Amare la libertà significa farsi liberare per amare – Lunedì della XXIII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

Amare la libertà significa farsi liberare per amare – Lunedì della XXIII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

8 Settembre 2024 0 Di Pasquale Giordano

Lunedì della XXIII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

1Cor 5,1-8   Sal 5  

O Padre, che ci hai liberati dal peccato

e ci hai donato la dignità di figli adottivi,

guarda con benevolenza la tua famiglia,

perché a tutti i credenti in Cristo

sia data la vera libertà e l’eredità eterna.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,

e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.


Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi 1Cor 5,1-8

Togliete via il lievito vecchio. Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato!

Fratelli, si sente dovunque parlare di immoralità tra voi, e di una immoralità tale che non si riscontra neanche tra i pagani, al punto che uno convive con la moglie di suo padre. E voi vi gonfiate di orgoglio, piuttosto che esserne afflitti in modo che venga escluso di mezzo a voi colui che ha compiuto un’azione simile!

Ebbene, io, assente con il corpo ma presente con lo spirito, ho già giudicato, come se fossi presente, colui che ha compiuto tale azione. Nel nome del Signore nostro Gesù, essendo radunati voi e il mio spirito insieme alla potenza del Signore nostro Gesù, questo individuo venga consegnato a Satana a rovina della carne, affinché lo spirito possa essere salvato nel giorno del Signore.

Non è bello che voi vi vantiate. Non sapete che un po’ di lievito fa fermentare tutta la pasta? Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete àzzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con àzzimi di sincerità e di verità.

Il cristiano celebra sempre la Pasqua di Cristo nel rito e nella vita

Il riferimento liturgico alla Pasqua suggerisce anche il periodo nel quale Paolo scrive ai Corinti. L’apostolo ricorda che la celebrazione della Pasqua, annuale e settimanale, non è un semplice riunirsi insieme ma è sempre esperienza di comunione anche con chi è assente fisicamente. Gesù non fisicamente visibile ma è il centro vitale della comunità che è chiamata a rinnovare il suo legame di appartenenza a lui custodendo e mettendo in pratica la sua parola. Oltre al racconto della Pasqua i predicatori ricordano anche i fatti e le parole di Gesù quando camminava sulle strade della Palestina annunciando il vangelo. Gli operai del vangelo non raccontavano solo i fatti di Gesù ma aiutavano le comunità a calarlo nella vita. Paolo è uno di quei predicatori della Parola che, pur essendo assente perché impegnato in altre missioni, manteneva i contatti con le comunità, soprattutto con quelle da lui fondate. Paolo è il garante della comunione con e tra tutte le chiese perché uno è il vangelo che predica e unica anche la linea morale che è comune a tutte le comunità. La comunione rende viva la presenza ed evita il pericolo di trasformare l’assenza in separazione. Perché questo possa accadere è necessario custodire l’insegnamento dell’apostolo che funge da regola morale e da riferimento per l’esame di coscienza riconoscendo il peccato. Paolo stigmatizza l’atteggiamento di alcuni dei Corinti che lo trattano con sufficienza mostrandosi orgogliosi e presuntuosi. Essi fanno il gioco di Satana che è orgoglioso e presuntuoso per eccellenza perché rifiuta la comunione con Dio e con gli uomini. Riafferma la sua autorità e detta la linea di condotta nei confronti degli ostinati. Secondo la pedagogia di Dio c’è un tempo nel quale Dio invia i profeti ad avvertire del pericolo e delle conseguenze del peccato perché si converta chi lo commette. Ma se questi persevera arriva il momento nel quale la parola di Dio, che non è una minaccia, si avvera cadendo totalmente nelle mani del nemico. Questa è la storia d’Israele che ha subito l’esilio e la deportazione non perché è stato punito da Dio ma per l’ostinazione al peccato simboleggiato dal lievito. Ma come Dio ha riscattato Israele dalla schiavitù, così la Pasqua di Cristo ha vinto il potere del demonio che non è eterno. Per cui la consegna a Satana altro non è che l’accettazione che si compia il mistero del male nella certezza l’ultima parola è quella della vita perché Cristo ha vinto la morte. Chi è stato battezzato è salvato ma la sua libertà può portarlo a ricadere nella schiavitù. Solo Dio può salvarlo se l’uomo accoglie il perdono e si converte. Celebrare la Pasqua significa accogliere la parola di Gesù affinché la santità, ovvero la figliolanza di Dio, non si perda corrompendosi il rapporto con Lui, ma maturi fino alla sua pienezza nel cielo.

+ Dal Vangelo secondo Luca Lc 6,6-11

Osservavano per vedere se guariva in giorno di sabato.

Un sabato Gesù entrò nella sinagoga e si mise a insegnare. C’era là un uomo che aveva la mano destra paralizzata. Gli scribi e i farisei lo osservavano per vedere se lo guariva in giorno di sabato, per trovare di che accusarlo.

Ma Gesù conosceva i loro pensieri e disse all’uomo che aveva la mano paralizzata: «Àlzati e mettiti qui in mezzo!». Si alzò e si mise in mezzo.

Poi Gesù disse loro: «Domando a voi: in giorno di sabato, è lecito fare del bene o fare del male, salvare una vita o sopprimerla?». E guardandoli tutti intorno, disse all’uomo: «Tendi la tua mano!». Egli lo fece e la sua mano fu guarita.

Ma essi, fuori di sé dalla collera, si misero a discutere tra loro su quello che avrebbero potuto fare a Gesù.

Amare la libertà significa farsi liberare per amare

A volte dietro la scusa di non poter fare il bene nascondiamo il fatto di non volersi impegnare per gli altri. È paradossale che il sabato da giorno di libertà dalla schiavitù del male diventa quello in cui, nei fatti, si pretende di emanciparsi da Dio svincolandosi dalla responsabilità nei confronti dei fratelli. La festa ha un valore terapeutico perché permette di mettere al centro non il valore della produzione, a cui l’uomo spesso è assoggettato, ma la persona stessa, anche se limitata dal suo peccato. Gesù ci insegna a non valutare le persone fermandoci a ciò di cui sono capaci e a quanto possono produrre ma a riconoscere in ciascuno l’immagine di Dio e, dunque, nei fratelli il riflesso di sé stessi. Gesù da una parte svela i pensieri cattivi degli scribi e dei farisei e dall’altra fa uscire dall’anonimato l’uomo dalla mano destra paralizzata per renderlo protagonista dell’opera della salvezza che Lui è venuto ad attuare. Tutti sapevano che quell’uomo aveva un problema, ma nessuno si è preso cura di lui perché la sua identità non si sovrapponesse alla menomazione di cui era affetto. Vittima dell’indifferenza l’uomo nella sinagoga era invisibile agli occhi degli uomini ma non a quelli di Gesù, che invece lo chiama al centro dell’assemblea e gli chiede di mostrare la parte malata del suo corpo. Così La Parola di Dio ci educa a non nascondere la parte malata di noi perché alla fine questo «segreto di pulcinella» non porta che a isolarci. Al contrario, Dio ci chiama ad andare verso il centro della vita che è il suo cuore e, ascoltando e mettendo in pratica la sua parola, a essere protagonisti nel nostro riscatto. Salvare una vita significa rendere capace una persona di trasformare i suoi limiti in risorsa per il bene di tutti.

Signore Gesù, Tu conosci i miei pensieri giudicanti e le mie paure paralizzanti, la tua parola mi chiami ad uscire dall’anonimato nel quale mi rinchiudono i pregiudizi degli altri e i miei sensi di colpa. Donami un cuore libero dall’invidia che arma la vendetta. Fammi sentire l’amore del Padre nel cui cuore ho un posto speciale e aiutami ad essere accogliente verso tutti perché, nei piccoli gesti di attenzione per i fratelli più piccoli si manifesti la maternità della Chiesa.