Confidenze e affidamento di responsabilità – Mercoledì della XXXIII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

Confidenze e affidamento di responsabilità – Mercoledì della XXXIII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

18 Novembre 2024 0 Di Pasquale Giordano

Mercoledì della XXXIII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

Ap 4,1-11   Sal 150  

Il tuo aiuto, Signore Dio nostro,

ci renda sempre lieti nel tuo servizio,

perché solo nella dedizione a te, fonte di ogni bene,

possiamo avere felicità piena e duratura.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,

e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.

Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo Ap 4,1-11

Santo il Signore Dio, l’Onnipotente, Colui che era, che è e che viene!

Io, Giovanni, vidi: ecco, una porta era aperta nel cielo. La voce, che prima avevo udito parlarmi come una tromba, diceva: «Sali quassù, ti mostrerò le cose che devono accadere in seguito». Subito fui preso dallo Spirito.

Ed ecco, c’era un trono nel cielo, e sul trono Uno stava seduto. Colui che stava seduto era simile nell’aspetto a diaspro e cornalina. Un arcobaleno simile nell’aspetto a smeraldo avvolgeva il trono. Attorno al trono c’erano ventiquattro seggi e sui seggi stavano seduti ventiquattro anziani avvolti in candide vesti con corone d’oro sul capo. Dal trono uscivano lampi, voci e tuoni; ardevano davanti al trono sette fiaccole accese, che sono i sette spiriti di Dio. Davanti al trono vi era come un mare trasparente simile a cristallo. In mezzo al trono e attorno al trono vi erano quattro esseri viventi, pieni d’occhi davanti e dietro.

Il primo vivente era simile a un leone; il secondo vivente era simile a un vitello; il terzo vivente aveva l’aspetto come di uomo; il quarto vivente era simile a un’aquila che vola. I quattro esseri viventi hanno ciascuno sei ali, intorno e dentro sono costellati di occhi; giorno e notte non cessano di ripetere:

«Santo, santo, santo

il Signore Dio, l’Onnipotente,

Colui che era, che è e che viene!».

E ogni volta che questi esseri viventi rendono gloria, onore e grazie a Colui che è seduto sul trono e che vive nei secoli dei secoli, i ventiquattro anziani si prostrano davanti a Colui che siede sul trono e adorano Colui che vive nei secoli dei secoli e gettano le loro corone davanti al trono, dicendo:

«Tu sei degno, o Signore e Dio nostro,

di ricevere la gloria, l’onore e la potenza,

perché tu hai creato tutte le cose,

per la tua volontà esistevano e furono create».

Dio, Signore della creazione e della storia

Giovanni presenta la propria visione di Dio e la propria esperienza di fede invitando anche l’assemblea che ascolta a condividerla sua stessa visione. La prima immagine è una porta in cielo, che è il mondo proprio di Dio; essa è aperta, perché la comunicazione fra Dio e l’uomo è stata aperta nel passato e continua ad esserlo anche nel presente. La voce guida lo invita a salire per varcare la soglia e introdurlo nella corte celeste. La seconda immagine è il trono che indica il potere e l’esercizio di governo. Il simbolo regale evoca il ruolo di Signore dell’universo, creatore e governatore di tutto. In cielo c’è il trono di Dio e dell’Agnello, ma sulla terra c’è anche il «trono di satana». Il trono è pertanto un’immagine che allude alle due sovranità che si contendono il dominio della storia e del cuore dell’uomo. La bellezza e lo splendore delle pietre preziose rimandano alla gloria di Dio che è luce. L’arcobaleno, che avvolge il trono, non è solo espressione di luminosità, ma anche di pace e di alleanza. Tre annotazioni offrono l’occasione per approfondire il messaggio: Dio entra in contatto con la realtà cosmica e si rivela al mondo grazie al suo Spirito («sette lampade di fuoco»). Il mare, simbolo dell’inconsistenza, della negazione della vita, del male, è reso solido e trasformato in supporto del trono divino. Giovanni nella descrizione della visione si sofferma sugli elementi che fanno corona al trono e contribuiscono a chiarirne il valore simbolico: i ventiquattro anziani e i quattro esseri viventi. Sono personaggi autorevoli e storici, associati a Dio nel governo del mondo. I ventiquattro evocano tutti gli uomini che collaborano al piano di Dio e hanno un ruolo attivo nella storia della salvezza. I quattro esseri viventi, pieni di occhi davanti e di dietro, in sembianze di leone, di vitello, di uomo e di aquila che vola, stanno in mezzo e intorno al trono, riconoscono con la lode la trascendenza di Dio, il tre volte Santo, e celebrano il suo intervento storico, lodandolo come «Colui che era, che è e che viene». Pur avendo forme tipiche del mondo terreno e umano, sono pure dotati di ali che caratterizzano invece il cielo, che è il mondo di Dio. Il numero quattro è simbolo che designa la totalità spaziale e rimanda a una dimensione cosmico-geografica. Anche in questo caso non è facile l’identificazione; sono i rappresentanti della creazione e del dinamismo cosmico, simboleggiando l’universo creato e retto da Dio nella sua molteplice varietà e nella sua diversità rispetto all’uomo. Con concetto moderno potremmo dire che i ventiquattro anziani sono il simbolo della storia e i quattro esseri viventi della natura. Natura e storia saldamente nelle mani di Dio.

+ Dal Vangelo secondo Luca Lc 19,11-28

Perché non hai consegnato il mio denaro a una banca?

In quel tempo, Gesù disse una parabola, perché era vicino a Gerusalemme ed essi pensavano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro.

Disse dunque: «Un uomo di nobile famiglia partì per un paese lontano, per ricevere il titolo di re e poi ritornare. Chiamati dieci dei suoi servi, consegnò loro dieci monete d’oro, dicendo: “Fatele fruttare fino al mio ritorno”. Ma i suoi cittadini lo odiavano e mandarono dietro di lui una delegazione a dire: “Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi”. Dopo aver ricevuto il titolo di re, egli ritornò e fece chiamare quei servi a cui aveva consegnato il denaro, per sapere quanto ciascuno avesse guadagnato.

Si presentò il primo e disse: “Signore, la tua moneta d’oro ne ha fruttate dieci”. Gli disse: “Bene, servo buono! Poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città”.

Poi si presentò il secondo e disse: “Signore, la tua moneta d’oro ne ha fruttate cinque”. Anche a questo disse: “Tu pure sarai a capo di cinque città”.

Venne poi anche un altro e disse: “Signore, ecco la tua moneta d’oro, che ho tenuto nascosta in un fazzoletto; avevo paura di te, che sei un uomo severo: prendi quello che non hai messo in deposito e mieti quello che non hai seminato”. Gli rispose: “Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato: perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio ritorno l’avrei riscosso con gli interessi”. Disse poi ai presenti: “Toglietegli la moneta d’oro e datela a colui che ne ha dieci”. Gli risposero: “Signore, ne ha già dieci!”. “Io vi dico: A chi ha, sarà dato; invece a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. E quei miei nemici, che non volevano che io diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me”».

Dette queste cose, Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme.

Confidenze e affidamento di responsabilità

La parabola ci offre uno spaccato della nostra vita cristiana, una chiave di lettura e un criterio di verifica. Essa è racchiusa tra due momenti o chiamate, come quelle che riguardano i dieci servi. C’è un tempo nel quale si è chiamati per ricevere in consegna un valore e con esso la missione di farlo fruttificare. Segue poi il momento della verifica e della rendicontazione o del giudizio. Tra questi due tempi c’è il “frattempo” dell’attesa del ritorno del Signore nel quale ognuno è responsabile delle proprie scelte. Il racconto della parabola ci invita a identificarci con uno dei dieci servi e anticipare nel presente, e nel segreto della propria coscienza, quel giudizio finale che sarà un giorno chiaro e palese. Abbiamo bisogno di fare costantemente discernimento e d’interrogarci se siamo servi fedeli che, in obbedienza alla missione ricevuta, investono la moneta affidataci diffondendo il Vangelo mediante le quotidiane e piccole scelte di vita, oppure, vinti dalla diffidenza e dalla paura, preferiamo nasconderla in un fazzoletto vivendo una vita dalla quale non traspare affatto la vocazione alla santità alla quale tendiamo. La malvagità del servo negligente non consiste nell’aver compiuto una qualche azione cattiva ma nell’aver omesso di fare il bene rendendo così sterile il dono affidatogli e venendo meno all’impegno preso con il padrone. La fedeltà dei servi buoni si è manifestata grazie al fatto che essi, tenendo sempre presente la parola del loro padrone, hanno lasciato spazio alla creatività dello Spirito, al contrario dell’altro, vittima del pregiudizio e della paura. L’insegnamento che viene dalla parabola suggerisce a noi, servi della Parola, di aver sempre un grato ricordo del dono ricevuto in modo da vivere responsabilmente la missione di far crescere il Regno di Dio in mezzo al mondo.

Signore Gesù, mi chiami amico e ti confidi affidandomi la tua Parola, preziosa come una moneta d’oro. Fa che possa coglierne il valore e tradurre il significato per la mia vita in segni eloquenti di carità. Mi affidi la Parola perché sia come seme da spargere nei solchi della storia affinché essa possa diffondersi e fruttificare. Il tuo Spirito Santo, effuso nel mio cuore, alimenti la fiducia in Te e il desiderio di servirti in modo lodevole e degno guidato dalla missione che mi hai consegnato nel Battesimo di essere fedele nell’annunciare il Vangelo e credibile nel trasmettere il tuo insegnamento. Perdona ogni mio peccato di omissione causato dal fatto di aver preferito obbedire alla voce della paura, dell’orgoglio e dell’egoismo piuttosto che alla tua Parola. Donami il coraggio di rischiare e di perseverare nel bene perché, mettendoci amore nelle piccole azioni quotidiane, manifesti a tutti la bellezza del Regno di Dio.