Evangelizzare con i piedi (camminando) – Mercoledì della XXII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

Evangelizzare con i piedi (camminando) – Mercoledì della XXII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

31 Agosto 2024 0 Di Pasquale Giordano

Mercoledì della XXII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

1Cor 3,1-9   Sal 32  

Dio onnipotente,

unica fonte di ogni dono perfetto,

infondi nei nostri cuori l’amore per il tuo nome,

accresci la nostra dedizione a te,

fa’ maturare ogni germe di bene

e custodiscilo con vigile cura.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,

e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.


Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi 1Cor 3,1-9

Noi siamo collaboratori di Dio, e voi siete campo di Dio, edificio di Dio.

Io, fratelli, sinora non ho potuto parlare a voi come a esseri spirituali, ma carnali, come a neonati in Cristo. Vi ho dato da bere latte, non cibo solido, perché non ne eravate ancora capaci. E neanche ora lo siete, perché siete ancora carnali. Dal momento che vi sono tra voi invidia e discordia, non siete forse carnali e non vi comportate in maniera umana?

Quando uno dice: «Io sono di Paolo», e un altro: «Io sono di Apollo», non vi dimostrate semplicemente uomini? Ma che cosa è mai Apollo? Che cosa è Paolo? Servitori, attraverso i quali siete venuti alla fede, e ciascuno come il Signore gli ha concesso.

Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva crescere. Sicché, né chi pianta né chi irriga vale qualcosa, ma solo Dio, che fa crescere. Chi pianta e chi irriga sono una medesima cosa: ciascuno riceverà la propria ricompensa secondo il proprio lavoro. Siamo infatti collaboratori di Dio, e voi siete campo di Dio, edificio di Dio.

Il ministero apostolico a servizio della grazia di Dio che fa crescere nella fede ed edifica la comunità come tempio

Paolo, che pure loda le comunità di Corinto perché abbonda in esse la grazia dello Spirito, non esita a stigmatizzare l’atteggiamento divisivo e partigiano di alcuni membri che “personalizzano” la chiesa identificandola con il capo di turno e vantando l’appartenenza alla sua cerchia. In questo si mostrano ancora carnali, cioè legati ad un modo di ragionare tipicamente umano ma molto poco divino. Infatti, l’apostolo tra le righe e con molta discrezione intende accostare l’idealizzazione delle figure umane all’idolatria. Il culto della personalità è una forma d’idolatria che rivela una religiosità carnale e per niente spirituale. Paolo si trova costretto a scendere nei particolari del caso e a citare espressioni che rivelano la «bassezza» dei loro ragionamenti. Invece di offrire il cibo solido della sapienza di Dio e di spezzare il pane della Parola, deve offrire il latte delle esemplificazioni quasi a voler dire che con certi discorsi sembra che si ritorni ad essere bambini. Vantare l’appartenenza a qualcuno dei capi significa svalutare il ruolo di Dio con l’inevitabile conseguenza di vanificare l’opera della grazia. L’apostolo coglie l’occasione per ricollocare nel giusto ordine le relazioni nella chiesa. Al centro c’è Dio, il soggetto unico e principale dal quale dipende il ministero degli apostoli del quale essi sono collaboratori. Il loro operato presuppone ed è finalizzato all’azione di Dio, origine e compimento della fede che salva. I capi non sono dei semi-dio posti tra il cielo e la terra ma sono fratelli di comunità che condividono con tutti gli altri il dono del battesimo che li costituisce nella dignità di figli di Dio. Insieme a tutti i credenti della comunità sono il campo ed tempio di Dio. Il ministero che esercitano richiede che essi stessi si lascino allevare ed edificare dal Signore.

+ Dal Vangelo secondo Luca Lc 4,38-44

È necessario che io annunci la buona notizia del regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato.

In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, entrò nella casa di Simone. La suocera di Simone era in preda a una grande febbre e lo pregarono per lei. Si chinò su di lei, comandò alla febbre e la febbre la lasciò. E subito si alzò in piedi e li serviva.

Al calar del sole, tutti quelli che avevano infermi affetti da varie malattie li condussero a lui. Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva. Da molti uscivano anche demòni, gridando: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma egli li minacciava e non li lasciava parlare, perché sapevano che era lui il Cristo.

Sul far del giorno uscì e si recò in un luogo deserto. Ma le folle lo cercavano, lo raggiunsero e tentarono di trattenerlo perché non se ne andasse via. Egli però disse loro: «È necessario che io annunci la buona notizia del regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato».

E andava predicando nelle sinagoghe della Giudea.

Evangelizzare con i piedi (camminando)

Quando parliamo di evangelizzazione dovremmo sempre tornare a meditare pagine come queste nelle quali è tracciato il profilo del messaggero che reca la buona notizia del Regno di Dio. La predicazione di Gesù non prescinde dall’incontro con gli uomini feriti dal peccato, incattiviti dalla rabbia, indeboliti dalle delusioni. Ad essi Gesù è inviato dal Padre per far risuonare la parola del Vangelo e far risplendere la potenza dello Spirito che libera, sana, consola e salva. Per incontrare l’uomo bisogna innanzitutto ascoltare e lasciarsi condurre dalla voce del povero, anteponendo ai propri progetti il bisogno dell’altro. Mettersi a servizio non significa offrire una proposta di prestazione, ma chinarsi sulla realtà assumendo lo sguardo e i sentimenti di Dio che, come fa un padre con il suo bambino, si china verso i più piccoli per dar loro da mangiare (cf. Os 11). Non di meno, oltre l’ascolto e l’andare verso l’altro, è necessario aprirsi agli altri e accoglierli con cordialità e semplicità. Tante volte, presi dall’ansia della prestazione, perdiamo di vista lo stile con il quale relazionarci. La tenerezza con la quale Gesù si china sull’anziana suocera di Simone e la delicatezza del tocco della mano con cui entra in contatto con gli intoccabili, suggeriscono il fatto che l’annuncio del Vangelo non può prescindere da uno stile di prossimità caratterizzato dalla compassione. Essa non è in alcun modo sinonimo di debolezza caratteriale e lo dimostra il fatto che Gesù coniuga tenerezza e determinazione sia nel fronteggiare il nemico che si nasconde dietro le mentite spoglie di un pio discepolo, sia anche nel respingere le avances di coloro che vorrebbero trattenerlo per godere del suo potere taumaturgico. Gesù si sottrae alle lusinghe e alle richieste dalla gente non perché rinnega la propria responsabilità ma perché vuole responsabilizzarla e renderla protagonista del proprio riscatto. Dove giunge il Vangelo la vita rinasce ma questo dono va coltivato perché impariamo da Gesù come vivere in questo mondo e renderlo con la carità migliore di come lo abbiamo trovato.

Signore Gesù, Parola che rivela l’amore del Padre e carezza di Dio che comunica la sua Vita, ascolta la preghiera di chi invoca la tua presenza. Con tenerezza di madre chinati ad asciugare le lacrime di chi soffre e porgi la tua mano perché, spinti e sorretti dalla potenza della tua misericordia, possiamo recuperare le forze perdute a causa del peccato che ci debilita per riprendere il nostro servizio a favore degli altri. Con l’autorità di un padre la tua parola ci liberi dall’ipocrisia della falsa cortesia sotto cui si nascondono giudizi taglienti come spade e rendici puri di cuore, capaci di sincerità di affetti e franchezza nella comunicazione.