La competizione tra fratelli impedisce l’imitazione di Cristo – Lunedì della XXVI settimana del Tempo Ordinario (Anno pari) – San Girolamo

La competizione tra fratelli impedisce l’imitazione di Cristo – Lunedì della XXVI settimana del Tempo Ordinario (Anno pari) – San Girolamo

28 Settembre 2024 0 Di Pasquale Giordano

Lunedì della XXVI settimana del Tempo Ordinario (Anno pari) – San Girolamo

Gb 1,6-22   Sal 16  

O Dio, che hai dato al santo presbitero Girolamo

un amore soave e vivo per la Sacra Scrittura,

fa’ che il tuo popolo si nutra sempre più largamente

della tua parola e trovi in essa la fonte della vita.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,

e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.


Dal libro di Giobbe Gb 1,6-22

Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!

Un giorno, i figli di Dio andarono a presentarsi al Signore e anche Satana andò in mezzo a loro. Il Signore chiese a Satana: «Da dove vieni?». Satana rispose al Signore: «Dalla terra, che ho percorso in lungo e in largo». Il Signore disse a Satana: «Hai posto attenzione al mio servo Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra: uomo integro e retto, timorato di Dio e lontano dal male». Satana rispose al Signore: «Forse che Giobbe teme Dio per nulla? Non sei forse tu che hai messo una siepe intorno a lui e alla sua casa e a tutto quello che è suo? Tu hai benedetto il lavoro delle sue mani e i suoi possedimenti si espandono sulla terra. Ma stendi un poco la mano e tocca quanto ha, e vedrai come ti maledirà apertamente!». Il Signore disse a Satana: «Ecco, quanto possiede è in tuo potere, ma non stendere la mano su di lui». Satana si ritirò dalla presenza del Signore.

Un giorno accadde che, mentre i suoi figli e le sue figlie stavano mangiando e bevendo vino in casa del fratello maggiore, un messaggero venne da Giobbe e gli disse: «I buoi stavano arando e le asine pascolando vicino ad essi. I Sabèi hanno fatto irruzione, li hanno portati via e hanno passato a fil di spada i guardiani. Sono scampato soltanto io per raccontartelo».

Mentre egli ancora parlava, entrò un altro e disse: «Un fuoco divino è caduto dal cielo: si è appiccato alle pecore e ai guardiani e li ha divorati. Sono scampato soltanto io per raccontartelo».

Mentre egli ancora parlava, entrò un altro e disse: «I Caldèi hanno formato tre bande: sono piombati sopra i cammelli e li hanno portati via e hanno passato a fil di spada i guardiani. Sono scampato soltanto io per raccontartelo».

Mentre egli ancora parlava, entrò un altro e disse: «I tuoi figli e le tue figlie stavano mangiando e bevendo vino in casa del loro fratello maggiore, quand’ecco un vento impetuoso si è scatenato da oltre il deserto: ha investito i quattro lati della casa, che è rovinata sui giovani e sono morti. Sono scampato soltanto io per raccontartelo».

Allora Giobbe si alzò e si stracciò il mantello; si rase il capo, cadde a terra, si prostrò e disse:

«Nudo uscii dal grembo di mia madre,

e nudo vi ritornerò.

Il Signore ha dato, il Signore ha tolto,

sia benedetto il nome del Signore!».

In tutto questo Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nulla di ingiusto.

La prova del giusto

Il libro di Giobbe si collega inizialmente ad una parabola popolare diffusa in tutto l’oriente. Essa aveva come protagonista non un ebreo ma «un uomo dell’oriente», Giobbe, la cui vita felice era all’improvviso attraversata dalla tragedia. Questa novella costituisce il primo livello dell’opera ed è raccolta in Gb 1-2 e 42,7-17. Il tema del racconto originario rappresenta una specie di spiritualità della prova: la sofferenza del giusto è temporanea; cessata la tempesta ritorna a risplendere il sole della felicità. Tuttavia, in questa scena d’apertura si distinguono due piani: quello celeste e quello terrestre appunto da una parte la prova e decisa nel consiglio della corona divino, e dall’altra le disgrazie che piombano su Giobbe. Il «satana» funge da pubblico ministero della corte celeste. Egli è l’enunciatore del tema: il dolore, luogo privilegiato per verificare la purezza della fede, per vagliarne la qualità di gratuità, di libertà e di amore, non incrinata da interessi economici. Al tumulto delle sciagure, che fanno sparire figli, beni, gioia e che riducono Giobbe sul cumulo dei rifiuti, succede il silenzio attonito per sette giorni e sette notti. Il silenzio, che narra l’incapacità di spiegare il mistero del dolore, è squarciato dal grido di Giobbe, portavoce di tutti i sofferenti.

+ Dal Vangelo secondo Luca Lc 9,46-50

Chi è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande.

In quel tempo, nacque una discussione tra i discepoli, chi di loro fosse più grande.

Allora Gesù, conoscendo il pensiero del loro cuore, prese un bambino, se lo mise vicino e disse loro: «Chi accoglierà questo bambino nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato. Chi infatti è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande».

Giovanni prese la parola dicendo: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito, perché non ti segue insieme con noi». Ma Gesù gli rispose: «Non lo impedite, perché chi non è contro di voi, è per voi».

La competizione tra fratelli impedisce l’imitazione di Cristo

Prima o poi, quando si porta una cosa nel cuore, la si fa uscire in un discorso. Così accade per i discepoli, tra i quali nasce una discussione che non è difficile immaginare abbastanza accesa perché riguarda il primato. Non ha vita lunga una comunità i cui membri sono in continua competizione per occupare il posto del più grande. L’ambizione conduce all’isolamento perché, nel detenere il potere «del primo», non possono esserci condivisioni. Gesù conosce bene la piega che prende il cuore incline all’egoismo e compie il gesto di prendere un bambino e porlo accanto a sé. È un gesto potente perché ci invita a riconoscerci in quel bambino che sta vicino al Signore, non per i suoi meriti ma per grazia. Così ci ricordiamo che la chiamata alla santità è universale ed è un dono offerto e un invito rivolto prima di tutto ai piccoli, cioè ai poveri e ai sofferenti che sanno di non bastare a sé stessi e di non essere autosufficienti, come lo è un bambino. Dio ci chiama accanto a sé, a condividere con Lui la sua vita, non perché siamo meritevoli di lode ma perché abbiamo bisogno di aiuto e di amore. In questa scelta preferenziale per i poveri Dio si fa piccolo, anzi il più piccolo. Il Padre invia suo Figlio perché i poveri non siano abbandonati a loro stessi e non siano tentati dallo scoraggiamento o dal pensiero di essere puniti, ma sappiano che Egli li ama di un amore di predilezione ed è per loro sostegno sicuro. Dio sceglie quelli che tutti scartano, accoglie quelli che normalmente vengono emarginati, dà ascolto a coloro che di solito nessuno considera. Il discepolo di Cristo diventa grande come il suo Maestro, e non il «più grande» estromettendolo dalla propria vita, quando, come Lui, rifugge i luoghi affollati dove si compete per un istante di gloria e di piacere effimero preferendo quelli abitati dalla solitudine e dalla sofferenza in cui gustare la vera gioia della solidarietà. Il cristiano sceglie gli amici non solo tra quelli con i quali condivide qualcosa o dai quali può trarre un vantaggio, ma soprattutto guardando con compassione la povertà e riconoscendo la vera umanità. Chi scende tra i vicoli spesso oscuri dell’umanità ferita e li attraversa riconosce in tanti volti conosciuti quello di Cristo. Quando sceglie di amare e servire gli amici di Dio scopre che lui stesso è un povero e, in quanto tale, amico amato e servito da Gesù.

Signore Gesù, Tu conosci il mio cuore, affollato di pensieri suggeriti dallo spirito del male che alimenta l’avidità e istiga all’orgoglio. Purificalo con la potenza della tua parola perché dal cuore possano nascere propositi di bene che trovano concreta realizzazione nella comunione fraterna e nel servizio offerto ai più deboli. Donami l’umiltà necessaria per rendermi amabile e la gioia perché la mia vita sia una testimonianza coinvolgente che susciti nei fratelli il desiderio d’incontrarti, di seguirti e d’imitarti.