Vocazione e destino – Sabato della XXIX settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

Vocazione e destino – Sabato della XXIX settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

22 Ottobre 2024 0 Di Pasquale Giordano

Sabato della XXIX settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

Ef 4,7-16  Sal 121

Dio onnipotente ed eterno,

donaci di orientare sempre a te la nostra volontà

e di servirti con cuore sincero.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,

e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.


Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni Ef 4,7-16

Cristo è il capo: da lui tutto il corpo cresce.

Fratelli, a ciascuno di noi, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo. Per questo è detto:

«Asceso in alto, ha portato con sé prigionieri,

ha distribuito doni agli uomini».

Ma cosa significa che ascese, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra? Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per essere pienezza di tutte le cose.

Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo.

Così non saremo più fanciulli in balìa delle onde, trasportati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, ingannati dagli uomini con quella astuzia che trascina all’errore. Al contrario, agendo secondo verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa tendendo a lui, che è il capo, Cristo. Da lui tutto il corpo, ben compaginato e connesso, con la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, cresce in modo da edificare se stesso nella carità.

La Chiesa, corpo di Cristo

Facendo seguito ai primi tre capitoli dal carattere dottrinale, il quarto apre la sezione più marcatamente esortativa. Il centro del discorso paolino è individuabile nel messaggio che l’unità con Dio e tra i fratelli diventa realtà per mezzo della carità donata dal Signore e che i fratelli si offrono scambievolmente. Paolo, preoccupato di far riscoprire le motivazioni profonde delle scelte e dell’agire cristiano, esorta gli Efesini ad assumere una condotta di vita conforme alla vocazione ricevuta da Dio (4,1). L’apostolo, nell’inno che apre la lettera, benedice Dio Padre perché per mezzo del Figlio Gesù Cristo compie la sua volontà stabilita ancor prima della creazione del mondo (1, 3s.). La vocazione di ogni uomo è iscritta nel «mistero», cioè nel progetto salvifico, secondo il quale ogni realtà creata, immaginata come membra di un unico corpo, trova in Cristo il suo capo, ovvero il suo principio di unità (1,10). Introducendo l’immagine bipolare del «Cristo-capo» e della «Chiesa-corpo», Paolo sottolinea che la vocazione primaria dell’uomo è quella di lasciarsi conformare al Figlio attraverso l’opera dello Spirito Santo che, agendo nella Chiesa e attraverso la Chiesa, guida il cristiano verso la piena maturazione umana in Gesù Cristo (4,13). La Chiesa stessa, ekklesia, è chiamata «corpo di Cristo» perché nel suo DNA c’è la vocazione[1] ad essere un organismo vivente che riconosce la signoria di Cristo esercitata nella sua azione unificante e vivificante. Grazie a questo rapporto si realizza la sublime vocazione di crescere per raggiungere la piena maturazione spirituale, di cui Cristo è il modello e la fonte (4, 15-16), sì da vivere la sua stessa figliolanza nella comunione con il Padre (1,5).

Paolo è coscente che il credente rischia di (dis)perdersi tra le varie realtà della vita che si impongono come assoluti e pretendono di tramutare il loro valore strumentale per assumere quello di fine (2,1s). Nella vita di ciascuno non possono esserci più centri, ma uno solo capace di dare unità e senso alla persona e alle sue scelte. Da qui la denuncia del pericolo di essere come fanciulli sballottati e disorientati da quei «venti» che conducono l’uomo di volta in volta verso orizzonti stabiliti da terzi per fini squisitamente utilitaristici; in altri termini, il pericolo che si corre è quello di avere l’illusione di essere liberi e felici, ma in realtà si è manovrati e condotti da forze, interne ed esterne, che ci conducono lontano dalla realizzazione della vocazione ricevuta da Dio. Il risultato è un disorientamento interiore e un frazionamento della comunità dovuto ad interessi particolari che entrano in conflitto (4,14). Sicché la vocazione primaria del cristiano è quella di «conservare l’unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace» (4,3) attraverso «l’umiltà, la mansuetudine, la pazienza» (4, 2), cioè mediante quello stile di vita dal quale traspare la professione di fede in Gesù unico Signore, nel Padre come unica fonte di ogni vita, e nello Spirito santo artefice della comunione con Dio e i fratelli (4,4-6).

Se dunque nel progetto di Dio ogni creatura è chiamata a vivere l’unità, sperimentando la figliolanza divina partecipata da Gesù Cristo e attualizzata dallo Spirito Santo, essa si esplica nella vita della comunità ecclesiale. L’unità nella chiesa non deve essere ridotta né ad una uniformità ideologica, né a centralismo burocratico e disciplinare. L’unità non è una camicia di forza in cui sono costretti i credenti, ma è la realizzazione della chiamata di ciascuno nella misura in cui ogni fedele, destinatario di un dono salvifico, di una particolare «grazia» comunicata da Dio nella Chiesa e per mezzo di Essa, la “investe” per la crescita di tutto il corpo ecclesiale. La grazia di cui parla Paolo sono i «ministeri» che il Risorto offre perché il suo corpo cresca armonicamente fino a raggiungere la piena maturità, cioè a realizzare in pienezza la comunione in Dio. Tutto il popolo di Dio è soggetto attivo nella edificazione del «corpo di Cristo» in cui si realizza la vocazione di ciascuno; tuttavia è anche vero che ci sono dei ministeri specifici, dei doni di grazia, che rendono possibile «l’equipaggiamento» dei fedeli perché la loro specifica diaconia edifichi la comunità ecclesiale (4,12).

La crescita piena e armonica della Chiesa, intessuta di rapporti tra persone che hanno come unico punto di riferimento il Cristo, si attua quando prende corpo in Essa la testimonianza della «verità nella carità» (4,15). Non si tratta di propugnare verità astratte, ma di annunciare il vangelo, cioè la propria esperienza salvifica di Dio, accolto e attuato in uno stile di Chiesa contrassegnato dall’amore fraterno. La carità rende specifica la prassi cristiana, dà contenuto e forma ad ogni ministero nella Chiesa. Il credente pratica la sua fede e testimonia la verità guardando all’unico modello della sua vita, Cristo-capo e sposo che ama la sua Chiesa-corpo e sposa dando se stesso per Lei al fine di renderla «santa e immacolata» (1,4;5,27).

+ Dal Vangelo secondo Luca Lc 13,1-9

Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.

In quel tempo, si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».

Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

Vocazione e destino

Le notizie tragiche suscitano l’interrogativo sul perché di quella morte. Gesù ci invita invece a domandarci del perché della vita al fine di orientare la nostra curiosità non sulle cause del male per risalire al colpevole ma per ricercare le tracce della nostra vocazione per scoprire il destino al quale siamo chiamati. Tutti gli uomini sono come l’albero di fichi della parabola, cioè peccatori perché sterili e incapaci di portare frutto. Eppure, come il seme dell’albero è piantato nella terra perché crescendo possa portare frutti, così la nostra umanità è fecondata dalla grazia di Dio affinché lo Spirito Santo agendo in noi possa farci fruttificare in amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza e dominio di sé (Galati 5, 22). Il Battesimo è il germe della vita nuova che chiede di essere coltivato perché maturi in modo da poter essere pietre vive dell’edificio sacro di Dio, che è la Chiesa. Convertirsi significa scoprire ogni giorno la propria vocazione e costruire poco alla volta il nostro destino. La conversione è un processo di discernimento continuo attraverso il quale rendersi disponibili all’azione creatrice ed educativa dello Spirito Santo. È Lui la cura paziente di Dio mediante il quale la nostra speranza si compie anche se il cammino terreno volge al termine in maniera repentina, inaspettata o casuale. La vita non è mai banale né inutile se ci lasciamo accompagnare dalla Parola di Dio che, come lampada nella notte, guida i nostri passi anche se il cuore è avvolto dalle tenebre della paura. Gli insuccessi non devono scoraggiarci al punto da rinchiuderci in noi stessi, ma andiamo avanti nel lavoro faticoso della conversione certi che dove abbonda il nostro peccato sovrabbonda la misericordia di Dio e se sette volte cadiamo settanta volte sette Il Signore ci rialza col suo perdono.

Signore Gesù, custode attento e paziente dei tuoi fratelli, intercedi per noi presso il Padre per ricordagli il giuramento nuziale per il quale amarci di amore eterno. Donami il tuo Spirito di Sapienza per imparare anche dalle vicende dolorose della vita che il suo senso risiede nel dono che di essa offriamo ai fratelli. Insegnami l’arte del discernimento per scoprire ogni giorno tra gli eventi, spesso imprevisti e imprevedibili, il dispiegarsi del tuo progetto d’amore e la vocazione a cui mi chiami. Aiutami a non distrarmi nel mio cammino ma a mantenere fisso il mio sguardo su di Te per riconoscere con umiltà i miei peccati e per lasciarmi sanare dal sangue che hai sparso per effondere su tutti lo Spirito Santo che consacra e santifica.


[1] il termine greco ekklesia viene dal verbo kaleo che significa chiamare.