e su ogni essere vivente che striscia sulla terra».
Dio disse: «Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra, e ogni albero fruttifero che produce seme: saranno il vostro cibo. A tutti gli animali selvatici, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde». E così avvenne. Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona.
La Parola creatrice
Il libro della Genesi si apre con un duplice racconto della creazione. Nel primo Dio pronuncia dieci parole in seguito alle quali si compone il cosmo. Dio crea con la sua parola che realizza quello che significa. Il primo effetto della parola è fare del caos originario un cosmo che risponde alla Sua volontà. Gli elementi creati si dispongono in un ordine grazie al quale sono uno in relazione all’altro. In tal modo, ognuno degli elementi creati, proprio perché corrisponde alla parola che l’ha fatto, appare buono agli occhi di Dio. L’azione creatrice di Dio consiste nel dare un nome particolare a ciò che ha creato con la parola. Ogni realtà riceve un nome grazie al quale essa continuerà ad esistere. Chiamare per nome o cambiare il nome è un’azione attraverso la quale si vuole riconoscere che c’è un legame di appartenenza. Il mondo creato appartiene a Dio perché lui ne è l’origine, l’artefice e la condizione perché esista. La parola creatrice di Dio è parola di vita. Essa non è qualcosa di statico ma dinamico perché è il risultato di un processo generativo. Il comandamento è la parola con la quale si partecipa alla creatura vivente la forza generativa che risiede in Dio. Sicché la creazione ha due principi generativi, il primo è Dio e l’altro risiede nella creazione stessa che, in obbedienza al comando ricevuto, partecipa alla Sua attività creativa. Nella natura è iscritta la legge della riproduzione ma anche quella della collaborazione per cui gli elementi del creato si alleano affinché la vita continui. La natura suggerisce che fare la volontà di Dio significa garantirsi la vita.
Il vertice della creazione
Nel primo racconto della creazione il vertice si raggiunge con la creazione dell’uomo e della donna. Essi sono le uniche creature originate da una parola che Dio rivolge a sé: «Facciamo». L’uomo e la donna appaiono nella parola che rivela la volontà di Dio come partner di un’alleanza diversa da quella che la parola che instaurato con le altre creature. L’uomo e la donna sono costituiti “signori” della creazione. L’esercizio della signoria dell’uomo e della donna è il riflesso di quello di Dio sulla creazione. Il dominio non è sottomissione della creazione ai propri capricci, ma significa esercitare la stessa autorità di Dio, con Dio. L’alimentazione vegetariana è indice del fatto che nell’esercizio dell’autorità l’uomo e la donna non devono usare la violenza. Per vivere non devono uccidere gli animali, ma raccogliere ciò che la terra o gli animali stessi offrono. Dominare significa anche contenere la forza aggressiva che è insita nella natura e che, senza un controllo, riporterebbe tutto al caos originario. Violentare la natura significa turbare quell’equilibrio posto in essere dall’ordine creaturale che trova la sua origine nella volontà di Dio. L’uomo e la donna sono signori del creato nella misura in cui sono custodi e promotori della volontà di Dio. La benedizione che ricevono, e che li costituisce in autorità, deve tradursi in bene-dire e bene-fare affinché si realizzi anche il ben-essere di tutto il mondo.
Salmo responsoriale Sal 103
Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra.
Benedici il Signore, anima mia!
Sei tanto grande, Signore, mio Dio!
Sei rivestito di maestà e di splendore,
avvolto di luce come di un manto.
Egli fondò la terra sulle sue basi:
non potrà mai vacillare.
Tu l’hai coperta con l’oceano come una veste;
al di sopra dei monti stavano le acque.
Tu mandi nelle valli acque sorgive
perché scorrano tra i monti.
In alto abitano gli uccelli del cielo
e cantano tra le fronde.
Dalle tue dimore tu irrighi i monti,
e con il frutto delle tue opere si sazia la terra.
Tu fai crescere l’erba per il bestiame
e le piante che l’uomo coltiva
per trarre cibo dalla terra.
Quante sono le tue opere, Signore!
le hai fatte tutte con saggezza;
la terra è piena delle tue creature.
Benedici il Signore, anima mia.
Orazione
O Dio, che in modo mirabile
ci hai creati a tua immagine
e in modo più mirabile ci hai rinnovati e redenti,
fa’ che resistiamo con la forza dello Spirito
alle seduzioni del peccato,
per giungere alla gioia eterna.
Per Cristo nostro Signore.
Seconda lettura
Dal libro della Gènesi Gen 22,1-2.9.10-13.15-18
Il sacrificio di Abramo, nostro padre nella fede
In quei giorni, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: «Abramo!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va’ nel territorio di Mòria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò».
Così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l’altare, collocò la legna. Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. Ma l’angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!». l’angelo disse: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito».
Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete, impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l’ariete e lo offrì in olocausto invece del figlio.
L’angelo del Signore chiamò dal cielo Abramo per la seconda volta e disse: «Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non hai risparmiato tuo figlio, il tuo unigenito, io ti colmerò di benedizioni e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici. Si diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce».
La (s)legatura
Il capitolo 22 di Genesi è tra i più drammatici per il racconto da cui trasuda tensione fin dalla prima parola. Dio mette alla prova Abramo! Si tratta di una verifica che avviene a conclusione di un itinerario iniziato a Carran dove Abram era stato raggiunto dalla parola del Signore. Anche in quel caso un imperativo, «vattene da …». Dio gli chiede di separarsi dalla casa di suo padre, di lasciare tutto ciò che appartiene a lui, per andare verso una terra che Dio gli farà vedere. Il test serve a rivelare qualcosa che è ancora nascosto. Isacco è un dono di Dio che Abramo ha ricevuto. La verifica intende portare in luce le intenzioni di Abramo nel ricevere il dono, cioè quale relazione instaura con lui. È dunque in gioco la paternità di Abramo. Non basta avere avuto un figlio per essere padre. Per esercitare la paternità bisogna impostare in un determinato modo la relazione con il figlio. Abbiamo già visto in precedenza che la relazione coniugale è stata sanata non perché si è stati fertili, ma perché si è diventati fecondi lasciando che la benedizione di Dio potesse concretizzarsi attraverso un rapporto coniugale riequilibrato.
A Dio che chiama per nome Abramo, lui risponde prontamente con il suo eccomi. Dio lo cerca, lui si fa trovare pronto. Il comando che il Signore gli rivolge ha qualcosa di ambiguo che la traduzione non fa cogliere a pieno ma che la tradizione ebraica ha notato. Dopo aver detto ad Abramo di prendere con sé Isacco, il suo unico figlio, quello amato (unito a lui) e di andare nel territorio di Mòria, comanda: «Fallo salire là per un olocausto». Il comando non dice esplicitamente di offrirlo in sacrificio ma parla in maniera vaga lasciando lo spazio a due interpretazioni.
Al lettore appare chiara l’intenzione di Dio di far emergere la verità ma più ancora di mettere Abramo in crisi in modo tale che la sua scelta lo faccia passare definitivamente sul versante della verità o rimanere su quello della menzogna. In altri termini la domanda riguarda la scelta di relazione che Abramo vuole costruire con Dio e con Isacco. Il figlio unigenito che ama, ovvero quell’unico figlio che gli è rimasto, dopo che ha lasciato andare Ismaele, lo vuole trattenere per sé come un bene che gli appartiene in maniera esclusiva? Oppure riconoscerà in lui il segno della benevolenza del Signore e si aprirà all’altro con fiducia?
Il comando di Dio è volutamente ambiguo perché dall’interpretazione che ne darà Abramo e dalla scelta che farà si rivelerà nella sua vera personalità. In ebraico l’aggettivo unico significa anche unito. Così come lo stesso aggettivo unico in forma sostantivata è sinonimo di Dio e della vita. Dunque, la domanda che crea la suspance si pone in questi termini: Abramo terrà legato a sé Isacco facendolo salire con sé per assistere al sacrificio richiesto oppure lo farà salire come sacrificio, ovvero lo riconoscerà come dono di Dio e lo restituirà come contro-dono a Lui in segno di alleanza? In un certo senso la fecondità della sua paternità dipende dall’umiltà con la quale vive la sua figliolanza a Dio.
Il racconto a questo punto ha un ritmo molto rallentato e le stesse parole di Abramo ai servi prima e la sua risposta a Isacco lasciano il lettore nel vago intuendo così anche il travaglio del patriarca che cerca di capire il senso del comando di Dio e la scelta da compiere. Si può pensare che Abramo si sia posto domande cruciali. È possibile che Dio chieda una cosa che va contro la natura? Un padre potrebbe mai uccidere il proprio figlio, potrebbe una persona, sana di mente, rinunciare alla sua unica vita? Tuttavia, non è altrettanto contro natura legare a sé un figlio sacrificandolo sull’altare della propria possessività? Se Abramo scegliesse di sacrificare suo figlio non si assumerebbe la responsabilità di far naufragare quel progetto che Dio stesso gli ha chiesto di realizzare con Lui? Può Dio chiedergli di assumersi tale responsabilità?
La promessa del ritorno che Abramo fa ai servi è una menzogna perché non intervengano in maniera indebita o perché la sua fiducia è tale che crede che ritornerà da loro con il figlio. La risposta che Abramo dà ad Isacco che gli chiede dove sia l’agnello dell’olocausto: «Dio vedrà per lui l’agnello per l’olocausto» e un modo per celare al figlio le sue reali intenzioni o ha fiducia in Dio che provvederà al sacrificio?
Quali siano le intenzioni di Abramo lo veniamo a sapere solo quando il Patriarca lega Isacco. Ancora il ritmo del racconto rallenta quasi a voler dare tempo a Dio per il suo intervento. Ormai Abramo ha fatto la sua scelta e ha optato per quella più esigente, sacrificare suo figlio.
Ormai quando la intenzione della scelta è chiara Dio chiama Abramo come aveva fatto all’inizio e Abramo risponde prontamente «Eccomi» come se stesse aspettando quella parola. A Dio è bastata vedere l’intenzione di Abramo, quello che nel suo cuore ha scelto di essere. Abramo non si è lasciato vincere dalla paura alimentata dalla cupidigia, non ha voluto trattenere per sé il figlio per garantirsi l’avvenire, ma lo ha offerto a colui che lo aveva donato.
Abramo aveva detto a Isacco che Dio avrebbe visto per lui l’agnello; il patriarca alzando gli occhi vede un ariete e lo offre al posto di Isacco. Quell’ariete, padre dell’agnello, significa Abramo stesso, padre di Isacco, che Dio ha visto perché lui si è lasciato vedere offrendosi sull’altare. Abramo offrendo l’ariete rinuncia alla paternità intesa come possesso, per riceverla da Dio come un dono per sempre.
Quel luogo acquista un nome che ricorda il faccia a faccia tra Dio e Abramo in cui si vede e ci fa federe segno di una relazione nella quale c’è una reciprocità nel dare e nel ricevere, nell’accogliere e nel donare. Dio garantisce ad Abramo che si compirà ciò per cui ha scelto d’impegnare tutta la sua vita: non il possesso di beni, ma l’essere mediatore per tutti i popoli di quella benedizione che non ha trattenuto per sé ma che ha scelto di farne un dono per tutti.
Salmo responsoriale Sal 15
Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio.
Il Signore è mia parte di eredità e mio calice:
nelle tue mani è la mia vita.
Io pongo sempre davanti a me il Signore,
sta alla mia destra, non potrò vacillare.
Per questo gioisce il mio cuore
ed esulta la mia anima;
anche il mio corpo riposa al sicuro,
perché non abbandonerai la mia vita negli inferi,
né lascerai che il tuo fedele veda la fossa.
Mi indicherai il sentiero della vita,
gioia piena alla tua presenza,
dolcezza senza fine alla tua destra.
Orazione
O Dio, Padre dei credenti,
che estendendo a tutti gli uomini il dono dell’adozione filiale
moltiplichi in tutta la terra i tuoi figli,
e nel sacramento pasquale del Battesimo
adempi la promessa fatta ad Abramo
di renderlo padre di tutte le nazioni,
concedi al tuo popolo di rispondere degnamente
alla grazia della tua chiamata.
Per Cristo nostro Signore.
Terza lettura
Dal libro dell’Èsodo Es 14,15- 15,1
Gli Israeliti camminarono sull’asciutto in mezzo al mare.
In quei giorni, il Signore disse a Mosè: «Perché gridi verso di me? Ordina agli Israeliti di riprendere il cammino. Tu intanto alza il bastone, stendi la mano sul mare e dividilo, perché gli Israeliti entrino nel mare all’asciutto. Ecco, io rendo ostinato il cuore degli Egiziani, così che entrino dietro di loro e io dimostri la mia gloria sul faraone e tutto il suo esercito, sui suoi carri e sui suoi cavalieri. Gli Egiziani sapranno che io sono il Signore, quando dimostrerò la mia gloria contro il faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri».
L’angelo di Dio, che precedeva l’accampamento d’Israele, cambiò posto e passò indietro. Anche la colonna di nube si mosse e dal davanti passò dietro. Andò a porsi tra l’accampamento degli Egiziani e quello d’Israele. La nube era tenebrosa per gli uni, mentre per gli altri illuminava la notte; così gli uni non poterono avvicinarsi agli altri durante tutta la notte.
Allora Mosè stese la mano sul mare. E il Signore durante tutta la notte risospinse il mare con un forte vento d’oriente, rendendolo asciutto; le acque si divisero. Gli Israeliti entrarono nel mare sull’asciutto, mentre le acque erano per loro un muro a destra e a sinistra. Gli Egiziani li inseguirono, e tutti i cavalli del faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri entrarono dietro di loro in mezzo al mare.
Ma alla veglia del mattino il Signore, dalla colonna di fuoco e di nube, gettò uno sguardo sul campo degli Egiziani e lo mise in rotta. Frenò le ruote dei loro carri, così che a stento riuscivano a spingerle. Allora gli Egiziani dissero: «Fuggiamo di fronte a Israele, perché il Signore combatte per loro contro gli Egiziani!».
Il Signore disse a Mosè: «Stendi la mano sul mare: le acque si riversino sugli Egiziani, sui loro carri e i loro cavalieri». Mosè stese la mano sul mare e il mare, sul far del mattino, tornò al suo livello consueto, mentre gli Egiziani, fuggendo, gli si dirigevano contro. Il Signore li travolse così in mezzo al mare. Le acque ritornarono e sommersero i carri e i cavalieri di tutto l’esercito del faraone, che erano entrati nel mare dietro a Israele: non ne scampò neppure uno. Invece gli Israeliti avevano camminato sull’asciutto in mezzo al mare, mentre le acque erano per loro un muro a destra e a sinistra.
In quel giorno il Signore salvò Israele dalla mano degli Egiziani, e Israele vide gli Egiziani morti sulla riva del mare; Israele vide la mano potente con la quale il Signore aveva agito contro l’Egitto, e il popolo temette il Signore e credette in lui e in Mosè suo servo.
Allora Mosè e gli Israeliti cantarono questo canto al Signore e dissero:
Il passaggio
Dopo un primo momento in cui il faraone cede alla richiesta degli Israeliti, il suo cuore si fa ancora più duro e, pentendosi del permesso concesso, dispiega tutta la sua forza militare. Sembra che si vergogni per quello che ai suoi occhi appare un chiaro segno di debolezza. Vuole rimediare al suo errore inseguendo un manipolo di persone inermi come se fosse un temibile esercito da combattere. In realtà, quella del faraone è una sfida lanciata a Dio davanti al quale non intende apparire in alcun modo inferiore. In questo consiste l’ostinazione del cuore. Se da una parte la ribellione è alimentata dall’orgoglio ferito, dall’altra è generata dalla paura, come nel caso del popolo che rimprovera Mosè. Egli è profeta perché parla a Dio a nome del popolo e davanti al popolo per conto di Dio. Al grido di dolore e angoscia Dio risponde invitando ad avere fede per non essere schiavi della paura. La fede è la prima forma di libertà nella quale si sperimenta l’emancipazione da qualsiasi condizionamento interiore. La fede è obbedienza alla parola di Dio che è possibile quando si antepone la verità, ovvero la Parola che guida, all’opinione personale la quale spesso alimenta il conflitto. Non si tratta di vedere per credere, perché già dieci sono stati i segni visibili e rivelatori della potenza di Dio, ma di credere per vedere, ovvero sperimentare la gloria di Dio. Vedere significa entrare in un rapporto di reciproca appartenenza. La paura acceca, mentre la fede vede oltre il buio per andare incontro a Colui che è misterioso perché non si può prendere e “comprendere”.
C’è una sola strada percorsa dagli Israeliti e dagli Egiziani; per gli uni è una via di salvezza, per gli altri di perdizione. La colonna di nube si frappone tra i due gruppi separandoli. Gli Israeliti attraversano il mare all’asciutto secondo la Parola di Dio, mentre gli Egiziani inseguono gli Israeliti in obbedienza ai comandi del Faraone. Gli Israeliti e gli Egiziani obbediscono, i primi a Dio e i secondi al Faraone. Il mare rappresenta la forza della Parola e della potenza militare. Gli Israeliti vedono che il mare è come una muraglia a destra e a sinistra, simbolo della Legge che guida verso la libertà, mentre gli Egiziani subiscono gli effetti mortiferi dell’obbedienza ai precetti del male.
Salmo responsoriale Es 15,1-7a.17-18
Cantiamo al Signore: stupenda è la sua vittoria!
«Voglio cantare al Signore,
perché ha mirabilmente trionfato:
cavallo e cavaliere
ha gettato nel mare.
Mia forza e mio canto è il Signore,
egli è stato la mia salvezza.
è il mio Dio: lo voglio lodare,
il Dio di mio padre: lo voglio esaltare!
Il Signore è un guerriero,
Signore è il suo nome.
I carri del faraone e il suo esercito
li ha scagliati nel mare;
i suoi combattenti scelti
furono sommersi nel Mar Rosso.
Gli abissi li ricoprirono,
sprofondarono come pietra.
la tua destra, Signore,
è gloriosa per la potenza,
la tua destra, Signore,
annienta il nemico.
Tu lo fai entrare e lo pianti
sul monte della tua eredità,
luogo che per tua dimora,
Signore, hai preparato,
santuario che le tue mani,
Signore, hanno fondato.
Il Signore regni
in eterno e per sempre!».
Orazione
O Dio, che hai rivelato nella luce della nuova alleanza
il significato degli antichi prodigi
così che il Mar Rosso fosse l’immagine del fonte battesimale
e il popolo liberato dalla schiavitù
prefigurasse il popolo cristiano,
concedi che tutti gli uomini,
mediante la fede,
siano resi partecipi del privilegio dei figli d’Israele
e siano rigenerati dal dono del tuo Spirito.
Per Cristo nostro Signore.
Quarta lettura
Dal libro del profeta Isaìa Is 54,5-14
Con affetto perenne il Signore, tuo redentore, ha avuto pietà di te
Tuo sposo è il tuo creatore,
Signore degli eserciti è il suo nome;
tuo redentore è il Santo d’Israele,
è chiamato Dio di tutta la terra.
Come una donna abbandonata
e con l’animo afflitto, ti ha richiamata il Signore.
Viene forse ripudiata la donna sposata in gioventù?
dice il tuo Dio.
Per un breve istante ti ho abbandonata,
ma ti raccoglierò con immenso amore.
In un impeto di collera
ti ho nascosto per un poco il mio volto;
ma con affetto perenne
ho avuto pietà di te,
dice il tuo redentore, il Signore.
Ora è per me come ai giorni di Noè,
quando giurai che non avrei più riversato
le acque di Noè sulla terra;
così ora giuro di non più adirarmi con te
e di non più minacciarti.
Anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero,
non si allontanerebbe da te il mio affetto,
né vacillerebbe la mia alleanza di pace,
dice il Signore che ti usa misericordia.
Afflitta, percossa dal turbine, sconsolata,
ecco io pongo sullo stibio le tue pietre
e sugli zaffìri pongo le tue fondamenta.
Farò di rubini la tua merlatura,
le tue porte saranno di berilli,
tutta la tua cinta sarà di pietre preziose.
Tutti i tuoi figli saranno discepoli del Signore,
grande sarà la prosperità dei tuoi figli;
sarai fondata sulla giustizia.
Tieniti lontana dall’oppressione, perché non dovrai temere,
dallo spavento, perché non ti si accosterà.
La riconciliazione e la fecondità ritrovata
La quarta lettura presenta un oracolo profetico che accosta l’immagine della Sposa, prima ripudiata e poi sposata di nuovo, a quella della nuova Gerusalemme, distrutta a causa del suo peccato e poi ricostruita, segno di un’alleanza nuziale perenne; è il tema dell’alleanza rivelato in chiave di amore coniugale. La profezia di Isaia riafferma il fondamento del percorso verso la libertà: il rapporto di reciproco innamoramento fra Dio e il popolo. Prima dell’alleanza, Israele era come una ragazza nubile, che non trovava marito, sola e senza figli, oltraggiata. Con l’alleanza, Israele è sposa del Signore e madre feconda. Per la sua infedeltà è stata ripudiata dal marito ed è restata come vedova, un’altra volta sola e senza figli. Ma Dio, fedele al suo amore, ricorda il suo giuramento con il quale si è impegnato con lei. Il ripudio e l’abbandono sono temporanei. Dio torna a sposare Israele: questa è la sua conversione. La sposa ritorna ad essere amata e fecondata: questa è la speranza che fonda la sua conversione, il suo ritorno a Dio. La riconciliazione, dono gratuito dello Sposo divino, è eterna e universale. A tutti, attraverso Israele, è offerta l’alleanza con Dio.
Salmo responsoriale Sal 29
Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato.
Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato,
non hai permesso ai miei nemici di gioire su di me.
Signore, hai fatto risalire la mia vita dagli inferi,
mi hai fatto rivivere perché non scendessi nella fossa.
Cantate inni al Signore, o suoi fedeli,
della sua santità celebrate il ricordo,
perché la sua collera dura un istante,
la sua bontà per tutta la vita.
Alla sera ospite è il pianto
e al mattino la gioia.
Ascolta, Signore, abbi pietà di me,
Signore, vieni in mio aiuto!
Hai mutato il mio lamento in danza;
Signore, mio Dio, ti renderò grazie per sempre.
Orazione
Dio onnipotente ed eterno, moltiplica a gloria del tuo nome
la discendenza promessa alla fede dei patriarchi
e aumenta il numero dei tuoi figli,
perché la Chiesa veda realizzato il disegno universale di salvezza,
nel quale i nostri padri avevano fermamente sperato.
Per Cristo nostro Signore.
Quinta lettura
Dal libro del profeta Isaìa Is 55,1-11
Venite a me e vivrete; stabilirò per voi un’alleanza eterna
Così dice il Signore:
«O voi tutti assetati, venite all’acqua,
voi che non avete denaro, venite;
comprate e mangiate; venite, comprate
senza denaro, senza pagare, vino e latte.
Perché spendete denaro per ciò che non è pane,
il vostro guadagno per ciò che non sazia?
Su, ascoltatemi e mangerete cose buone
e gusterete cibi succulenti.
Porgete l’orecchio e venite a me,
ascoltate e vivrete.
Io stabilirò per voi un’alleanza eterna,
i favori assicurati a Davide.
Ecco, l’ho costituito testimone fra i popoli,
principe e sovrano sulle nazioni.
Ecco, tu chiamerai gente che non conoscevi;
accorreranno a te nazioni che non ti conoscevano
a causa del Signore, tuo Dio,
del Santo d’Israele, che ti onora.
Cercate il Signore, mentre si fa trovare,
invocàtelo, mentre è vicino.
l’empio abbandoni la sua via
e l’uomo iniquo i suoi pensieri;
ritorni al Signore che avrà misericordia di lui
e al nostro Dio che largamente perdona.
Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri,
le vostre vie non sono le mie vie. Oracolo del Signore.
Quanto il cielo sovrasta la terra,
tanto le mie vie sovrastano le vostre vie,
i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri.
Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo
e non vi ritornano senza avere irrigato la terra,
senza averla fecondata e fatta germogliare,
perché dia il seme a chi semina
e il pane a chi mangia,
così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca:
non ritornerà a me senza effetto,
senza aver operato ciò che desidero
e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata».
La Parola, messaggero di Dio che attiva processi di salvezza
La quinta lettura presenta il banchetto a cui Dio invita, ove il nutrimento offerto è la sua parola sotto le immagini dell’acqua e del pane. L’araldo adotta lo stile di un banditore ambulante (come la sapienza in Pr 1,20 e 8,1). Offre una mercanzia abbondante ed eccellente: i beni fondamentali della vita e la vita stessa. La mercanzia è il suo stesso messaggio, la promessa che genera la speranza. Acqua e pane del primo esodo, latte della terra promessa, vino del banchetto. Sono i simboli della festa che Dio prepara per chi ritorna a lui, e dell’alleanza nuova che sta per iniziare e che non avrà fine. Ad essa sono invitati tutti i popoli. Nella liturgia della veglia pasquale l’interpretazione unisce il cibo della parola di Dio e il cibo dell’eucaristia. Parola e cammino caratterizzano l’annuncio profetico che risulta a volte «incredibile» e paradossale, come nel caso della figura del servo sofferente (Is 53). Solo se l’uomo accetta di superare la propria prospettiva e il suo piccolo orizzonte raso terra per entrare nella logica di Dio, può sperimentare la concretezza storica della Parola. Il popolo si trova alla vigilia del suo mettersi in cammino. Non si tratta di un semplice trasferimento geografico ma di un itinerario interiore di conversione che richiede il decentramento da sé e l’abbandono del peccato: così l’uomo risponde all’azione storica di Dio e la realizza in pienezza, dentro e fuori. La parola di Dio, paragonata prima al frumento, viene ora accostata alla pioggia: benedizione primaria di Dio, irrigazione che feconda e fa nascere. L’acqua attiva un processo di fecondità perché libera potenzialità e attività. Il tema dell’acqua poi richiama il sacramento del battesimo. Dio si offre per una relazione nella quale ama l’uomo gratuitamente e per una nuova alleanza che si estende a tutta l’umanità, superando i limiti del nazionalismo religioso. Il profeta ribadisce l’intervento di Dio per la liberazione dell’uomo per mezzo della sua Parola efficace. La parola che esce dalla bocca di Dio è il suo messaggero il cui dire e operare è rivelatore della sapienza e promotore della grazia del signore.
Salmo responsoriale Is 12,2-6
Attingeremo con gioia alle sorgenti della salvezza.
Ecco, Dio è la mia salvezza;
io avrò fiducia, non avrò timore,
perché mia forza e mio canto è il Signore;
egli è stato la mia salvezza.
Attingerete acqua con gioia
alle sorgenti della salvezza.
Rendete grazie al Signore e invocate il suo nome,
proclamate fra i popoli le sue opere,
fate ricordare che il suo nome è sublime.
Cantate inni al Signore, perché ha fatto cose eccelse,
le conosca tutta la terra.
Canta ed esulta, tu che abiti in Sion,
perché grande in mezzo a te è il Santo d’Israele.
Orazione
Dio onnipotente ed eterno, unica speranza del mondo,
che mediante l’annuncio dei profeti
hai rivelato i misteri che oggi celebriamo,
ravviva la nostra sete di te,
perché soltanto con l’azione del tuo Spirito
possiamo progredire nelle vie del bene.
Per Cristo nostro Signore.
Sesta lettura
Dal libro del profeta Baruc Bar 3,9-15.32 – 4,4
Cammina allo splendore della luce del Signore
Ascolta, Israele, i comandamenti della vita,
porgi l’orecchio per conoscere la prudenza.
Perché, Israele? Perché ti trovi in terra nemica
e sei diventato vecchio in terra straniera?
Perché ti sei contaminato con i morti
e sei nel numero di quelli che scendono negli inferi?
Tu hai abbandonato la fonte della sapienza!
Se tu avessi camminato nella via di Dio,
avresti abitato per sempre nella pace.
Impara dov’è la prudenza,
dov’è la forza, dov’è l’intelligenza,
per comprendere anche dov’è la longevità e la vita,
dov’è la luce degli occhi e la pace.
Ma chi ha scoperto la sua dimora,
chi è penetrato nei suoi tesori?
Ma colui che sa tutto, la conosce
e l’ha scrutata con la sua intelligenza,
colui che ha formato la terra per sempre
e l’ha riempita di quadrupedi,
colui che manda la luce ed essa corre,
l’ha chiamata, ed essa gli ha obbedito con tremore.
le stelle hanno brillato nei loro posti di guardia
e hanno gioito;
egli le ha chiamate ed hanno risposto: «Eccoci!»,
e hanno brillato di gioia per colui che le ha create.
Egli è il nostro Dio,
e nessun altro può essere confrontato con lui.
Egli ha scoperto ogni via della sapienza
e l’ha data a Giacobbe, suo servo,
a Israele, suo amato.
Per questo è apparsa sulla terra
e ha vissuto fra gli uomini.
Essa è il libro dei decreti di Dio
e la legge che sussiste in eterno;
tutti coloro che si attengono ad essa avranno la vita,
quanti l’abbandonano moriranno.
Ritorna, Giacobbe, e accoglila,
cammina allo splendore della sua luce.
Non dare a un altro la tua gloria
né i tuoi privilegi a una nazione straniera.
Beati siamo noi, o Israele,
perché ciò che piace a Dio è da noi conosciuto.
Via che riconduce al Padre e introduce nella vera vita
L’incipit della sesta lettura, tratta dal profeta Baruc, fa eco a Dt 4,1.6; 6,4 in cui si invita all’ascolto della Parola, i comandamenti di Dio, la Sapienza contenuta nella rivelazione. L’oracolo profetico, attraverso delle domande, provoca la riflessione sull’origine della propria condizione di sofferenza e morte. Israele si trova in esilio in terra straniera. Come i morti contaminano con il loro contatto, anche mediato, similmente vivere in terra straniera significa essere come morti. Tuttavia, questa condizione non è definitiva perché Dio apre la strada del ritorno, come l’aveva tracciata nel deserto per condurre alla terra promessa. Questa via sono i comandamenti che introducono nel riposo della pace. Ogni uomo desidera la pace ma sbaglia il modo di cercarla e fallisce il tentativo di trovarla se percorre strade alternative ai comandamenti. Esse, infatti, portano ad un deserto senza via d’uscita. L’autore segue Gb 28 che presenta la sapienza come il tesoro nascosto da cercare e trovare in una terra ancora sconosciuta. Dio è il detentore della Sapienza perché ne è anche l’origine. La creazione è eco dell’efficacia della parola di Dio a cui risponde ogni elemento della creazione che obbedisce al suo comando e partecipa al suo progetto di vita. Al termine dell’itinerario di iniziazione cristiana il catecumeno è profondamente penetrato da tale saggezza. Il profeta invita a considerare la legge, la delimitazione dello spazio delle giuste relazioni con sé, con Dio e con i fratelli, come legge per la vita. L’umanità tutta è invitata alla sua conoscenza e accoglienza, per ricevere in dono la vita e per avere la liberazione dall’oppressione e dalla morte. Ciò che l’uomo non può acquistare né comprare, Dio glielo regala; ciò che non può capire, Dio glielo insegna. In Gesù Dio ci comunica la sua sapienza: invisibile, ora in lui si lascia vedere, inaccessibile, un tempo, ora nel Figlio si fa prossimo e condivide la nostra vita, per donare la sua.
Salmo responsoriale Sal 18
Signore, tu hai parole di vita eterna.
La legge del Signore è perfetta,
rinfranca l’anima;
la testimonianza del Signore è stabile,
rende saggio il semplice.
I precetti del Signore sono retti,
fanno gioire il cuore;
il comando del Signore è limpido,
illumina gli occhi.
Il timore del Signore è puro,
rimane per sempre;
i giudizi del Signore sono fedeli,
sono tutti giusti.
Più preziosi dell’oro,
di molto oro fino,
più dolci del miele
e di un favo stillante.
Orazione
O Dio, che accresci sempre la tua Chiesa
chiamando nuovi figli da tutte le genti,
custodisci nella tua protezione
coloro che fai rinascere dall’acqua del Battesimo.
Per Cristo nostro Signore.
Settima lettura
Dal libro del profeta Ezechièle Ez 36,16-17a.18-28
Vi aspergerò con acqua pura e vi darò un cuore nuovo
Mi fu rivolta questa parola del Signore:
«Figlio dell’uomo, la casa d’Israele, quando abitava la sua terra, la rese impura con la sua condotta e le sue azioni. Perciò ho riversato su di loro la mia ira per il sangue che avevano sparso nel paese e per gli idoli con i quali l’avevano contaminato. Li ho dispersi fra le nazioni e sono stati dispersi in altri territori: li ho giudicati secondo la loro condotta e le loro azioni.
Giunsero fra le nazioni dove erano stati spinti e profanarono il mio nome santo, perché di loro si diceva: “Costoro sono il popolo del Signore e tuttavia sono stati scacciati dal suo paese”. Ma io ho avuto riguardo del mio nome santo, che la casa d’Israele aveva profanato fra le nazioni presso le quali era giunta.
Perciò annuncia alla casa d’Israele: “Così dice il Signore Dio: Io agisco non per riguardo a voi, casa d’Israele, ma per amore del mio nome santo, che voi avete profanato fra le nazioni presso le quali siete giunti. Santificherò il mio nome grande, profanato fra le nazioni, profanato da voi in mezzo a loro. Allora le nazioni sapranno che io sono il Signore – oracolo del Signore Dio -, quando mostrerò la mia santità in voi davanti ai loro occhi.
Vi prenderò dalle nazioni, vi radunerò da ogni terra e vi condurrò sul vostro suolo. Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre impurità e da tutti i vostri idoli; vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne.
Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo le mie leggi e vi farò osservare e mettere in pratica le mie norme. Abiterete nella terra che io diedi ai vostri padri; voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio».
La creazione del cuore nuovo
La settima lettura è un oracolo che annuncia la nuova alleanza tra Dio e l’uomo che si realizza in primo luogo interiormente. Il punto di partenza è il racconto dei peccati commessi nella terra patria e in quella straniera. Il prologo dei peccati serve a presentare il punto di vista di Dio che si pone in dialogo non tanto con un popolo oppresso, ma con una casa ribelle. Nella terra promessa il popolo pecca e Dio lo scaccia da essa; nell’esilio il popolo diffama Dio e il Signore interviene per difendere il suo nome. Con il suo atteggiamento Israele non ha santificato il nome di Dio ma lo ha profanato. Nell’esilio il popolo legge l’atteggiamento di Dio sia come atto punitivo, sia come segno del suo disimpegno e impotenza. In tal modo, Dio stesso sarebbe l’artefice della profanazione del suo nome. Nella tradizione cultuale il passaggio dal castigo al perdono avviene attraverso il pentimento con la confessione delle colpe, con riti di espiazione o liturgie penitenziali. Ezechiele annuncia che nella preparazione della nuova alleanza l’elemento decisivo non sarà il rito o qualche azione dell’uomo, ma il motivo fondante e più stabile è il nome stesso di Dio, ovvero la sua identità che si rivela essere amore. Il popolo che vive in mezzo alle genti pagane vi costruisce la sua storia e «rappresenta» quella di Dio, che è storia di salvezza. In questo intreccio gli uomini sono narratori del nome di Dio che si manifesta nelle vicende della loro storia. Nel modo con cui l’umo interpreta la sua storia con Dio, profana o santifica il suo nome. Quando l’uomo fallisce, Dio s’inventa un nuovo atto, inaspettato, impressionante, che inizia con il ritorno in patria degli esiliati. Allora sarà chiara per tutti la santità del nome di Dio. L’oracolo di Ezechiele è la risposta alla richiesta del salmo 51 con il quale si confessa il proprio peccato e si supplica un rinnovamento totale. Purificazione radicale e un cuore nuovo che sia creazione di Dio; infine, si invoca il dono dello Spirito che porta a compimento l’azione trasformatrice. La nuova creazione è «pura grazia». Alle parole inefficaci dell’uomo fa seguito l’azione efficace di Dio: non si tratta più solo di curare il cuore malato, ma di estirpare ciò che è sclerotizzato e sostituirlo con uno vivo. Dio donerà all’uomo un cuore nuovo. Un cuore di carne, non di pietra, perché, instaurandosi una relazione di rinnovato amore fra Dio e popolo, questo abbia la pienezza della vita. Lo spirito nuovo è quello di Dio, perché procede da lui ed è lui che lo dona; è quello del principio vitale di una nuova esistenza. L’aspersione dell’acqua che purifica e del dono dello Spirito che santifica richiamano il sacramento del battesimo. La cresima porta a perfezione il dono spirituale e l’eucaristia diviene fonte e culmine del culto spirituale, che si attua nel dono di sé stesso, e in cui trova compimento la profezia: «voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio» (Ez 36, 28).
Salmo responsoriale Sal 41
Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio.
L’anima mia ha sete di Dio,
del Dio vivente:
quando verrò e vedrò
il volto di Dio?
Avanzavo tra la folla,
la precedevo fino alla casa di Dio,
fra canti di gioia e di lode
di una moltitudine in festa.
Manda la tua luce e la tua verità:
siano esse a guidarmi,
mi conducano alla tua santa montagna,
alla tua dimora.
Verrò all’altare di Dio,
a Dio, mia gioiosa esultanza.
A te canterò sulla cetra,
Dio, Dio mio.
Oppure (quando si celebra il Battesimo):
Da Is 12, 1-6
Attingeremo con gioia alle sorgenti della salvezza.
Ecco, Dio è la mia salvezza;
io avrò fiducia, non avrò timore,
perché mia forza e mio canto è il Signore;
egli è stato la mia salvezza.
Attingerete acqua con gioia
alle sorgenti della salvezza.
Rendete grazie al Signore e invocate il suo nome,
proclamate fra i popoli le sue opere,
fate ricordare che il suo nome è sublime.
Cantate inni al Signore, perché ha fatto cose eccelse,
le conosca tutta la terra.
Canta ed esulta, tu che abiti in Sion,
perché grande in mezzo a te è il Santo d’Israele.
Preghiamo
O Dio, potenza immutabile e luce che non tramonta,
guarda con amore al mirabile sacramento di tutta la Chiesa
e compi nella pace l’opera dell’umana salvezza
secondo il tuo disegno eterno;
tutto il mondo riconosca e veda
che quanto è distrutto si ricostruisce,
quanto è invecchiato si rinnova,
e tutto ritorna alla sua integrità,
per mezzo di Cristo, che è principio di ogni cosa.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.
Colletta
O Dio, che illumini questa santissima notte
con la gloria della risurrezione del Signore,
ravviva nella tua Chiesa lo spirito di adozione filiale,
perché, rinnovati nel corpo e nell’anima,
siamo sempre fedeli al tuo servizio.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.
Epistola
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani Rm 6,3-11
Cristo risorto dai morti non muore più.
Fratelli, non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati intimamente uniti a lui a somiglianza della sua morte, lo saremo anche a somiglianza della sua risurrezione. Lo sappiamo: l’uomo vecchio che è in noi è stato crocifisso con lui, affinché fosse reso inefficace questo corpo di peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato. Infatti chi è morto, è liberato dal peccato. Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo, risorto dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui. Infatti egli morì, e morì per il peccato una volta per tutte; ora invece vive, e vive per Dio. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù.
Vivi perché risorti con Cristo
Con la lettera ai Romani si passa dalla promessa alla realtà. È il battesimo, per mezzo del quale «siamo stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6,4). La liberazione che si era resa necessaria a causa del peccato, per la quale Dio ha operato fin dalla liberazione di Israele dall’Egitto, perché quest’ultimo fosse occasione di benedizione per tutti i popoli e perché dunque potesse diventare liberazione più profonda e per l’umanità intera, in Cristo morto e risorto giunge alla sua pienezza: è liberazione dal peccato e dalla morte.
Salmo responsoriale Sal 117
Alleluia, alleluia, alleluia.
Rendete grazie al Signore perché è buono,
perché il suo amore è per sempre.
Dica Israele:
«Il suo amore è per sempre».
La destra del Signore si è innalzata,
la destra del Signore ha fatto prodezze.
Non morirò, ma resterò in vita
e annuncerò le opere del Signore.
La pietra scartata dai costruttori
è divenuta la pietra d’angolo.
Questo è stato fatto dal Signore:
una meraviglia ai nostri occhi.
Dal Vangelo secondo Luca Lc 24,1-12
Perchè cercate tra i morti colui che è vivo?
Il primo giorno della settimana, al mattino presto [le donne] si recarono al sepolcro, portando con sé gli aromi che avevano preparato. Trovarono che la pietra era stata rimossa dal sepolcro e, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù.
Mentre si domandavano che senso avesse tutto questo, ecco due uomini presentarsi a loro in abito sfolgorante. Le donne, impaurite, tenevano il volto chinato a terra, ma quelli dissero loro: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea e diceva: “Bisogna che il Figlio dell’uomo sia consegnato in mano ai peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno”».
Ed esse si ricordarono delle sue parole e, tornate dal sepolcro, annunciarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri. Erano Maria Maddalena, Giovanna e Maria madre di Giacomo. Anche le altre, che erano con loro, raccontavano queste cose agli apostoli.
Quelle parole parvero a loro come un vaneggiamento e non credevano ad esse. Pietro tuttavia si alzò, corse al sepolcro e, chinatosi, vide soltanto i teli. E tornò indietro, pieno di stupore per l’accaduto.

Lectio
Contesto
Il capitolo 24 si svolge nell’arco temporale di un giorno, il primo giorno della settimana. La narrazione è suddivisa in tre scene: la prima si svolge a Gerusalemme tra il sepolcro di Gesù e il cenacolo (vv. 1-12), la seconda inizia sulla via che va da Gerusalemme ed Emmaus, continua in una casa e si conclude nuovamente nel cenacolo (vv. 13-35) che fa da sfondo anche all’inizio della terza scena che trova il suo culmine nell’ascensione di Gesù al cielo e il ritorno dei discepoli a Gerusalemme nel cui tempio essi continuamente lodano il Signore (vv. 36-53).
Testo
L’episodio è diviso in tre quadri narrativi: la scoperta della tomba vuota e l’annuncio della risurrezione di Gesù (vv. 1-9a), l’annuncio della risurrezione delle donne agli Undici (vv. 9b-11), la visita di Pietro a sepolcro vuoto (v. 12). La prima e la terza si svolgono al sepolcro, mentre la seconda presso il cenacolo.
Le protagoniste della prima scena e della seconda sono le donne che erano venute a Gerusalemme con Gesù dalla Galilea (23, 55), di alcune delle quali si specifica il nome in 24,10 (Maria Maddalena, Giovanna e Maria madre di Giacomo). Esse sono le prime testimoni oculari del sepolcro vuoto. Due giorni prima avevano seguito Giuseppe d’Arimatea e avevano osservato il sepolcro e come avevano deposto il corpo di Gesù. Quella scoperta suscita in loro turbamento e interrogativi. Il punto di svolta è nella manifestazione di due uomini in splendide vesti, i quali si presentano come ermeneuti dell’evento. Essi annunciano che Gesù è vivo perché è nel suo corpo risorto, perciò, la sua presenza non è più tra i morti. A conferma della loro parola, che dà senso all’assenza del corpo di Gesù nel sepolcro, essi richiamano alla memoria l’annuncio che lui stesso aveva dato, fin da quando era in Galilea, circa la passione, la morte e la risurrezione (l’“esodo” secondo il racconto della trasfigurazione in Lc 9,31). Le parole dei due uomini sbloccano un ricordo che permette loro di cogliere nelle parole di Gesù la chiave di lettura di tutti gli eventi drammatici accaduti a Gerusalemme, dall’arresto nel Getsemani fino alla scoperta della sua assenza nel sepolcro. A ben vedere nei racconti degli eventi Gesù appare totalmente dipendente dall’iniziativa degli altri, i peccatori, prima, che lo hanno consegnato e ucciso, e poi di Dio che lo ha risuscitato il terzo giorno. L’incontro con i due uomini al sepolcro cambia la condizione e la funzione delle donne. Esse, che erano andate al sepolcro per onorare il corpo di Gesù con gli aromi, partono da lì con un annuncio da portare alla comunità degli apostoli (gli Undici) insieme a tutti gli altri. L’accoglienza delle donne è pessima perché il loro annuncio e il racconto appare incredibile e irrealistico. Tuttavia, Pietro corse al sepolcro dove constatata che il resoconto delle donne era vero. L’unica cosa che vede sono i teli che avvolgevano il corpo di Gesù. Pietro ritorna a Gerusalemme con la domanda sul senso di ciò che è avvenuto nel sepolcro.
L’intreccio narrativo prende avvio con il pellegrinaggio delle donne al sepolcro (v. 1). La complicazione è data dal sepolcro trovato aperto e il mancato ritrovamento del corpo (vv. 2-3), a cui segue l’azione trasformatrice rappresentata dal messaggio dei due uomini (vv. 5b-7) che apre la strada della soluzione (v. 8). Le donne passano dall’interrogarsi dinanzi all’enigma dell’assenza del corpo di Gesù, al ricordare la profezia del Signore circa la sua risurrezione, passando attraverso la paura, segno di rispetto e riconoscimento della presenza divina rappresentata dai due angeli.
Il passaggio dalla perplessità alla chiarezza da parte delle donne avviene grazie al messaggio angelico e all’appello che i due uomini rivolgono loro affinché ricordino le parole di Gesù. L’esperienza dell’incontro con la Parola fa la differenza tra le donne e Pietro: li accomuna l’ingresso nel sepolcro e la rilevazione della mancanza del corpo. Tuttavia, il ritorno dal sepolcro vede le donne trasformate in «apostole» della risurrezione, mentre Pietro rimane disorientato. Nonostante la concorde testimonianza delle donne, testimoni della rivelazione angelica, coloro che erano rimasti nel cenacolo non danno peso alle loro parole, considerandole il frutto di una illusione collettiva.
Dunque, risulta decisivo l’incontro con i testimoni e il «ricordare» le parole di Gesù. Potremmo parlare della catechesi che i due personaggi angelici fanno nel sepolcro. Il termine greco che indica il «sepolcro» (mnemeion) appartiene allo stesso campo semantico del ricordo. Si tratta del memoriale del defunto. I riti funebri hanno la funzione di salvare dall’oblio la memoria del morto che in un certo modo continua a vivere. I messaggeri sono due per significare che la loro testimonianza è credibile. Essi offrono una lettura del sepolcro vuoto che acquista significato alla luce delle parole di Gesù che essi fanno risuonare e ricordare. Quel sepolcro, che rimane il luogo dove trovare i morti, privo del corpo esanime di Gesù, non è più memoriale di un defunto. Egli, infatti, non è più morto tra i morti, ma il Vivente. Luca è l’unico evangelista che utilizza accanto al linguaggio della risurrezione anche quello della vita (v.23; At 1,3; 3,15; 25,19). I messaggeri non annunciano solo il cambiamento di condizione fisica di Gesù, dall’essere morto all’essere vivo, ma il suo status permanente di essere «Vivente». Ciò che Gesù è, attesta il compimento delle sue parole profetiche riguardo alla sua morte e risurrezione. Dunque, l’invito a ricordarle spinge le donne a passare dai riti presso il sepolcro per fare memoria di un defunto, all’essere esse stesse «memoriale» del Vivente, ricordando le sue parole e annunciandole a tutti. Le donne credono al Vivente, la cui parola giunge loro attraverso gli angeli, pur senza vederlo. In verità, ascoltando e credendo ai messaggeri, «vedono» è la Parola. «La fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo» (Rm 10,17). Pietro, come anche gli altri che danno credito alla testimonianza delle donne, non ricordano le parole di Gesù e il sepolcro rimane vuoto e muto. Il personaggio Pietro ritorna qui in scena dopo l’episodio del rinnegamento che si conclude con l’incrocio di sguardi tra Gesù e l’apostolo. Quello fu il loro ultimo incontro nel quale Pietro ricorda le parole che il Signore gli aveva rivolto qualche ora prima, circa il suo rinnegamento. Si ferma alla profezia della sua colpa e piange lacrime amare. Le bende che vede nel sepolcro risuonano come evidenza dell’assenza di Gesù e non ancora il segno del compimento della sua promessa: «Simone, Simone… ho pregato per te perché non venga meno la tua fede. E tu, una volta convertito conferma i tuoi fratelli» (Lc 22,32). La conversione di Pietro passa dal rinnegamento di Gesù, ma deve giungere al rinnegamento di sé. L’apostolo, anche quando Gesù lo mette in guardia dalle insidie del diavolo tentatore e gli assicura la sua preghiera per accompagnarlo nel duro itinerario della conversione, rimane autocentrato, sicuro del fatto di poter rimanergli fedele anche quando tutti l’avrebbero abbandonando cedendo alla paura. Il mancato credito verso la testimonianza degli altri e la diffidenza lo rendono autoreferenziale e incapace di far tesoro di una verità che non vuole accogliere: l’essere amato e perdonato al di là dei propri meriti. Gli sfugge la verità perché non accoglie nel cuore il dono della preghiera di Gesù.
Solo dopo la vicenda dei discepoli di Emmaus il lettore viene a sapere che Gesù si è fatto incontrare anche da Simone. Luca non descrive l’apparizione a Pietro ma si limita ad annunciarla chiedendo implicitamente al lettore di fidarsi di lui, non cadendo nello stesso errore della comunità nei confronti delle donne, le prime testimoni oculari e narratori della risurrezione di Gesù. La credibilità dell’evangelizzatore risiede nell’esperienza d’incontro con il Signore il quale, donando lo Spirito, abilita ad essere veri credenti nel vangelo e credibili annunciatori del Vangelo.
Infatti, la terza scena del capitolo 24 si svolge nel contesto nel quale la comunità riunita sta parlando di Gesù e del modo col quale si era fatto riconoscere vivo. La scena dell’apparizione di Gesù è descritta quasi come un’irruzione improvvisa che lascia di stucco i presenti. Gesù non è semplicemente un argomento di cui parlare ma una persona da incontrare. Gesù educa a realizzare non solo che egli è vivo ma che è presente con il suo corpo storico. L’atto di fede deve andare aldilà dell’emozione intensa del momento straordinario per diventare esperienza ordinaria di comunione. Le donne al sepolcro devono ricordare le parole di Gesù, mentre nel cenacolo la comunità deve toccare e guardare il corpo di Gesù vivo, il quale davanti ai loro occhi mangia la porzione di pesce che gli avevano offerto. Le donne diventano narratrici croniste mentre la comunità intera è chiamata ad essere evangelizzatrice partendo dall’esperienza dell’ascolto di Gesù la cui parola converte (“apertura della mente”) perché la Scrittura, ovvero il progetto della storia della salvezza pensata e attuata da Dio, diventi l’orizzonte di senso della vita di ogni uomo, come lo è stato per Gesù. Infatti, la Pasqua segna il confine temporale tra il prima e il dopo, tra il tempo dell’ascolto e del discernimento e quello del compimento.
Meditatio
Testimoni del Risorto
Siamo giunti alla terza notte del triduo pasquale nella quale la luce si fa spazio tra le tenebre come quella prima notte del mondo quando, in virtù della parola di Dio – «Sia la luce» -, il caos primordiale iniziò a trasformarsi in cosmo. La luce mette un limite alle tenebre imprimendo al mondo una spinta nuova in direzione della vita e non della morte. Dalla morte del vecchio mondo nasce uno nuovo il cui destino ultimo non è la morte ma la vita. Questo è l’inizio del regno di Dio, che non avrà mai fine, e il principio del giorno che non vedrà tramonto. Così all’alba del primo giorno della settimana la parola di Dio, annunciata da due messaggeri, rischiara il buio della tristezza e mette ordine nel caos dei pensieri che si agitano nel cuore delle donne recatesi al sepolcro con gli aromi.
Il racconto evangelico è la storia del cammino di fede che fa delle donne, testimoni oculari, le prime ministre della Parola. Questo itinerario di fede ruota attorno al vangelo di Gesù che risuona sulle labbra dei due angeli e che è ritmato da tre verbi: cercare, ricordare, annunciare.
Le donne che si recano al sepolcro sono quelle che hanno seguito Gesù sin dall’inizio della sua missione in Galilea, da dove era iniziato il suo lungo viaggio verso Gerusalemme. Lo avevano servito con i loro beni e gli erano stati vicini, per quanto fosse stato loro consentito, nelle drammatiche ore della sua passione e morte. Quali testimoni oculari, avevano osservato ogni cosa in silenzio come chi nella contemplazione ascolta con gli occhi. Osservanti della legge, si erano fermate nel giorno di sabato per poi andare al sepolcro a compiere il mesto servizio funebre. Nel linguaggio simbolico gli aromi, con il loro profumo, avevano il compito di contrastare il processo corruttivo della morte. Il sepolcro è il luogo del ricordo, scrigno che custodisce la memoria di una persona. Onorarne la memoria è il tentativo umano di rendere presente colui che la morte ha reso assente. Davanti alla sofferenza, di cui la morte rappresenta l’espressione più alta, l’uomo sceglie o di rimuovere il ricordo oppure di imbalsamarlo. C’è chi per difendersi dal dolore dimentica e chi, dando forma al proprio senso religioso, cerca di mantenere vivo il ricordo con gesti di rispetto verso il defunto. I riti, quali meri appuntamenti formali, corrono il rischio di imbalsamare la nostra fede. Cosa serve mantenere in piedi espressioni esteriori di religiosità permettendo che esse si svuotino di significato perdendo il loro valore spirituale. Processioni, devozioni, benedizioni, messe, avulse da un cammino di fede serio accompagnato dalla Parola di Dio, diventano semplicemente vani tentativi di colmare i vuoti dell’anima senza però cercare Dio. Chi cerca Dio si lascia trovare, chi desidera incontrarlo riceve la grazia di credere in Lui e accoglierlo nella propria vita.
Giunte al sepolcro le donne si rendono conto che qualcun altro ha ribaltato la pietra tombale permettendo loro di entrare nella cavità rocciosa dove era stato deposto il corpo di Gesù. Si aspettavano di trovare un morto e invece trovano la sua assenza perché il sepolcro è stato svuotato. Esse cercano una spiegazione ma non trovano neanche quella fin quando i due messaggeri divini non sciolgono l’enigma. Gli uomini in splendide vesti recano alle donne il profumo del vangelo: quel Gesù che essi avevano visto morire ed essere sepolto è risuscitato. Ha lasciato il sepolcro per essere cercato e incontrato non nelle memorie nostalgiche del passato, ma ricordando le sue parole. L’annuncio della risurrezione di Gesù diventa ricordo delle sue parole che illuminano di senso la sua assenza. Risuona il cuore del vangelo proclamato da Gesù: «Bisogna che il Figlio dell’uomo sia consegnato in mano ai peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno».
Le donne ricordano le sue parole. Ricordare significa credere che Gesù non è solo un profeta che ha previsto la sua fine ma è veramente il Cristo nel quale si compie la volontà di Dio. Le sue parole sono vere come la promessa che in Lui si è compiuta. Il vangelo è la promessa di Dio di non lasciarci nella condizione mortale ma di liberarci dalla paura della morte per donarci la speranza e la gioia. Ricordare non vuol dire semplicemente conservare o tenere a mente, ma custodire la Parola di Dio nel cuore meditandola per farla crescere dentro affinché diventi viva come il seme che nella terra germoglia per portare frutto o come un bambino nel grembo della propria madre. Ricordare significa ancora essere presente per essere uniti a chi si ama anche se è lontano dagli occhi. Il buon ladrone prega perché Gesù si ricordi di lui nel momento in cui sarebbe entrato nel suo regno. Gesù lo rassicura che quel momento è oggi. Il Cristo risorto, infatti, oggi si rende presente e ci unisce a sé nell’abbraccio del perdono che ci libera dal peccato e ci dona la vita eterna. Infine, ricordare significa far abitare Gesù in noi, renderlo partecipe delle gioie e dei dolori, delle ansie e delle speranze, dei dubbi e della fiducia che portiamo nel cuore. Anche noi possiamo sentirci vuoti come quel sepolcro perché la mancanza di Dio scava in noi, come nelle donne, un vuoto ancora più profondo. Le tante cose che facciamo solo in apparenza ci rendono vivi. Il rischio è quello di diventare sepolcri se non facciamo abitare l’assenza dalla Parola di Dio e non ungiamo con gli aromi del Vangelo le ferite del lutto.
Le donne andate al sepolcro per compiere i riti funebri vengono evangelizzate. Loro, rese povere dalla morte ingiusta del loro Maestro, sono consolate e guarite dalla parola del Vangelo. La forza della risurrezione passa attraverso l’annuncio dei messaggeri che trasforma la fede delle donne da ricordo mesto di un grande uomo a testimonianza gioiosa dell’incontro con la Parola, viva ed efficace. La fede delle donne non si riduce semplicemente nel credere che è accaduto un evento straordinario ma che, realizzandosi la parola di Gesù, si è compiuta anche la promessa fatta al buon ladrone e a ciascuno di noi. Chi crede sente crescere dentro una gioia incontenibile che esige di essere annunciata e condivisa. Le donne, immagine simbolica del cristiano, diventano testimoni portando ai fratelli quella parola che viene da Dio e che in esse ha risvegliato la speranza e messo in fuga la tristezza. Anche noi siamo chiamati a portare il profumo del vangelo lì dove regna il cattivo odore della paura e della rassegnazione. Non arrendiamoci se la nostra gioia è fraintesa e siamo scambiati per pazzi. Lascia che l’aroma della fede si spanda dovunque andiamo. La carità fraterna, che è la perseveranza della fede, se non convince almeno inquieta, come succede a Pietro, che lascia il cenacolo per correre anche lui al sepolcro. Giungerà anche lui alla fede quando incontrerà personalmente il Cristo risorto, come avverrà con i discepoli di Emmaus. Testimoniamo con la Carità il fatto che Cristo è vivo e presente in mezzo a noi e seminiamo la speranza nel cuore di ogni uomo perché anche lui, attratto da profumo del vangelo possa cercare tra i vivi Colui che dà la vita. Non accontentiamoci di essere Chiesa pinacoteca o museo contenitori di opere d’arte e reperti storici che parlano del passato ma non hanno nulla da dire nel presente e sono reticenti del futuro. La Chiesa attinga costantemente alla sorgente inesauribile del Vangelo la luce della fede per rischiarare chi sta nelle tenebre e nell’ombra di morte e guidarlo sulla via della pace.
Preghiamo
Signore Gesù, luce che brilli nell’oscurità del mondo, disperdi le tenebre della paura che incombono minacciose. Guarda il nostro viso sul quale è calato un pesante velo di tristezza e di angoscia. Abbi misericordia di noi e vieni a salvarci. Tu che hai vinto la morte disarma la mano di chi la usa per spargere sangue e seminare distruzione. Il tuo Spirito accenda in noi la luce della fede perché il desiderio di credere in Te ci guidi nella ricerca per conoscerti e lasciarci conoscere da Te. Fa che cercandoti ti troviamo e trovandoti ti accogliamo nel cuore, custodendo e meditando la tua Parola. Insegnaci a ricordare le tue parole e a farle vivere nei gesti di carità compiuti imitando il tuo esempio di umanità. Rendici profumo del Vangelo affinché si arresti il processo corruttivo del peccato che, come un vortice di violenza, tutto divora. Donaci di opporci al male con la forza della mitezza e con la dolcezza della misericordia di confessare la gioia di essere cristiano, testimoni del Risorto.
