L’abbraccio tra la misericordia di Dio e la miseria dell’uomo – Sabato della I settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)

L’abbraccio tra la misericordia di Dio e la miseria dell’uomo – Sabato della I settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)

17 Gennaio 2025 0 Di Pasquale Giordano

Sabato della I settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)
Eb 4,12-16 Sal 18

Ispìra nella tua paterna bontà, o Signore,
i pensieri e i propositi del tuo popolo in preghiera,
perché veda ciò che deve fare
e abbia la forza di compiere ciò che ha veduto.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.


Dalla lettera agli Ebrei Eb 4,12-16
Accostiamoci con fiducia piena al trono della grazia.

Fratelli, la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore. Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a Dio, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi di colui al quale noi dobbiamo rendere conto.
Dunque, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato.
Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno.

Figliolanza e fraternità, obbedienza e solidarità
La parola di Dio è pronunciata e inviata da Dio per incarnarsi. Questo inizia ad accadere in maniera efficace con Gesù. Dio ha parlato diverse volte e in molti modi nei tempi antichi attraverso i profeti. Essi si sono fatti portavoce della parola di Dio che chiedeva di accoglierla e interiorizzarla per metterla in pratica. Con Gesù, Parola di Dio, essa «come spada» penetra nel cuore, luogo teologico nel quale l’uomo conosce sé stesso, con le sue debolezze e i suoi carismi, le fragilità e i punti di forza. Ma soprattutto, la parola di Dio, fa sperimentare nella profondità del cuore la gioia di essere amati e salvati. La parola di Dio fa percepire di essere alla Sua presenza. Davanti a Lui non dobbiamo scappare per la vergogna ma affidarci alla sua misericordia perché con essa riceviamo vita e siamo trasformati in Dio.
L’autore della Lettera agli Ebrei riconosce che la messianicità di Gesù consiste nel suo sacerdozio del quale sottolinea prima la solidarietà con gli uomini e poi l’obbedienza a Dio. La solidarietà e l’obbedienza sono le due facce dell’unico sacerdozio di Cristo. Viene instaurato un parallelismo tra il sommo sacerdozio ebraico e il pontificato di Gesù. Il Sommo Sacerdote ebraico aveva fondamentalmente la funzione di intercedere per i peccatori presso Dio al fine di ottenere il perdono dei peccati. Questo avveniva mediante dei sacrifici che il sommo sacerdote offriva per i peccati suoi e di tutto il popolo. La solidarietà del Sommo Sacerdote era basata sul fatto che era uomo e, dunque, peccatore. Il perdono lo chiedeva per sé e per i suoi fratelli. Anche Gesù è nostro fratello perché partecipa della debolezza umana e soprattutto della sofferenza subita ingiustamente.
Nessuno può auto proclamarsi sacerdote, ma questo ministero si esercita in virtù della chiamata di Dio, come era stato stabilito sin da Aronne. L’autorità del Sommo Sacerdote non lo colloca al di sopra degli altri ma a loro servizio. Il sacerdozio, quale servizio agli altri, è esercizio di fraternità. Come non ci si può autoproclamare Sommo Sacerdote, così non si scelgono i fratelli ma si accolgono come un dono da custodire nella stessa maniera con la quale si riceve l’autorità e la si esercita. Ogni autorità, che sia regale o sacerdotale, viene da Dio perché essa sia esercitata a vantaggio di tutti i fratelli. Gesù riceve la pienezza dell’autorità perché nella Pasqua di morte e di risurrezione ottiene la corona regale della vittoria sul peccato e sulla morte e l’investitura sacerdotale. Sulla croce Gesù non offre sacrifici ma sé stesso con preghiere e suppliche, tra grida e lacrime. Il Cristo non ha scelto di soffrire ma ha celebrato il suo sacrifico unendosi totalmente agli uomini peccatori e caricandosi anche del dolore innocente. Dall’altra parte per la sua piena obbedienza a Dio è stato risuscitato portando la liberazione a tutti gli uomini dal peccato e dalla morte.
La vicenda pasquale di Gesù, letta nell’ottica della fede, ci aiuta a comprendere che per essa possiamo crescere nella duplice direzione della maturità umana: essere figlio e fratello. L’ obbedienza a Dio, ovvero l’adesione alla Sua volontà, fatta con libertà e fiducia, s’intreccia con la solidarietà fraterna che può giungere a subire il martirio da innocente. Chi si affida a Dio usa gli strumenti della mitezza per lottare contro il male, il primo dei quali è la preghiera. Essa non è una formula magica segreta elaborata per perseguire fini personali. Si tratta invece del mondo con cui vivere l’intimità filiale col Padre e quella fraterna nei gesti di una solidarietà e compassione.


Dal Vangelo secondo Marco Mc 2,13-17
Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori.

In quel tempo, Gesù uscì di nuovo lungo il mare; tutta la folla veniva a lui ed egli insegnava loro. Passando, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.
Mentre stava a tavola in casa di lui, anche molti pubblicani e peccatori erano a tavola con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che lo seguivano. Allora gli scribi dei farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: «Perché mangia e beve insieme ai pubblicani e ai peccatori?».
Udito questo, Gesù disse loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».


L’abbraccio tra la misericordia di Dio e la miseria dell’uomo
La storia biblica attesta che è sempre Dio a prendere l’iniziativa, a chiamare per nome e invitare a condividere il suo progetto d’amore. Lo stesso accade all’inizio dell’avventura che vede coinvolti Gesù e i discepoli che pian piano si uniscono a lui. La vocazione nasce da un incontro preparato e voluto da Gesù che poggia il suo sguardo sulle singole persone. Gesù aveva prospettato ai primi discepoli di farli diventare pescatori di uomini. Lui stesso, uscendo lungo le sponde del lago di Tiberiade, cerca di “prendere”, nella rete del Padre, nuovi e più numerosi pesci per tirarli fuori dal male simboleggiato dal mare e per liberarli chiamandoli alla vita. Levi, figlio di Alfeo, che di mestiere era esattore delle tasse, avverte nello sguardo di Gesù e nell’invito a seguirlo, un’occasione di realizzare il cambiamento e il rinnovamento che il suo cuore desiderava. Solo l’incontro tra la misericordia del Signore e il desiderio del cuore del misero, che cerca un senso più pieno alla sua vita, giustifica la scelta di lasciare tutto per essere suo discepolo. La risposta di Levi rivela il cambiamento che la Parola di Dio ha prodotto nella vita di quest’uomo e l’inizio di un cammino di rinnovamento. Come era successo nella casa di Simone, dove la suocera che giaceva a letto viene aiutata ad alzarsi per servire, così accade per Levi che lo sguardo e la parola di Gesù gli consente di vedere le cose dal suo punto di vista, e tutto cambia. Levi, che aveva una condizione economica migliore dei pescatori, passa dall’essere chiuso ed esigente con gli altri all’aprire la propria casa per fare festa condividendo i suoi beni con i fratelli. Il servizio che svolge la suocera di Pietro, una volta guarita e rimessa in piedi, e la commensalità gioiosa organizzata da Levi sono due effetti dell’incontro con la parola di Gesù.
C’è chi, come gli scribi dei farisei, rimanendo fuori e continuando a mettere le distanze, giudicano negativamente Gesù. Lo accusano di trasgredire la legge e di essere un “buonista” che, col suo atteggiamento troppo accondiscendente nei confronti dei pubblici peccatori, ardisce smentire Dio, contraddire la legge e mettere in ombra coloro che insegnano come attuarla. Per questi tali viene prima la norma e poi la persona. Questi si ergono a custodi dell’ortodossia ma, non tenendo conto delle parole dei profeti, strenui oppositori all’ipocrisia religiosa che riduce il Dio vivo dell’amore nella sua controfigura di idolo freddo investigatore, attento alla corretta esecuzione delle regole e dei riti, si macchiano loro stessi di questo peccato e portano avanti una visione distorta di Dio. La novità dell’insegnamento di Gesù contraddice il principio per il quale Dio rivolge la sua parola o per accusare o per premiare, restituendoGli il primato nella giustizia e nella misericordia. Se di risposta di Dio si vuole parlare, essa non è un responso di condanna per il peccato o di premio per il merito, ma è la reazione di un genitore che risponde al bisogno del figlio. Dio risponde al bisogno dell’uomo come un medico che si prende cura di chi necessita del suo aiuto perché è infermo.

Preghiamo
Signore Gesù, grazie perché mi guardi con amore. Il tuo sguardo non mi inchioda ma mi attira a te. L’imperativo non mi pesa come un obbligo ma mi infonde fiducia a seguirti perché lo sento come una scelta d’amore. Nei tuoi occhi mi specchio e mi vedo felice perché amato per quello che sono. Scopro che non mi scegli perché sono l’uomo giusto, ma perché sono solo un uomo, fratello tuo, e anche un uomo solo, senza di te.