Tutti santi – TUTTI I SANTI – Lectio divina
TUTTI I SANTI
Ap 7,2-4.9-14 Sal 23 1Gv 3,1-3
Dio onnipotente ed eterno,
che ci doni la gioia di celebrare in un’unica festa
i meriti e la gloria di tutti i Santi, concedi al tuo popolo,
per la comune intercessione di tanti nostri fratelli,
l’abbondanza della tua misericordia.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.
Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo Ap 7,2-4.9-14
Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua.
Io, Giovanni, vidi salire dall’oriente un altro angelo, con il sigillo del Dio vivente. E gridò a gran voce ai quattro angeli, ai quali era stato concesso di devastare la terra e il mare: «Non devastate la terra né il mare né le piante, finché non avremo impresso il sigillo sulla fronte dei servi del nostro Dio».
E udii il numero di coloro che furono segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila segnati, provenienti da ogni tribù dei figli d’Israele.
Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. E gridavano a gran voce: «La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello».
E tutti gli angeli stavano attorno al trono e agli anziani e ai quattro esseri viventi, e si inchinarono con la faccia a terra davanti al trono e adorarono Dio dicendo: «Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen».
Uno degli anziani allora si rivolse a me e disse: «Questi, che sono vestiti di bianco, chi sono e da dove vengono?». Gli risposi: «Signore mio, tu lo sai». E lui: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello».
L’Esodo della salvezza
Il Libro dell’Apocalisse è il libro profetico del Nuovo Testamento diverso da quelli dell’Antico perché tra il primo e i secondi c’è l’evento della Pasqua in cui Gesù Cristo, l’Agnello di Dio, con il sacrificio della sua vita ha riscattato tutti gli uomini dalla schiavitù del peccato che porta alla morte. L’apostolo Giovanni è destinatario della rivelazione della storia della Chiesa, il Popolo d’Israele della nuova Alleanza, con la quale si vuole consolare tutti coloro che sono atterriti dalle ingiustizie e dalle persecuzioni causate dall’Accusatore che vorrebbe vanificare l’opera salvifica di Cristo separando gli uomini da Dio con le armi del terrore. Il Diavolo è il terrorista per eccellenza contro cui si erge la mite forza dell’Amore. Il sangue dell’agnello è il sigillo posto sulla fronte per indicare che chi lo porta è stato riscattato dalla schiavitù della morte ed è una persona libera perché appartiene al Dio vivente. Il male non può rivendicare nessun potere e alcuna autorità su di lui. Il richiamo al sangue dell’agnello pasquale sulle tende degli Israeliti nella quale non doveva entrare la morte fa dell’Esodo la chiave di lettura della storia della salvezza che è compiuta da Gesù Cristo ed è in atto nell’oggi. È un vangelo di speranza che attinge luce né dal passato, né dal futuro, ma dal presente nel quale si rinnova continuamente il sacrificio di Cristo grazie al quale la distruzione e la morte non ha l’ultima parola e deve fermare il suo processo corruttivo davanti alla forza dell’amore di Dio.
I salvati non sono un piccolo gruppo di privilegiati in un mondo di dannati, ma sono una moltitudine infinita grande quanto l’umanità perché Cristo è morto per tutti gli uomini e non solo per una parte di essi. Per quanto i cristiani possano sentirsi una minoranza, per giunta minacciata, essi devono poggiare la loro speranza di vita solo nel Signore. Unendosi a Lui nella sofferenza della tribolazione, l’attraverseranno trovando la forza di lasciarsi alle spalle odio, rancore, tristezza, paura che uccide, per approdare alla riva della vita nuova in cui godere della gioia della comunione.
Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo 1Gv 3,1-3
Vedremo Dio così come egli è.
Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui.
Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.
Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro.
Vedere Dio, vedere come Dio
Spesso ci vediamo con gli occhi degli altri e non nell’ottica di Dio e siamo portati a vedere anche gli altri alla maniera umana e non divina. Gli altri ci giudicano riducendoci al nostro errore, mentre Dio ci guarda con occhi di padre e di madre che si prendono cura dei propri figli e li aiutano a crescere e a realizzarsi nel bene. La fede è un cammino graduale di visione di Dio. Man mano che essa diventa più chiara anche la conoscenza di Lui diventa conformazione al suo amore. La gradualità con la quale il Signore si fa conoscere nel suo infinito amore caratterizza anche il cammino di purificazione del credente che passo dopo passo progredisce nel rapporto d’intima comunione con Dio fino al momento della piena e definitiva contemplazione nella vita eterna. Quando interiorizziamo l’umiltà, il rispetto e la pazienza che Dio ha nei nostri confronti, anche noi diventiamo capaci di umiltà, rispetto e pazienza. Queste virtù gli altri le pretendono da noi, non ricercandole per sé stessi, mentre Dio le vive in sé e le coltiva in noi mediante lo Spirito Santo.
+ Dal Vangelo secondo Matteo Mt 5,1-12
Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».
LECTIO
La pericope evangelica è l’incipit del primo dei cinque grandi insegnamenti che l’evangelista Matteo riporta nel suo racconto. Si tratta di una raccolta di detti di Gesù, che ruotano attorno al concetto di giustizia, i quali compongono una sorta di overture in cui si ritrovano i temi principali che saranno sviluppati nel seguito della narrazione. Comunemente il discorso è chiamato «della montagna», dal luogo sul quale Gesù sale per offrire il suo insegnamento alle folle, o «delle beatitudini» che disegnano il profilo del discepolo del Maestro, il quale indica la via della giustizia che conduce alla felicità. Infatti, l’attacco del discorso è dato da otto brevi espressioni introdotte dall’aggettivo «beato». Il termine greco alla lettera significa «senza preoccupazioni» e nella letteratura classica indicava lo stato di vita delle divinità. Si potrebbe tradurre anche con il termine «felice». Nella Scrittura ebraica il termine corrispondente non è mai attribuito a Dio ma solo all’uomo, in particolare a colui che ascolta e mette in pratica la parola di Dio (cf. Sal 1). Vi è dunque una sovrapposizione di significato tra beatitudine e giustizia, e quindi, una identificazione tra l’uomo giusto e quello beato.
L’aggettivo «beato», senza il verbo, indica una realtà presente, non una promessa. La felicità è la condizione attuale del discepolo del quale si descrive la sua disposizione interiore. A differenza di Luca, il cui discorso sembra più aderente alla realtà sociale, l’evangelista Matteo invece è più attento alla dimensione interiore della persona, infatti, egli parla di «poveri di spirito» e «puri di cuore». Tuttavia, le beatitudini proclamano una felicità paradossale se osservata dal punto di vista del mondo. Il contesto nel quale risuonano le beatitudini è tutt’altro che senza preoccupazioni e sofferenze. L’ultima beatitudine allude alle persecuzioni subite per la giustizia da coloro che si sforzano di seguire la rotta del cammino tracciata dalla parola di Dio, facendo la sua volontà. A veder bene le beatitudini mettono in discussione il classico concetto di giustizia retributiva che fa di Dio un giudice, il quale si limita a dare il premio ai giusti e la condanna ai malvagi. Già il libro di Giobbe aveva messo in discussione questa visione delle cose che crea un cortocircuito di fede. Le beatitudini contengono un messaggio di speranza per i discepoli che, provati dalla vita, hanno la necessità di essere sostenuti dalla fede per perseverare nella giustizia, la quale, proprio attraverso le difficoltà, cresce superando quella rituale e formale degli scribi e dei farisei (cf. Mt 5,20) per giungere alla perfezione del Padre (Cf. Mt 5, 48). La beatitudine è la perfezione dell’amore, ovvero vivere la carità in sommo grado.
Il soggetto operativo delle beatitudini è Dio nel quale i perseguitati per la giustizia, che sono poveri di spirito, trovano rifugio e sostegno, gli afflitti ricevono la consolazione per non essere divorati dalla tristezza, gli affamati e gli assetati di giustizia attingono la forza per non soccombere sotto il peso della prova e continuare a lottare per il bene comune, i miti sono colmati della speranza per non cedere alla vendetta, i misericordiosi sono ispirati per far prevalere la misericordia sul giudizio e perseverare nella carità fraterna, i puri di cuore sono illuminati dalla sapienza per discernere sempre la volontà di Dio e gli operatori di pace trovano la creatività necessaria per aprire sempre nuove strade che conducono alla riconciliazione.
Se si accosta il primo insegnamento di Gesù nel vangelo Luca, ambientato nella sinagoga di Nazaret (cf. Lc 4, 18-19) e l’avvio del discorso delle beatitudini in Matteo, che invece è collocato sul monte, noteremmo che sullo sfondo c’è in entrambi l’oracolo del profeta Isaia (Is 61, 1-2). Nel vangelo di Luca l’accento è posto sul «consacrato» di Dio inviato ad annunciare ai poveri il vangelo. Esso non è semplicemente un messaggio da trasmettere a parole, ma con Gesù diventa realtà da sperimentare perché il suo vangelo è da lui predicato e praticato. Sicché il vangelo diventa esperienza di liberazione per i prigionieri, di guarigione per i ciechi, di libertà per gli oppressi, di misericordia per i peccatori. Nella stessa ottica vanno lette e accolte le «beatitudini» che sono il Vangelo della Gioia. Gesù non promette la felicità ma offre la gioia di Dio, ovvero il suo amore vivo e vivificante; non assicura l’assenza di prove e di sofferenze ma rivela la sua costante presenza. Lo sguardo di Dio non è inquisitorio ma benevolo perché non cerca la colpa ma si prende cura di chi soffre a causa del suo o dell’altrui peccato.
Nelle beatitudini la gioia è presente, perché è il dono del Vangelo di Dio offerto a tutti gli uomini, ma è anche promessa la cui realizzazione futura è legata alla volontà di chi lo mette in pratica e diventa a sua volta evangelizzatore, predicando e praticando con la vita il Vangelo.
Nella figura del perseguitato a causa del Vangelo sono rappresentate tutte le vittime dell’ingiustizia, soprattutto per il fatto di appartenere a Dio piuttosto che al mondo e perché scelgono di rimanere fedeli allo stile evangelico, che trova il suo modello in Gesù Cristo crocifisso e risorto, invece che adattarsi alle regole e consuetudini mondane. Le beatitudini disegnano il profilo di Cristo e del cristiano, uomini della gioia, portatori del Vangelo e testimoni di un mondo nuovo, che inizia a realizzarsi nel presente per essere poi pienamente compiuto nel futuro della vita eterna.
MEDITATIO
Tutti santi
Risuona oggi festoso l’annuncio del Vangelo: Siete Beati! Siete Santi! Non è un’esortazione o un imperativo ma un’affermazione che indica chi siamo agli occhi di Dio. Questo è il nome che Lui ci dà, il sigillo impresso sulla fronte che dice la nostra appartenenza a Dio come suoi figli e non come schiavi. Sì, perché Santo è il nome di Dio e santo è anche il nome di ogni figlio dell’uomo. Oggi, celebrando la festa di tutti i Santi gioiamo perché il Signore ci vuole tutti santi, tutti figli suoi, partecipi della sua vita. Non ci sono condizioni previe per ricevere da Dio il suo amore. Questo è un annuncio di speranza rivolto soprattutto a chi ha smarrito, o rischia di perdere, il senso della vita perché provato dalla sofferenza e indebolito dalle resistenze incontrate nel suo cammino. A volte il peso delle delusioni e dei fallimenti ci fa sentire soli o addirittura abbandonati, condannati e puniti. La parola di Gesù è quella del Figlio di Dio che ha provato su di sé tutte le sofferenze, ha lottato contro la tentazione e la morte vincendole con la forza dello Spirito Santo. La nostra speranza non è nel futuro ma nel presente perché il Risorto, il Santo, è sempre con noi e in mezzo a noi. Egli, spezza ancora il pane con noi, ci nutre con il suo Corpo, ci istruisce con la sua Parola e così ci consacra, ovvero ci rende santi, con il suo Spirito. Santo è chi, pur nelle afflizioni e riconoscendo la sua insufficienza, cerca il volto di Dio per incontrarlo e chiedergli aiuto. Santo è chi, soprattutto nelle tribolazioni causate dalle persecuzioni, sceglie la purezza, la mitezza e la misericordia. Santo è chi, pur rimettendoci di persona, s’impegna per la giustizia e la pace. La speranza dei santi è la consapevolezza di realizzare già nel presente la comunità dei santi che sarà pienamente compiuta nel futuro. Diventare santo significa vivere nell’oggi da risorti con Cristo sconfiggendo in noi stessi, con la forza dello Spirito, il peccato che ci contrappone e la morte che ci divide. La buona battaglia che sostengono i santi si consuma innanzitutto nella propria mente dove si contrappongono lo Spirito dell’amore e quello dell’odio. Da qui la missione del santo nella storia di seminare la cultura del rispetto contro quella del possesso. La sfida sempre attuale è quella di umanizzare il mondo contrastando la cultura del «tutto è dovuto», con la gratitudine, quella del «tutto è lecito» con il “chiedere permesso” e infine la mentalità del «tutto è giustificato» con l’umile richiesta di perdono. La santità, quella dei figli di Dio, passa dunque attraverso tre semplici parole, che sono di Dio e dell’uomo: grazie, permesso, scusa.
ORATIO
Signore Gesù, Figlio di Dio e primogenito di una nuova fraternità, offri in te stesso un modello di uomo beato. Ti fai povero e afflitto esortandoci a confidare nel Signore della vita. Nella tua debolezza riveli a noi la forza dello Spirito che, purificando il cuore, lo rende capace di mitezza e misericordia al fine di contribuire ad edificare la comunità degli uomini sul fondamento della giustizia e della pace. Aiutaci a diventare sempre più conformi alla tua immagine di figlio di Dio nel quale risplende il sigillo d’amore. Fa che cercando il volto del Padre possiamo riconoscerlo in quello di ogni fratello e sorella e, praticando la carità, possiamo riflettere sul nostro viso la beatitudine di quello di Dio tre volte santo e fonte di ogni santità.