La famiglia cristiana, alla scuola di Gesù per imparare l’arte del discernimento – SANTA FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE (ANNO C) – Lectio divina

La famiglia cristiana, alla scuola di Gesù per imparare l’arte del discernimento – SANTA FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE (ANNO C) – Lectio divina

27 Dicembre 2024 0 Di Pasquale Giordano

SANTA FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE (ANNO C) – Lectio divina

1Sam 1,20-22.24-28   Sal 83   1Gv 3,1-2.21-24  

O Dio, nostro creatore e Padre,

tu hai voluto che il tuo Figlio

crescesse in sapienza, età e grazia

nella famiglia di Nazaret;

ravviva in noi la venerazione

per il dono e il mistero della vita,

perché diventiamo partecipi della fecondità del tuo amore.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,

e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.


Dal primo libro di Samuèle 1Sam 1,20-22.24-28

Samuele per tutti i giorni della sua vita è richiesto per il Signore.

Al finir dell’anno Anna concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuèle, «perché – diceva – al Signore l’ho richiesto». Quando poi Elkanà andò con tutta la famiglia a offrire il sacrificio di ogni anno al Signore e a soddisfare il suo voto, Anna non andò, perché disse al marito: «Non verrò, finché il bambino non sia svezzato e io possa condurlo a vedere il volto del Signore; poi resterà là per sempre».

Dopo averlo svezzato, lo portò con sé, con un giovenco di tre anni, un’efa di farina e un otre di vino, e lo introdusse nel tempio del Signore a Silo: era ancora un fanciullo. Immolato il giovenco, presentarono il fanciullo a Eli e lei disse: «Perdona, mio signore. Per la tua vita, mio signore, io sono quella donna che era stata qui presso di te a pregare il Signore. Per questo fanciullo ho pregato e il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho richiesto. Anch’io lascio che il Signore lo richieda: per tutti i giorni della sua vita egli è richiesto per il Signore». E si prostrarono là davanti al Signore.

L’amore sponsale casto e consolante

Il primo libro di Samuele si apre con la presentazione dell’origine del protagonista della prima parte del racconto. Il profeta Samuele, infatti, è l’anello di congiunzione tra l’epoca dei Giudici e quella monarchica. I primi tre capitoli ruotano attorno al santuario di Silo in cui era custodita l’Arca dell’alleanza al cui servizio c’era il sacerdote Eli con i suoi due figli. La prima e la terza parte narra la nascita di Samuele e il suo ingresso nel Santuario e successivamente la rivelazione che il giovane riceve da Dio. La seconda parte invece racconta le vicende drammatiche dei figli corrotti di Eli che muoiono a causa della loro infedeltà.

La pericope odierna descrive i rapporti tesi all’interno della famiglia di Elkanà che ha due mogli, delle quali una era sterile e l’altra feconda. Anna, la donna che non aveva dato figli a Elkana, era doppiamente afflitta. Il dolore dell’umiliazione per il fatto che Dio non le aveva dato il dono della maternità era rinnovato dalla malizia dell’altra moglie di Elkanà, la quale non perdeva occasione nei momenti di festa di ricordargli la sua maledizione. L’amore di Elkanà per Anna era puro perché, sebbene non gli avesse dato figli, le voleva bene proprio perché era povera. Anna sperimenta l’amore di consolazione del suo sposo che si rivelerà l’unica ragione per cui vivere e alimentare la speranza. L’amore di Elkanà è riflesso dell’amore sponsale del Signore per il suo popolo anche se «sterile» e povero.  

Il Signore ascolta il grido del povero

Anna, dall’animo amareggiato, si rifugia nella preghiera con la quale supplica il Signore, il vero Sposo e “padrone di casa”, Colui che «siede sui cherubini» (l’Arca dell’alleanza, che aveva sul coperchio due serafini scolpiti, era il suo trono). Le sue parole sono accompagnate da copiose lacrime che da sole erano sufficienti a narrare la sua afflizione. Quella di Anna è la preghiera del misero che confida nel Signore. La sofferenza innocente di Anna diventa per lei occasione di purificazione del suo desiderio di maternità. Ella non chiede semplicemente di essere soddisfatta nell’umano e legittimo desiderio di maternità ma invoca il dono della fecondità perché attraverso di lei possa essere generato un servo di Dio. Il voto di Anna non è da intendere come un impegno per dimostrare a Dio il suo valore e meritare il premio sperato. Anna, infatti, ha ben presente la tentazione di appropriarsi di ciò che invece è un dono di Dio. L’orgoglio degenera in arroganza, e lei purtroppo la subisce. Non vuole essere madre per non essere da meno all’altra moglie di Elkanà, ma per realizzare pienamente quel «voto di maternità» che sente nel cuore. È la sua vocazione; ma dall’altra parte sperimenta come essa da sola non possa realizzarla, se non con l’aiuto di Dio che invoca con le lacrime. La preghiera di Anna ricorda quella di Gesù nel Getsemani e sulla croce, come la interpreta la lettera agli Ebrei: «Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito» (Eb 5,7). La benedizione di Eli anticipa la risposta di Dio che ascolta la supplica del povero che grida a Lui.

Il Magnificat dell’Antico Testamento

Da lei, come il suo nome racconta, impariamo che «Dio fa grazia», anche là dove la vita sembra essere ormai arida. La prima preghiera di Anna è muta, silenziosa, tutta chiusa entro un dolore: una preghiera di pianto e di silenzio. Anche Anna, come Agar, prende le distanze dal suo desiderio: il figlio tanto desiderato non lo vuole per sé, ma per la gloria di Dio. Al tempio offre tutto quello che ha e con fiducia lo affida a Dio, e questo affidarlo e affidarsi porta già con sé la speranza – quasi la certezza – del frutto: Anna dona quel figlio atteso al Signore come “nazireo”, votato cioè a Dio tutti i giorni della sua vita. A peggiorare ulteriormente la situazione si aggiunge lo sguardo giudicante del sacerdote Eli che, vedendola muovere le labbra senza emettere suono, la crede ubriaca. Anna non si arrende di fronte ai giudizi affrettati di chi la circonda, ma confida nel Signore e con coraggio spiega il suo agire, svelando al sacerdote la sua preghiera, rivelandosi fiduciosa anche verso chi la giudica. Il testo biblico sottolinea a questo punto che Anna “se ne andò e il suo volto non fu più come prima”. La preghiera che ha innalzato a Dio innanzitutto ha operato un cambiamento in lei. Grazie alla preghiera, la donna passa da uno stato di apatia anoressica a uno stato di serenità che le inonda il volto. L’anno successivo nasce Samuele: la preghiera di Anna diviene un grido di riconoscenza, per essere stata ascoltata dal Signore (le parole “Samuele” e “ascolto” hanno la stessa radice in ebraico). La figura di Anna ci parla anche attraverso una tela di Rembrandt: la donna è colta nell’atto di introdurre il figlio all’ascolto della Torah; la madre è a piedi scalzi e con accanto un bastone, segno di un’anzianità – una maturità – della fede e dell’accompagnamento divino (come recita il Salmo 22: “il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza”). Finalmente Anna esplode in un inno che è riconosciuto come il Magnificat dell’Antico Testamento: come Maria infatti la donna racconta delle meraviglie operate da Dio nella sua storia, contemplando il ribaltamento delle sue sorti.

La figura di Anna offre molti spunti di riflessione anche per noi. Anche per noi non è difficile cadere nell’anoressia spirituale e smettere di credere in luoghi o forme di preghiera che possono ribaltare la nostra vita: come Anna anche noi possiamo continuare a credere che ci sia un luogo dove Dio ascolta la nostra preghiera. Anna ha saputo andare oltre il giudizio impietoso di Eli: noi come reagiamo di fronte ai giudizi negativi degli altri? Ci bloccano e ci paralizzano? Siamo condizionati al punto di non essere più noi stessi? Mettendoci in ascolto di Anna, abbiamo potuto sperimentare che la Sacra Scrittura è il luogo dove le nostre lacrime trovano fecondità e la nostra identità si chiarisce, matura e fiorisce sempre di più.

Salmo responsoriale Sal 83

Beato chi abita nella tua casa, Signore.

Quanto sono amabili le tue dimore,

Signore degli eserciti!

L’anima mia anela

e desidera gli atri del Signore.

Il mio cuore e la mia carne

esultano nel Dio vivente.

Beato chi abita nella tua casa:

senza fine canta le tue lodi.

Beato l’uomo che trova in te il suo rifugio

e ha le tue vie nel suo cuore.

Signore, Dio degli eserciti, ascolta la mia preghiera,

porgi l’orecchio, Dio di Giacobbe.

Guarda, o Dio, colui che è il nostro scudo,

guarda il volto del tuo consacrato.

Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo 1Gv 3,1-2.21-24

Siamo chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!

Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui.

Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.

Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, e qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito.

Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato.

L’autoritratto di Dio

Il contrario della giustizia è l’iniquità che non consiste solo nella sperequazione sociale tra le persone ma soprattutto nella disuguaglianza da Dio. Il peccato, infatti, è deturpare l’immagine che Dio forma di sé in noi, sicché diventiamo il Suo autoritratto. Il modello è Gesù Cristo e la mano che opera è quella dello Spirito. Se si lascia operare Dio in noi allora siamo capaci di amare e, amando, l’immagine di Dio appare sempre più chiara nei tratti della nostra vita. Le opere di Dio, ovvero il modo con cui Egli ama, non sono riconosciute da chi ferma la Sua mano e rifiuta di lasciarsi educare dal Vangelo: antepone la logica mondana a quella di Dio. In tal modo disprezza la verità e la croce che è la forma più alta con la quale Dio ama l’uomo e lo salva. Con la prima venuta del Cristo, il quale nella sua Pasqua ha donato lo Spirito Santo, è iniziato per ogni uomo un processo di rinascita e di trasformazione del corpo mortale che culmina con la nostra Pasqua nella quale la nostra adozione a figli di Dio diventa totale e definitiva. Allora la nostra vita non sarà opacizzata dall’ombra della morte ma sarà resa totalmente trasparente e capace di mostrare senza filtri lo splendore della gloria di Dio. Nella misura in cui riconosciamo l’amore di Dio che ci precede e previene, possiamo essere docili alla forza della grazia e lasciarci conformare nella mente e nel cuore alla sua volontà. La visione di Dio segna il culmine della nostra vita tutta protesa all’incontro con Lui per condividerne l’amore nell’intimità familiare del cielo. Questa speranza sostiene il cammino costellato di prove nelle quali spesso siamo tentati di fermarci o di ritornare indietro perché vinti dal senso di abbandono d parte di Dio.

Credendo Dio abita nel cuore, amando abitiamo nel cuore di Dio

L’amore vero non si comunica con le sole parole che escono dalla bocca ma si trasmette con fatti che nascono dal cuore. Da esso traggono origine sia i peccati che i desideri dello Spirito, sicché può essere sia sorgente di amore che di odio. Dipende da ciò a cui leghiamo il cuore: se è chiuso nelle preoccupazioni del mondo esso partorirà pensieri e azioni di peccato, mentre sé è radicato in Dio diventerà spazio dell’ascolto della Sua voce che conduce sulla via della vita. Avere fiducia in Dio vuol dire aprire il cuore ad accogliere la Parola e lo Spirito Santo. In tal modo, il cuore diventa lo spazio interiore della coscienza deputata al discernimento delle scelte di vita affinché si possa mettere in pratica il comandamento dell’amore.

La fede non si esaurisce nella dimensione cognitiva di verità disincarnate, anche se storiche, ma nasce e si sviluppa nell’ambito della relazione filiale con Dio che da forma al rapporto fraterno nell’ambito della comunità caratterizzato dalla tenerezza della cura vicendevole. Quanto più il cuore sarà aperto ad accogliere l’amore di Dio, tanto più egli abiterà stabilmente in noi; quanto più il nostro cuore sarà aperto per donare amore, quanto più abiteremo stabilmente nel cuore di Dio.

+ Dal Vangelo secondo Luca (Lc 2,41-52)

Gesù è ritrovato dai genitori nel tempio in mezzo ai maestri.

I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.

Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte.

Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.

Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.

LECTIO

Contesto

Il racconto del «vangelo dell’infanzia» è caratterizzato dal confronto tra Giovanni il battista e Gesù. Infatti, dell’uno e dell’altro in parallelo si narra l’annuncio della nascita, ad opera di Gabriele, la venuta alla luce e l’imposizione del nome, secondo l’indicazione data dall’angelo. Dopo il concepimento naturale di Giovanni segue quello soprannaturale di Gesù. La nascita del Battista è preceduta dalla visita di Maria ad Elisabetta ed è accompagnata dal segno della guarigione di Zaccaria nel momento in cui impone al figlio il nome di Giovanni. Il canto del Magnificat e quello del Benedictus incorniciano l’evento della nascita del precursore la cui narrazione precede quella di Gesù.

Il racconto della nascita di Gesù si sviluppa su un tempo più ampio rispetto a quello del Battista, Infatti, alla scena della nascita di Gesù e della sua circoncisione all’ottavo giorno con l’imposizione del nome, si aggiunge quella della presentazione al tempio. Dopo l’introduzione del motivo del censimento (vv.1-3), il racconto del Natale del Signore va dal v. 4 al v. 39 del capitolo 2. La cornice narrativa, infatti, è data dal viaggio di andata e ritorno compiuto da Giuseppe e Maria. Nazaret è il punto di partenza all’andata e meta finale al ritorno. Gli eventi narrati ruotano attorno al bambino Gesù di cui si racconta la nascita, la circoncisione con l’imposizione del nome e la sua presentazione al tempio. Insieme al figlio, i suoi genitori sono i protagonisti delle tre scene nelle quali svolgono un ruolo attivo. Giuseppe organizza il viaggio verso Betlemme e Maria s’incarica di accudire il bimbo appena nato, che diventa il segno annunciato dagli angeli ai pastori; di lei l’evangelista rivela l’atteggiamento meditativo, ascoltando la testimonianza dei pastori, e le parole profetiche di Simeone che la riguardano. Dei genitori di Gesù si parla in maniera esplicita nella scena che descrive l’incontro con i pastori e quella nella quale si narra il rito della presentazione al tempio, come prescriveva la legge per i primogeniti. Di essi Luca mette in evidenza lo stupore nell’ascoltare ciò che degli estranei affermano del bambino e la loro obbedienza, non solo all’autorità civile, ma soprattutto alla Parola di Dio. Il raffronto tra Gesù e Giovanni appare chiaro nei due sommari che chiudono il racconto delle relative nascite (1,80 e 2,40); di Giovanni si dice: «Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele», mentre di Gesù l’evangelista afferma: «Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui».

Testo

Il tema della crescita umana e spirituale di Gesù in 2,40, oltre a creare il parallelo con il Battista (1,80), insieme a 2,52 funge da inclusione e da cornice del brano liturgico. Il sommario del v. 40 sottolinea che Gesù è «colmo di sapienza»; in tal modo si offre una chiave di lettura dell’episodio che segue e che rappresenta il culmine dei racconti dell’infanzia di Gesù. I vv. 41-42 inquadrano la vicenda nel contesto dell’usanza di compiere il pellegrinaggio annuale a Gerusalemme in occasione della Pasqua. La legge, infatti, prescriveva tre pellegrinaggi annuali in corrispondenza delle feste di Pasqua, delle Settimane e delle Capanne. Ancora una volta l’evangelista evidenzia il tema del cammino. Dopo quello di Maria verso la regione montuosa della Giudea e quello della coppia di sposi verso Betlemme, Luca menzione il viaggio verso Gerusalemme compiuto nel dodicesimo anno di nascita di Gesù, motivato dalla fedeltà alle norme rituali prescritte dalla legge. Senza specificare il numero dei giorni di permanenza nella Città santa, si menziona il ritorno verso Nazaret. È qui che i genitori, dopo una giornata di cammino e di ricerca tra i parenti e i conoscenti, si rendono conto che il loro figlio non è nella comitiva. Essi ignorano che Gesù è rimasto a Gerusalemme ma è lì che ritornano per cercarlo ancora. La ricerca dura tre giorni e termina nel tempio proprio dove dodici anni prima lo avevano «presentato» al Signore. In quell’occasione il padre e la madre di Gesù si meravigliarono delle cose che Simeone diceva di lui. L’anziano profeta li aveva benedetti e aveva annunciato a Maria che una spada le avrebbe attraversato l’anima. Sul momento quelle parole apparivano alquanto enigmatiche ma l’episodio dello smarrimento di Gesù e la sua ricerca angosciosa s’incaricano di chiarirne il senso.

La tensione si scioglie al v. 46 nel quale si descrive finalmente il ritrovamento. Il ragazzo è descritto tutt’altro che smarrito, anzi, pienamente consapevole del gesto fatto e suo agio nel tempio. Benché giovane, egli assume già la postura del saggio che discute con altri maestri, suoi pari. Non si dice che insegna, ma che ascolta e interroga. Sono i verbi del discernimento vocazionale. Alla ricerca dei genitori di Gesù fa da riscontro la ricerca di senso avviata da Gesù. Coloro che lo osservano e lo ascoltano rimanevano sbalorditi della sua maturità. Egli incarna la figura modello del discepolo che si pone in un atteggiamento di umile ricerca e di dialogo, lasciandosi interrogare ed esprimendo in maniera spontanea, come farebbe un bambino, quello che sente e che pensa. Gesù con le sue risposte mostra l’intelligenza del cuore e della mente. Essa è un dono dello Spirito che caratterizza il re sapiente, secondo la profezia di Isaia.

L’evangelista ama descrivere le emozioni dei personaggi. La gente che ascolta Gesù rimane stupita della sua maturità ma ignora il dramma dei suoi genitori che, invece, al vederlo sono sbalorditi. La madre, facendosi interprete anche del padre, non si accontenta di aver ritrovato il figlio che avevano smarrito, ma s’inserisce nel dialogo che Gesù sta avendo con i maestri, domandando il motivo di quel gesto che ha causato in loro tanto dolore. Maria esprime la sua rabbia nei confronti del figlio, responsabile di un comportamento ingiusto nei loro confronti. Dalla ricerca, mossa dall’ignorare dove fosse Gesù, si passa alla ricerca del senso di una scelta avvertita come una grave ingiustizia. Maria e Giuseppe, pur sapendo l’origine misteriosa di Gesù e la sua vocazione, tuttavia agiscono da genitori coscienziosi che si preoccupano per il loro figlio. L’atteggiamento di Maria è un formidabile esempio di gestione del conflitto attraverso la «lite». Il genitore non giudica e infligge una pena animato dalla rabbia, ma instaura un dialogo. Il termine «figlio» da una parte serve a Maria e Giuseppe di riaffermare la loro autorità genitoriale e, dall’altra, di ricordare a Gesù la sua condizione subalterna rispetto al padre e alla madre. La domanda introdotta con «perché» introduce un confronto nel quale chi interroga antepone al giudizio la disponibilità all’ascolto perché è consapevole di non sapere ma anche desideroso di conoscere la verità.

La replica di Gesù non è una risposta, almeno nel senso della giustificazione che i genitori si aspettavano; si tratta, infatti, di una duplice domanda che induce Maria e Giuseppe a interrogarsi sul rapporto che essi hanno con Gesù e sul fatto che egli, pur essendo loro figlio, tuttavia orienta la sua ricerca verso una volontà più alta che trascende il semplice rispetto delle norme di comportamento. Il «perché» di Gesù, rivolta ai suoi genitori, è indirizzata anche al lettore, incuriosito dal suo atteggiamento irrispettoso. «Perché mi cercavate?» focalizza la questione della identità di Gesù, o meglio, non su chi è lui in sé (le attestazioni multiple e concordi sono state sufficienti) ma cosa rappresenta per la mi vita. La vera domanda è: quale intreccio c’è tra la propria vocazione e quella di Gesù? Nel piano di Dio quale relazione si instaura tra me e Gesù, o ancora, quale missione affida a Gesù e quale a me? Gesù non misconosce la sua condizione di figlio di Giuseppe e Maria, tuttavia essi sono richiamati alla loro condizione di figli di Dio ai quali non è richiesta semplicemente un’obbedienza passiva o pragmatica ma attiva e dialogante. In questo senso, la scelta di rimanere a Gerusalemme e di stare nel tempio a discutere con i maestri assume un significato didattico affinché i suoi genitori diventino i primi discepoli del loro figlio e lo accompagnino nel comune cammino di discernimento della volontà del Padre. Quella di Gesù è una proposta di discepolato e di «cammino sinodale familiare». La parola di Gesù non è immediatamente compresa dai suoi genitori perché egli, pur essendo loro figlio rimane sempre un «mistero» che viene illuminato gradualmente dall’evento della Pasqua e da quelli che la preparano e che costituiscono il prosieguo della trama del racconto evangelico. L’incomprensione è la misura della distanza che c’è tra le attese mondane degli uomini e la speranza di salvezza che nasce dal cuore di Dio. Gli atteggiamenti di Gesù sono chiaramente di rottura di schemi mentali caratterizzati da una ritualità che però ha perso l’anima perché ha ridotto la relazione con Dio ad un rapporto commerciale e formale.

Il viaggio di ritorno a Nazaret non chiude semplicemente la questione dell’evento increscioso ma inaugura un tempo caratterizzato ancora una volta dal discernimento. Gesù lo vive nella piena sottomissione filiale ai suoi genitori che onora e verso i quali porta rispetto; Maria, da parte sua, impara dal figlio non tanto a cercare di capire ma ad aderire alla volontà di Dio accogliendo gli eventi come occasione per crescere nella intelligenza della volontà di Dio, nella generosità del servizio e nel coraggio di aggrapparsi alla speranza.  

MEDITATIO

Maria, pellegrina nella fede e ricercatrice di Dio

Per la famiglia di Nazareth era una consuetudine celebrare la Pasqua annuale compiendo il pellegrinaggio a Gerusalemme. Ma quando Gesù ebbe dodici anni quella festa, che sembrava essersi svolta come tutte le altre volte, fu guastata da un imprevisto: Gesù aveva scelto di non tornare con i suoi genitori a Nazaret ma di rimanere a Gerusalemme quasi a voler prolungare la festa. Maria e Giuseppe non avrebbero mai potuto immaginare che da lì a qualche anno, proprio durante la Pasqua degli Ebrei, Gesù avrebbe vissuto la sua Pasqua inaugurando un nuovo rito nel quale è versato il suo sangue, come quello l’agnello pasquale e avrebbe donato il suo corpo come pane spezzato per essere mangiato. Neanche Gesù lo sapeva ma avvertiva dentro di sé la voce dello Spirito Santo che gradualmente lo attirava verso il Padre e al quale era obbediente. Chi di noi non sarebbe caduto nel panico al pensiero di aver smarrito il proprio figlio per averlo perso di vista. La ricerca angosciata avviene prima tra parenti e conoscenti e poi finalmente si dirige verso Gerusalemme dove, dopo tre giorni, ritrovano Gesù che è nel tempio, come se fosse nella sua «casa dell’insegnamento» della sua Nazaret, a dialogare con i maestri. Lo stupore accomuna chi lo ascolta e chi lo ritrova. In Maria e Giuseppe ci sono emozioni contrastanti, gioia e rabbia. Maria domanda «Perché?», reclama una spiegazione, vorrebbe capire il senso di quella scelta che a prima vista sembra essere un’offesa a loro. La risposta di Gesù sposta l’attenzione sul senso della loro ricerca, quasi a chiedere: «cosa vi spinge a cercarmi, cosa o chi cercate?». Questo interrogativo ritornerà la domenica di Pasqua sulla bocca dei due angeli che le donne trovano nella tomba vuota: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo?» (Lc 24, 5). Gesù offre un primo insegnamento ai suoi genitori: essi devono cercare Gesù non per ritornare come prima, ma per seguirlo e imitarlo nel cercare innanzitutto la volontà di Dio. Non si può celebrare la Pasqua e poi ritornare indietro, ma bisogna rimanere, approfondire e cercare la volontà di Dio per metterla in pratica. Gesù insegna agli smarriti di cuore a cercare Dio per ritrovare il centro della propria vita. Senza questo centro si vaga in balia del dubbio e della paura. La fede guida la nostra ricerca e la indirizza verso il cuore della vita. Similmente celebrare l’Eucaristia significa pellegrinare verso Gesù, il cuore del mondo.

ORATIO

Maria, pellegrina nella fede,

tu che, insieme a Giuseppe tuo sposo,

hai provato angoscia e smarrimento

per aver perso di vista il tuo figliolo

e con trepidazione lo hai cercato

guidata dalla speranza di rivederlo,

aiuta i figli tuoi che vagano

perché distratti dalle tentazioni

e dalle preoccupazioni della vita,

spesso incapaci di alzare lo sguardo

oltre i propri interessi e giudizi.

Prendici per mano e insegnaci

a dare ascolto alla voce dello Spirito

che parla in noi;

indirizza il nostro desiderio

all’incontro col Signore Gesù,

aiutaci a intrecciare il filo dei nostri sogni

con quello della volontà di Dio.

Guida i nostri passi

nella nostra ricerca

di verità e di senso perché,

fissando in Dio

il centro dell’umana speranza,

possiamo scoprire la nostra vocazione,

riconoscere il nostro posto

nella missione di Cristo

e dare ordine alla nostra vita;

così, come da sorgente di acqua viva

che sgorga dal cuore Dio,

possiamo attingere e dispensare la carità al prossimo nostro. Amen.