Imparare a vivere dai propri errori – Venerdì XXIII settimana del Tempo Ordinario (anno pari) – San Giovanni Crisostomo

Imparare a vivere dai propri errori – Venerdì XXIII settimana del Tempo Ordinario (anno pari) – San Giovanni Crisostomo

12 Settembre 2024 0 Di Pasquale Giordano

Venerdì XXIII settimana del Tempo Ordinario (anno pari) – San Giovanni Crisostomo

1Cor 9,16-19.22-27   Sal 83  

O Dio, forza di chi spera in te,

che hai fatto risplendere il santo vescovo Giovanni Crisostomo

per la mirabile eloquenza e la perseveranza nella tribolazione,

fa’ che, illuminati dai suoi insegnamenti,

siamo rafforzati dal suo esempio di eroica costanza.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,

e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.


Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi 1Cor 9,16-19.22-27

Mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno.

Fratelli, annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo! Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato. Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitomi dal Vangelo.

Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io.

Non sapete che, nelle corse allo stadio, tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Però ogni atleta è disciplinato in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona che appassisce, noi invece una che dura per sempre.

Io dunque corro, ma non come chi è senza mèta; faccio pugilato, ma non come chi batte l’aria; anzi tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non succeda che, dopo avere predicato agli altri, io stesso venga squalificato.

Il servizio della predicazione del vangelo

Scrivendo ai Corinti, Paolo richiama ai cristiani il dovere di assistere gli apostoli: “Coloro che annunziano il vangelo devono vivere del vangelo” (1 Cor 9,14), come anche Gesù ha insegnato: “L’operaio ha diritto al suo nutrimento” (Mt 10,10).

A causa della debolezza umana possono subentrare abusi. Qualcuno può servirsi di questo diritto per arricchire, acquisire privilegi, condurre una vita agiata. Esiste anche pericolo che i responsabili delle comunità si comportino da “funzionari del sacro” e svolgano il loro ministero non con la passione, la generosità e il disinteresse di chi è davvero innamorato del vangelo, ma come impiegati che lavorano in vista dello stipendio. Quando si registrano simili comportamenti, anche i predicatori più eloquenti e preparati, perdono di credibilità; per questo Gesù raccomanda, anzi, ingiunge ai discepoli: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8).

Per ovviare a questi rischi, Paolo afferma che, in certe situazioni, è meglio rinunciare al diritto di essere mantenuti dalla comunità. Tale decisione deve essere presa quando possono insorgere sospetti che la predicazione della parola di Dio sia dettata da secondi fini. È ciò che egli e Barnaba hanno fatto: sono vissuti lavorando con le loro mani, hanno continuato a svolgere la loro professione, senza mai essere di peso ad alcuno.

Coloro che, come Paolo, sono disposti a servire, in modo completamente gratuito, la loro comunità, quale ricompensa si devono aspettare? Null’altro che la gioia che nasce dalla coscienza di aver dedicato la propria vita ai fratelli, in pura perdita, senza sperare di ricevere qualcosa in cambio (v. 18).

Paolo non ha predicato il vangelo per ricavarne un guadagno, ma per assecondare un incontenibile impulso interiore. Convinto della grandezza e della sublimità del dono ricevuto, non poteva trattenerlo per sé, sentiva il bisogno di comunicarlo a tutti.

+ Dal Vangelo secondo Luca Lc 6,39-42

Può forse un cieco guidare un altro cieco?

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola:

«Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro.

Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello».

Imparare a vivere dai propri errori

La presunzione è una grave forma di cecità della mente e del cuore di cui è affetto chi crede di saperne di più degli altri, persino dei maestri. Perciò opportunamente Gesù ci ricorda che non si diventa maestri perché lo si vuole ma solamente se si rimane discepoli, ovvero consapevoli di dover sempre imparare, prima ancora che insegnare. Ben inteso, il desiderio d’insegnare è una cosa buona ed è generato dalla vocazione di ciascuno alla maternità e alla paternità perché la genitorialità si esprime nell’essere maestri di vita. Per ben prepararsi a vivere a pieno la propria vocazione è necessario curare e sviluppare ogni dimensione del discepolato, la prima delle quali è la conoscenza di sé e la volontà di correggersi e migliorarsi. Il Maestro insegna innanzitutto a guardarsi dentro e, cogliendo i propri punti deboli, si fa compagno per aiutare il discepolo a lavorare su sé stesso e a maturare da ogni punto di vista, umano in maniera particolare. Non si può essere maestri della fede se non si seguono tutte le tappe del discepolato dell’umanità per imparare la disciplina della carità fraterna. In definitiva, si tratta di crescere nelle virtù umane in modo tale da intessere relazioni attraverso le quali possa fluire la sapienza e la grazia di Dio. Il maestro vero non è quello che accredita sé stesso vantando titoli o competenze ma è colui che, rimanendo umile discepolo dell’unico Maestro, si pone a servizio gratuito e disinteressato dei suoi fratelli, condividendo con loro la propria esperienza di come si possa imparare dai propri errori e di come trasformare i limiti in risorse, le crisi in opportunità. Non bisogna nascondere le proprie fragilità distraendo la propria attenzione dal prendersene cura e nascondendole dietro l’attivismo filantropico verso gli altri. Il medico migliore è quello che cura le patologie degli altri nella misura in cui sa curare le proprie.

Signore Gesù, maestro di vita e guida nel cammino della fede, aiutami ad esaminare la mia coscienza e donami il coraggio di iniziare a cambiare ciò che non va in me piuttosto che censurare i difetti altrui. Lo Spirito del consiglio mi conceda d’imparare dai miei errori, cosa significhi aver bisogno di misericordia e il valore dell’offrirla in dono ai fratelli. Fa che non mi senta mai sazio di Te e della tua Parola, ma ispira nel mio cuore la sana umiltà di non sentirmi arrivato o migliore degli altri. La mia fede non sia ostentata ma alimenti scelte di carità che testimoniano nel silenzio della vita quotidiana la mia docile sequela alla tua volontà.