Previdenti o improvvisati? – Venerdì della XXI settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

Previdenti o improvvisati? – Venerdì della XXI settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

25 Agosto 2024 0 Di Pasquale Giordano

Venerdì della XXI settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

1Cor 1,17-25   Sal 32

O Dio, che unisci in un solo volere le menti dei fedeli,

concedi al tuo popolo di amare ciò che comandi

e desiderare ciò che prometti,

perché tra le vicende del mondo

là siano fissi i nostri cuori dove è la vera gioia.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,

e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi 1Cor 1,17-25

Noi annunciamo Cristo crocifisso: scandalo e stoltezza per gli uomini; ma per coloro che sono chiamati, potenza e sapienza di Dio.

Fratelli, Cristo non mi ha mandato a battezzare, ma ad annunciare il Vangelo, non con sapienza di parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo.

La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che si perdono, ma per quelli che si salvano, ossia per noi, è potenza di Dio. Sta scritto infatti:

«Distruggerò la sapienza dei sapienti

e annullerò l’intelligenza degli intelligenti».

Dov’è il sapiente? Dov’è il dotto? Dov’è il sottile ragionatore di questo mondo? Dio non ha forse dimostrato stolta la sapienza del mondo? Poiché infatti, nel disegno sapiente di Dio, il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione.

Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini.

Lo scandaloso amore folle di Dio

Nel testo paolino si mettono a confronto le due sapienze che si illuminano e si rivelano reciprocamente. La sapienza del mondo, sia essa saggezza dei pagani o degli ebrei, nasce dall’originaria consapevolezza di non sapere e di non poter sapere tutto. Perciò, la sapienza umana o cerca costruzioni razionali armoniche che soddisfino il suo bisogno di spiegazione logica (causa ed effetto) della realtà oppure cerca manifestazioni di potenza che lo rassicurano nelle paure originate dalla consapevolezza della propria insufficienza. I greci, cultori della filosofia, ambiscono ad affermare il trionfo della ragione; i Giudei, esigendo i segni, puntano ad affermare un potere che riesca ad avere della forza divina e di incanalare la potenza divina nella direzione della propria volontà. L’affermazione di potenza del sé si traduce in volontà di avere il controllo del sapere e della forza operativa.

Nella Croce di Cristo non c’è né la chiave di accesso agli enigmi dell’esistenza né il segreto che rende possibile ogni cosa: infatti, la Sapienza della Croce non risponde alle istanze del mondo e non alimenta le speranze umane. È per questo che la sapienza umana davanti alla croce si scandalizza etichettandola come stoltezza e follia.

Ma quando l’uomo che si pone davanti alla Croce si piega riconoscendo la propria limitatezza e impotenza e ammette che gli orizzonti ai quali ispira le sue speranze sono ristretti e le aspirazioni sono di basso profilo, allora egli si pone in quella condizione di umiltà, spesso giudicata male dagli altri, che però gli garantisce il possesso della vera sapienza e della vera potenza.

Davanti alla croce gli sforzi umani messi in campo per raggiungere la felicità appaiono in tutto il loro fallimento e le pretese intellettualistiche naufragano miseramente come dice 1Cor 1,19-20 citando Is 19,14. In questo Paolo si ispira al pessimismo del Qoelet che reputa inutile e fallimentare ogni faticoso tentativo dell’uomo di comprendere la verità e di raggiungere un successo definitivo.

La Croce di Cristo suggerisce il modo con il quale Dio ha scelto di rivelare il suo volto. Non si tratta tanto di una tattica che mira a spiazzare l’uomo, ma di una scelta libera e consapevole di rivelare nel volto sfigurato di Gesù tutto intero il suo volto. Rifacendosi alla pagina di Es 33, che narra la richiesta di Mosè di conoscere il volto di Dio, Lutero afferma che nella croce di Cristo Dio si rivela, ma nel modo opposto a quello che l’uomo vorrebbe. Dio non ci volta le spalle ma nella Croce si rivela la potenza di Dio che è capace di mortificare la falsa idea che i benpensanti fanno di Dio, pretendendo di crearlo a sua immagine e somiglianza, per comunicare la vera sapienza, quella che solo i poveri e i piccoli possono comprendere e assimilare. La croce di Cristo viene a sovvertire i criteri di valutazione: «Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per provare in lui diletto; disprezzato e reietto, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima» (Is 53,2-3). Ebbene, quell’uomo disprezzato dagli altri uomini Dio lo ha considerato degno di stima al punto da risuscitarlo e da glorificarlo. Questa è la sapienza di Dio: considerare degno di massima venerazione ciò che non sembra meritare nessuna stima.

Questa sapienza divina viene comunicata a tutti gli uomini mediante la croce e la risurrezione di Cristo perché «quello che occhio non vide e orecchio non udì né mai salì nel cuore dell’uomo (fino all’ora della Croce), questo Dio ha preparato (e dato) a coloro che lo amano» (1Cor 2,9). Questa è la rivelazione della sapienza divina, è la novità di Dio che non è paragonabile a nessuna scoperta o invenzione umana. Queste ultime possono migliorare le condizioni di vita ma solo la sapienza di Dio può rendere una persona creatura nuova.

+ Dal Vangelo secondo Matteo Mt 25,1-13

Ecco lo sposo! Andategli incontro!

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:

«Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono.

A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”.

Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”.

Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora».

Previdenti o improvvisati?

Le dieci ragazze sono accomunate dal fatto di uscire tutte incontro allo sposo, ciascuna con la sua lampada, e di addormentarsi per l’attesa prolungata. C’è solo un particolare che contraddistingue cinque di esse dalle altre: il fatto che le sagge fanno scorta di olio in piccoli vasi mentre le stolte non sono previdenti come le compagne più avvedute. Le cinque vergini sagge sono tali perché non si preparano solamente all’incontro con lo sposo ma anche all’imprevisto; infatti, nessuna di loro conosce quanto lungo sarà il tempo dell’attesa. Proprio perché nessuno di noi conosce il numero dei suoi giorni la vita non si può improvvisare. L’improvvisazione è invece la caratteristica delle vergini stolte che credono di affrontare il tempo dell’attesa facendosi bastare quello che hanno o pretendendo di poggiarsi sull’aiuto degli altri. La crisi arriva per tutti ma essa ha un termine che coincide con l’ingresso nella festa per le sagge e l’esclusione delle stolte. La crisi diventa un’opportunità di crescita se ci si prepara prima che arrivi, altrimenti essa ci travolge. Fare scorta di olio significa conservare e fare tesoro delle piccole cose nelle quali è custodita la grazia di Dio. Attraverso parole e gesti di gratitudine a Dio, che chiamiamo eucaristia e carità fraterna, accumuliamo ciò che sul momento potrebbe apparirci anche inutile, ma che al tempo opportuno invece fa la differenza tra chi supera la crisi e chi invece ne rimane vittima. La vita è il tempo nel quale fare scorta di “grazia” attraverso l’ordinaria carità che non connota di straordinarietà eventi sporadici e occasionali ma caratterizza la ferialità della vita cristiana. In tal modo la carità diventa abitudine e, come tale, permette di attraversare anche la notte oscura della prova per essere introdotti nella vita eterna e partecipare per sempre alla gioia del Signore.

Signore Gesù, Sposo della Chiesa che ci introduci alla tua festa di nozze e ci fai partecipe della tua gioia perché la nostra sia piena, donami lo stesso Spirito che ha fatto di Maria il prototipo della vergine saggia perché custodiva ogni tua parola e ogni tuo gesto meditandoli nel suo cuore. Insegnami a pregare facendo memoria della tua misericordia perché la fede, alimentata dalla carità fraterna vissuta quotidianamente, possa tenere accesa la lampada della speranza anche nella lunga notte dell’attesa. Educami alla perseveranza nei servizi umili che pochi scelgono perché scomodi e non gratificanti affinché possa trovare gioia servendoti nel silenzio e con umiltà.