Seguire il filo della speranza – I DOMENICA DI AVVENTO (ANNO C) – Lectio Divina

Seguire il filo della speranza – I DOMENICA DI AVVENTO (ANNO C) – Lectio Divina

30 Novembre 2024 0 Di Pasquale Giordano

I DOMENICA DI AVVENTO (ANNO C) – Lectio Divina

Ger 33,14-16   Sal 24   1Ts 3,12-4,2

Padre santo,

che mantieni nei secoli le tue promesse,

rialza il capo dell’umanità oppressa dal male

e apri i nostri cuori alla speranza,

perché attendiamo vigilanti la venuta gloriosa di Cristo,

giudice e salvatore.

Egli è Dio, e vive e regna con te,

nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.


Dal libro del profeta Geremìa Ger 33,14-16

Farò germogliare per Davide un germoglio giusto.

Ecco, verranno giorni – oràcolo del Signore – nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa d’Israele e alla casa di Giuda.

In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio giusto, che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra.

In quei giorni Giuda sarà salvato e Gerusalemme vivrà tranquilla, e sarà chiamata: Signore-nostra-giustizia.

Germoglio di speranza

Geremia è il portavoce di Dio che offre agli abitanti di Gerusalemme una parola di speranza. Questo avviene alla vigilia della tragedia finale quando la città santa cadrà nelle mani di Nabucodonosor e il re Sedecia, che significa «mia giustizia è il Signore», sarà fatto prigioniero ponendo fine alla dinastia davidica e al regno di Giuda. C’è, dunque, una tensione paradossale tra la parola di Dio, espressa da Geremia e le attese dei Giudei che si caricano sempre più di terrore per l’incertezza del futuro. La parola di speranza intende motivare la conversione del re e del popolo che, dal confidare in sé stessi e nei propri giudizi, ritenuti più realistici, devono passare a fidarsi della Parola, che sembra fallimentare, e lasciarsi guidare da essa per non opporsi all’invasore ma per cedere con mitezza e umiltà. Davanti alla crisi, qual è la scelta più giusta da fare? La parola di Geremia conferma la promessa di Dio, già espressa in 23, 5-6, di prendere in prima persona la guida del popolo come suo Pastore per riunire nuovamente le tribù in un solo popolo. La giustizia, dunque, coincide con la promessa di Dio che egli fa e compie indipendentemente dai meriti del popolo. Non c’è nessun uomo che possa dire di essere l’incarnazione della promessa di Dio, se non Gesù, il Figlio di Dio. Egli è il germoglio che rispunta dal tronco tagliato della casa di Davide nel quale la speranza di salvezza si riaccende. Non è ricorrendo a strategie umane che ci si salva, anzi esse portano alla rovina. Gesù è il Signore che annuncia con la sua morte e risurrezione il compimento della promessa di salvezza di Dio ed è il fondatore della nuova Gerusalemme, ovvero la comunità dei salvati, non per i loro meriti ma per la giustizia di Dio. Con la morte e la resurrezione di Gesù non si restaura un regime vecchio in una forma riveduta e corretta ma si inaugura una nuova civiltà, quella dell’amore.    

Salmo responsoriale Sal 24

A te, Signore, innalzo l’anima mia, in te confido.

Fammi conoscere, Signore, le tue vie,

insegnami i tuoi sentieri.

Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi,

perché sei tu il Dio della mia salvezza.

Buono e retto è il Signore,

indica ai peccatori la via giusta;

guida i poveri secondo giustizia,

insegna ai poveri la sua via.

Tutti i sentieri del Signore sono amore e fedeltà

per chi custodisce la sua alleanza e i suoi precetti.

Il Signore si confida con chi lo teme:

gli fa conoscere la sua alleanza.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési 1Ts 3,12-4,2

Il Signore renda saldi i vostri cuori al momento della venuta di Cristo.

Fratelli, il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti, come sovrabbonda il nostro per voi, per rendere saldi i vostri cuori e irreprensibili nella santità, davanti a Dio e Padre nostro, alla venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi.

Per il resto, fratelli, vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù affinché, come avete imparato da noi il modo di comportarvi e di piacere a Dio – e così già vi comportate –, possiate progredire ancora di più. Voi conoscete quali regole di vita vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù.

Il seme della Parola che cresce nel segreto della notte

Paolo era preoccupato della condizione dei Tessalonicesi dopo la sua fuga a causa della persecuzione che si era scatenata contro di lui. Egli temeva che la sua assenza avesse compromesso il cammino di fede iniziato in quella comunità. Tuttavia, le rassicurazioni offertegli da Timoteo che aveva visitato quella comunità, confortano il cuore dell’apostolo. Egli ringrazia Dio del fatto che il seme del Vangelo piantato con la sua predicazione sta portando i suoi frutti nonostante la sua assenza. I Tessalonicesi stanno dimostrando di aver accolto il vangelo predicato da Paolo non come parola di uomini ma come Parola di Dio. Paolo invita a pregare con lui perché Dio voglia ricondurre di nuovo i passi dell’apostolo verso Tessalonica ed esorta la comunità a rimanere saldi nella fede operando la carità.

Per mezzo della lettera Paolo intende sostenere la fede dei Tessalonicesi ai quali ricorda lo stile di vita che egli ha tenuto in mezzo a loro. L’apostolo, infatti, non evangelizzava solamente con l’insegnamento verbale ma anche con il suo stile di vita. L’esempio vale più di ogni discorso. La sua condotta altro non era che la traduzione esistenziale delle regole di vita del Vangelo date da Gesù. Il rispetto di sé e dell’altro sono le due direttrici fondamentali sulla quali condurre una vita santa secondo l’insegnamento e l’esempio di Gesù e dei suoi ministri. Le parole possono essere anche dimenticate ma l’esempio si imprime nel cuore e lo determina nella scelta di imitare Cristo e i suoi servi fedeli.

+ Dal Vangelo secondo Luca Lc 21,25-28.34-36

La vostra liberazione è vicina.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.

Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria.

Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.

State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».

LECTIO

Contesto

Il «grande viaggio verso Gerusalemme» approda nel luogo più santo della città (19,45), dove Gesù sostiene una serie di controversie con i capi del popolo (c. 20) e tiene l’ultimo discorso pubblico, chiamato «escatologico» che l’evangelista Luca riprende sostanzialmente dalla narrazione di Marco. Tuttavia, a differenza di Mc 13,2 e Mt 24,1, Gesù parla stando ancora dentro il tempio e rivolgendosi pubblicamente a tutto il popolo, anche se il contenuto riguarda particolarmente i discepoli. Il tono, rispetto agli altri sinottici, è più positivo perché promette il dono della sapienza che non potrà essere contraddetta e permetterà di offrire testimonianza (21, 13-15). Nel momento della loro persecuzione le parole di Gesù infondono fiducia nei discepoli contestualizzando anche gli eventi più drammatici in un orizzonte di speranza. Il genere letterario di questo discorso è apocalittico, ovvero rivelativo. Il dialogo nasce dalla profezia circa la distruzione del tempio della quale i suoi discepoli vorrebbero sapere con esattezza il tempo e i segni che la preannunceranno. Gesù replica n maniera indiretta indicando i segni della fine nel sorgere dei falsi messia, guerre e disastri (vv. 8-11), a cui si aggiungeranno le persecuzioni contro i discepoli (vv. 12-19); i vv. 20-24 si riferiscono all’assedio di Gerusalemme con la conseguente distruzione del tempio. È a questo punto che s’inserisce la pericope liturgica con l’annuncio della venuta del Figlio dell’uomo.

Testo

Nello scenario drammatico che descrive «la fine» si staglia la sorprendente venuta del Figlio dell’uomo (vv. 25-28); segue la parabola dei germogli da cui Gesù trae alcune esortazioni (vv. 29-33), esclusa dalla pericope liturgica, la quale riprende con l’avvertimento finale sulla vigilanza (vv. 34-36).

Il riferimento ai «segni» del v. 25 sembra essere connessa con la domanda posta a Gesù nel v. 7. In realtà, lo scenario è molto più al di là dell’ambito mondano e storico e abbraccia la sfera celeste; infatti, prendendo a prestito le immagini dalla letteratura apocalittica veterotestamentaria, i «segni» riguardano i corpi celesti (sole, luna e stelle). Nei libri profetici simili fenomeni sono interpretati come una regressione al caos precedente alla creazione. Tale involuzione provoca uno sconvolgimento della terra e del mare che getta gli uomini nel terrore. Tuttavia, Gesù offre una chiave di lettura diversa da quella dei profeti antichi perché più che la fine si annuncia l’inizio di un’epoca nuova in cui domina il piano salvifico di Dio che si compie. Sulla terra si riflette ciò che avviene nel cielo. L’uomo è consapevole che la sua vita non dipende solo dalle sue scelte e che esse sono determinate dalla relazione con il trascendente. Da sempre si è colto il collegamento tra eventi naturali e la loro causa soprannaturale identificata nel divino. Il paganesimo ha la sua religiosità che proietta nella sfera celeste dinamiche umane che riguardano tutti gli aspetti dell’esistenza. La novità del Dio d’Israele sta nel fatto che Egli si rivela come il Santo, anzi il tre volte Santo. Nella lingua ebraica il termine “santo” significa letteralmente “separato” per indicare la totale alterità di Dio rispetto all’uomo e la sua assoluta indisponibilità a lasciarsi ridurre a sua immagine. Tuttavia, benché totalmente altro Yahvè si mostra anche assolutamente prossimo all’uomo. Il comandamento che vieta di farsi un dio educa l’uomo a non elevarsi alle altezze celesti per farsi Dio. Ogni tentativo del genere sarebbe un attentato alla sua vita perché sprofonderebbe nella voragine della sua presunzione tanto più profonda quanto più in alto avrebbe voluto collocarsi. L’uomo, creato ad immagine di Dio, riceve da lui la vocazione ad elevarsi al livello della relazione che unisce un padre al suo figliolo. Osea propone proprio questa immagine quando evoca la scena di un padre che solleva suo figlio piccolo alla sua guancia (Os 11) per baciarlo ma anche guardarlo negli occhi e dialogare con lui faccia a faccia. L’elevazione, che è azione di Dio e non sforzo dell’uomo, segue al movimento di discesa con il quale il Signore viene a visitare il suo popolo e a farsi prossimo a lui facendosi carico delle sue debolezze e i suoi limiti. Le crisi personali e sociali, a cui allude Gesù nei primi versetti del discorso, possono indurre gli uomini a pensare di essere in balia delle forze occulte che lottano tra di loro. Il messaggio di Gesù, invece, mira a rassicurare del fatto che il progetto di Dio è salvifico perché finalizzato alla vita beata dell’uomo. Se è vero che Dio combatte, egli lotta (agonia) per la nostra salvezza. Essa da una parte è la liberazione dalla paura, che rende schiavi del maligno con tutto il corredo di sensi di colpa e complessi di persecuzione, e dall’altra, è promozione dell’uomo che è chiamato a collaborare con Dio affinché la sua vocazione alla santità si compia a partire dalla costruzione nell’oggi di una comunità fraterna fondata sulla carità. La venuta del Figlio dell’uomo sulla nube è la manifestazione del volto di Dio che splende di bontà e misericordia. L’intervento salvifico di Dio non è nascosto ma “apocalittico” ossia rivelativo e manifesto; come tale, visibile da tutti, anche se non tutti riescono a coglierne la verità. Le parole di Gesù si compiranno mentre è sulla croce, dove, spogliato di tutto, testimonia la bontà di Dio e la forza della mitezza intercedendo per i suoi uccisori e garantendo la partecipazione alla sua regalità al malfattore convertito che crede nella salvezza portata da Lui.

La morte di Gesù è l’evento pasquale, ovvero il cammino dell’esodo guidati dalla nube, che per gli Israeliti era luminosa mentre era tenebrosa per gli Egiziani. Luca, infatti, parla di nube e non di nubi per richiamare direttamente l’evento del passaggio del mar Rosso, liberazione e salvezza per gli Israeliti mentre sconfitta e morte per gli egiziani. In questo contesto pasquale va inserita l’avvertimento e l’esortazione che compongono la seconda parte della pericope liturgica (vv. 34-36). Il cammino dell’esodo era stato preceduto da dieci segni compiuti da Dio mediante Mosè e replicati anche dai falsi profeti con l’effetto di indurire il cuore del Faraone; non solo il suo, ma contestualmente anche quello degli Israeliti che si ribellano a Dio, mormorando contro il suo profeta, perché le piaghe che si susseguivano allontanavano sempre di più la speranza di una liberazione prossima. Il cuore appesantito richiama la vicenda esodica che diventa chiave di lettura per interpretare la delusione del discepolo nel vedere trionfare il male e sconfitta la propria speranza di riscatto. Non vedendo subito realizzate le proprie aspettative di rinnovamento, il rischio è quello di ripiegarsi su quello che dà solo l’illusione di libertà, ma che in realtà ben presto si rivela rimedio ingannevole e nocivo. «Il giorno» è quello della visita del Signore, della sua «scesa in campo», che, come la nube dell’esodo, può essere gioioso per chi attende l’arrivo della luce e pauroso per chi, invece si è adattato alle tenebre e ha ceduto alla sua logica. Il laccio può, dunque, abbattersi sul collo dei ribelli, per riportarli allo stato di sottomissione, o essere preso come strumento del Dio che viene a salvare. Dipende dal modo con il quale viviamo l’oggi: secondo la speranza di Dio e quella del mondo. «In ogni tempo» significa che in ogni condizione di vita, sia piacevole che spiacevole, sia facile che difficile, sia esaltante che deprimente, il credente preghi tenendo gli occhi aperti per cogliere i segni della presenza di Dio e i germogli che annunciano il compimento della sua volontà. Il tempo dell’esistenza terrena scorre verso «il giorno» finale, punto di rottura col passato e introduzione di una nuova era, momento del capovolgimento della situazione nella quale i sofferenti a causa delle ingiustizie conoscono di essere salvati e fautori d’iniquità, che hanno fatto dell’ingiustizia il loro stile di vita, prendono consapevolezza del loro fallimento e cadono nella disperazione più assoluta. Gesù sà che nella lotta (agonia) che sta per vivere non ci si può abbandonare al sonno dell’indifferenza e della rassegnazione, ancor meno fuggire in qualche forma di auto-salvezza, ma bisogna pregare per vivere ogni momento della propria vita con una coscienza pura, ovvero in discernimento della volontà di Dio e con piena obbedienza a metterla in pratica. All’atteggiamento dello stolto che nel pericolo si rifugia in ciò che non protegge si contrappone quello dell’uomo saggio e giusto che, proprio quando gli viene meno la terra da sotto i piedi, ancora la sua speranza in Dio che è amore fedele. L’esortazione di Gesù ha anche un valore pedagogico perché la parola che rivolge ai discepoli la vive in prima persona sulla croce dove appare pienamente padrone degli eventi, seppure drammatici e dolorosi. Egli non subisce nel silenzio ma prega, intercedendo per i peccatori e consegnando la sua vita nelle mani del Padre. Lungi dall’essere ripiegato su se stesso sotto il peso del dolore, Gesù assume la postura regale del Figlio dell’uomo che, ritto in mezzo all’assemblea, proclama la vittoria e l’inaugurazione del suo regno di giustizia e di pace. Il Vangelo sta proprio nell’annuncio che la volontà di Dio, proclamata dalla parola di Gesù e praticata con la sua obbedienza sulla croce, si è compiuta con la sua risurrezione. Essa è il fondamento della nostra speranza di vita eterna.           

MEDITATIO

Seguire il filo della speranza

Stando al Libro della Genesi, in principio c’era il caos totale con gli elementi della natura in lotta tra di loro per prevalere l’uno sull’altro. Dio interviene con la sua parola e crea l’ordine, il cosmo nel quale tutto è in relazione armonica. Ciò che fa paura è non capire cosa stia accadendo nella vita in cui spesso sembra che i guai e i problemi si rincorrano passando da uno all’altro. Vorremmo al più presto uscire dal tunnel perché, di pari passo con l’avanzare del tempo, cresce l’insofferenza verso quelle situazioni che ci appaiono disperate e senza soluzione. Oltre all’ansia alimentata dalla paura, corriamo il rischio della pigrizia e dell’accidia. Si tratta del pericolo di adattarci vivendo la vita con le abitudini di sempre, cercando di mantenere quella normalità che corrisponde alle consuetudini di una vita sbiadita, rassegnata e senza motivazioni. C’è dunque un caos interiore che si rivela o come agitazione ansiosa o come calma pigra. Entrambe queste situazioni sono causa di conflitti e aggressioni perché l’ansioso, difettando di fiducia, è in perenne lotta col mondo per difendersi dagli altri, l’accidioso invece reagisce con acredine contro quelli che gli sembrano essere i disturbatori o usurpatori del suo mondo che si è creato comodamente a sua misura. La Parola di Dio viene a mettere ordine nel nostro cuore. Egli, come dice il Salmo 24, «si confida». Sì, il Signore apre il suo cuore e ci parla col cuore in mano. L’invito di Gesù a non rinchiuderci per la paura e a non ripiegarci su noi stessi isolandoci dagli altri, suona come un appello a fidarci di Lui. Egli viene non per «guastare la festa» ma per realizzare con noi e per noi i suoi sogni di pace. Dio vuole rendere bello il mondo, vuole fare bello l’uomo. Vuole fare di noi la sua famiglia, i suoi amici che, aiutandosi l’un l’altro, si scambiano vicendevolmente il dono della gioia. In mondo dove le relazioni affettive sono cangianti e la consistenza dei legami è molto debole Dio rivela in Gesù il suo amore la cui forza da una parte ci libera dalle paure dell’incertezza e, dall’altra, rende più concreti i rapporti d’amore. Dio è sempre all’opera, crea sempre, ovvero, donando il suo Spirito, dà la forma all’uomo e lo plasma ad immagine e somiglianza del suo Figlio Gesù. La vigilanza, lungi dall’essere carica di tensione, a motivo dei pericoli e delle prove, o espressione della diffidenza nei confronti degli altri, è un modo di vivere. Lo stile di vita del cristiano s’ispira a quello di Gesù il cui esempio è reso attuale nei suoi testimoni. Il profumo e la luce della santità si diffonde attraverso quegli uomini e quelle donne, sulle quali è effuso lo Spirito, e che si lasciano formare per riproporre nella loro vita la bellezza di Dio.

ORATIO

Signore Gesù,

profeta del sogno di Dio per gli uomini,

vieni a liberarmi dalla paura

che assedia il mio cuore

e dalle ansie che lo appesantiscono

rendendomi sordo agli appelli che mi rivolgi

e cieco davanti alla bellezza del creato.

Le prove mi educhino a saper riconoscere

che l’essenziale nella vita è amare

e che tutto ciò che gira

attorno al mio io egoista

è destinato a finire.

Quando il passo si fa incerto,

vengono meno i punti di riferimento

e si avverte confusione e smarrimento,

sostienimi con la speranza

perché il desiderio di vedere il volto di Dio

e la gioia d’incontrarlo

motivino la quotidiana scelta

di amarlo nei fratelli

per contemplare fin da ora nei loro occhi

la bellezza della tua santità. Amen.