La preghiera è l’anima in cammino verso Dio – Mercoledì della XXVII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

La preghiera è l’anima in cammino verso Dio – Mercoledì della XXVII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

8 Ottobre 2024 0 Di Pasquale Giordano

Mercoledì della XXVII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

Gal 2,1-2.7-14   Sal 116

Dio onnipotente ed eterno,

che esaudisci le preghiere del tuo popolo

oltre ogni desiderio e ogni merito,

effondi su di noi la tua misericordia:

perdona ciò che la coscienza teme

e aggiungi ciò che la preghiera non osa sperare.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,

e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.


Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati Gal 2,1-2.7-14

Riconobbero la grazia a me data.

Fratelli, quattordici anni dopo [la mia prima visita], andai di nuovo a Gerusalemme in compagnia di Bàrnaba, portando con me anche Tito: vi andai però in seguito a una rivelazione. Esposi loro il Vangelo che io annuncio tra le genti, ma lo esposi privatamente alle persone più autorevoli, per non correre o aver corso invano.

Visto che a me era stato affidato il Vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi – poiché colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi aveva agito anche in me per le genti –, e riconoscendo la grazia a me data, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Bàrnaba la destra in segno di comunione, perché noi andassimo tra le genti e loro tra i circoncisi. Ci pregarono soltanto di ricordarci dei poveri, ed è quello che mi sono preoccupato di fare.

Ma quando Cefa venne ad Antiòchia, mi opposi a lui a viso aperto perché aveva torto. Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di Giacomo, egli prendeva cibo insieme ai pagani; ma, dopo la loro venuta, cominciò a evitarli e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi. E anche gli altri Giudei lo imitarono nella simulazione, tanto che pure Bàrnaba si lasciò attirare nella loro ipocrisia.

Ma quando vidi che non si comportavano rettamente secondo la verità del Vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: «Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei Giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei?».

La parresìa dell’apostolo

Nella seconda parte della sua apologia personale, Paolo si sofferma sul cosiddetto “concilio di Gerusalemme” in cui il suo vangelo venne approvato dagli apostoli che erano prima di lui (2, 1-10). Accennando all’ “incidente di Antiochia” nel quale l’apostolo si scontrò con Pietro, Paolo vuole sottolineare la sua linearità di comportamento contro l’ipocrisia dell’atteggiamento dei Giudei nei confronti dei pagani (2, 11-14). Nell’incontro avvenuto a Gerusalemme tra gli apostoli e la delegazione della Chiesa di Antiochia capeggiata da Paolo, avviene uno scontro con i «falsi fratelli». Essi sono definiti infiltrati con il compito di spiare. Sono quelli che accusano Paolo di essere un sovvertitore del vangelo. Nel giudizio di Paolo riecheggia i falsi fratelli sono come i mercenari di cui parla Gesù in Gv 10 e i «falsi pastori» descritti dai profeti (Ez 34). Essi sono una contro-testimonianza del vangelo perché tentano di esercitare un potere sulle persone che invece di renderle libere le condanna alla dipendenza da loro e dall’egoismo presente in ciascuno.

Paolo ricorda l’evento del Concilio di Gerusalemme per smontare l’accusa mossagli dai «falsi fratelli» di non essere in comunione con gli altri apostoli della prima ora, considerati gli unici garanti della verità del Vangelo. L’apostolo invece dimostra che gli apostoli stessi hanno riconosciuto l’autenticità della vocazione di Paolo e della missione a lui affidata per i pagani.

Paolo va a Gerusalemme spinto dalla rivelazione di Dio perché l’apostolo tutto fa sotto la Sua guida illuminante. Non considera gli altri apostoli come una comunità giudicante ma come i fratelli con i quali condividere il vangelo. Come per i discepoli di Emmaus che ritornano a Gerusalemme ad annunciare la loro esperienza d’incontro con Gesù vivo, così Paolo va dagli apostoli per condividere il tesoro del vangelo. Si evangelizzano a vicenda mediante la conversazione spirituale. Da lì nasce il discernimento operativo per dirimere la crisi innescata dai «falsi fratelli». La comunità di Gerusalemme ha il compito di garantire l’unità e la comunione. Essa è fondata sulla Carità di Dio ed espressa attraverso la carità fraterna.

Paolo non narra semplicemente la sua attività missionaria, ma quello che Dio sta compiendo attraverso la sua missione. L’opposizione ai «falsi fratelli» si pone sul piano del rifiuto del «culto della personalità», sulla quale essi facevano leva per contrapporre Paolo agli apostoli e metterlo nell’angolo.

In 2, 11-14 Paolo riprende l’episodio increscioso di Antiochia e lo legge alla luce della crisi in Galazia. Si tratta di un rimprovero che accomuna Pietro e i Galati che sono tentati di seguire i giudaizzanti. Pietro e i giudaizzanti cercano di «costringere» alla circoncisione i credenti provenienti dal paganesimo.

Il nocciolo della questione sia a Gerusalemme che ad Antiochia è la comunione e la pacifica convivenza nella stessa comunità tra circoncisi e incirconcisi.

Lo scenario è la mensa che è simbolo della convivialità e della comunione. Nel comportamento di Pietro c’è un prima e un dopo. Il momento discriminante è dato dalla presenza dei giudaizzanti. Il voltafaccia di Pietro è definito come «ipocrisia» che trae in inganno e nell’errore anche gli altri. Questa incoerenza pratica è tradimento del Vangelo, quindi un peccato. Pietro, stando al racconto di At 10, avrebbe dovuto imparare la “lezione” dall’esperienza con Cornelio: Dio non fa preferenze di persone, nessuno può essere chiamato impuro, tutti sono chiamati alla salvezza. Pietro denuncia il peccato di Pietro e lo fa guardandolo negli occhi. Il peccato di Pietro è anche quello dei giudaizzanti, nel quale stanno per cadere anche i Galati: rinnegare il vangelo in nome della Legge che prescrive la netta separazione tra i «giusti» Giudei e i pagani «peccatori». Non sappiamo cosa abbia risposto Pietro, ma Paolo si aspetta dai Galati che non facciano lo stesso errore.

+ Dal Vangelo secondo Luca Lc 11,1-4

Signore, insegnaci a pregare.

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli».

Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:

Padre,

sia santificato il tuo nome,

venga il tuo regno;

dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,

e perdona a noi i nostri peccati,

anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore,

e non abbandonarci alla tentazione».

La preghiera è l’anima in cammino verso Dio

La preghiera è la soglia di accesso al cuore di Dio ma è anche il ponte attraverso il quale Lo Spirito Santo ci raggiunge e, abitando in noi, rende il nostro corpo suo Tempio. Pregare con le parole di Gesù significa entrare nella stessa relazione d’amore che lo lega al Padre come Figlio. Mediante quelle parole lo Spirito parla in noi come uno strumento musicale a fiato che emette il suono quando è attraversato dal soffio della bocca. Gesù non insegna una preghiera ma ci unisce alla sua perché divenga vera liturgia, azione di Cristo e della Chiesa insieme. Con Lui apprendiamo l’arte della comunicazione nella quale il soliloquio egocentrico lascia spazio al dialogo, il tu non è il destinatario del giudizio, ma del riconoscimento e in cui il soggetto non è l’io dell’individuo ma il noi della comunità. Imparare a pregare con Gesù significa imparare a vivere con gioia perché la preghiera dà alla nostra vita la forma del dono per gli altri. Chiamare Dio col nome di Padre significa rinunciare a ogni stratagemma per ingraziarsi il Signore perché si è animati dalla fede che Lui ci ama per primo.

Dire Padre significa riconoscere di essere amati dall’origine, anzi che la preghiera è risposta al suo amore originario e originante. Se non ci avesse amati da padre non potremmo pregarlo da figli. La prima parola è un’invocazione come quella di un bambino che chiama il proprio genitore per chiedere aiuto, per attirare l’attenzione, per trovare un punto d’appoggio sicuro. Invocare il nome di Dio è cosa diversa di evocarne la presenza come fosse uno strumento da possedere. La preghiera è l’anima in cammino, è una forma di esodo da sé verso il tu di Dio in cui trovare ascolto, accoglienza, comprensione, benevolenza e tenerezza, tutte cose che il nostro cuore desidera. Pregando si lancia un ponte verso Dio e si apre la strada attraverso la quale si compie un cammino di graduale adesione di fede alla sua volontà. Nella preghiera apriamo il cuore per accogliere con fiducia e gratitudine il dono dello Spirito Santo grazie al quale possiamo avere la forza di amare come siamo amati da Dio. Coscienti di non poterci salvare con le nostre forze supplichiamo il Signore di non cedere alle tentazioni del maligno. La preghiera edifica la famiglia che non mette semplicemente insieme i singoli individui ma persone che pregando insieme imparano ad amarsi e a rispettarsi reciprocamente.

Signore Gesù, Tu che ti immergi nella preghiera come un bambino si affida alle braccia sicure della propria madre, alimenta in me i sentimenti filiali nei confronti di Dio e insegnami a pregare avendo il cuore rivolto verso di Lui. Aiutami a conformare la mia volontà a quella di Dio, a rendere visibile la luce della sua santità mediante la benedizione del Vangelo offerto ai miei fratelli per edificare insieme il tuo Regno di giustizia e pace. Uniscimi alla tua preghiera perché dall’altare della chiesa, della mensa familiare, del letto del dolore, di ogni zolla di terra, della scrivania di un ufficio, del macchinario con il quale lavora l’operaio, insieme alla tua salga l’offerta del sacrificio col quale eleviamo al Padre le gioie e le fatiche di ogni giorno. Scenda la tua benedizione, Signore, e diventi nutrimento per l’anima, perdono che riconcilia i fratelli, giustizia che riscatta da ogni forma di schiavitù.