La paura blocca, la gioia anima il coraggio e la creatività – Sabato della XXI settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)
Sabato della XXI settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)
1Cor 1,26-31 Sal 32
O Dio, che unisci in un solo volere le menti dei fedeli,
concedi al tuo popolo di amare ciò che comandi
e desiderare ciò che prometti,
perché tra le vicende del mondo
là siano fissi i nostri cuori dove è la vera gioia.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi 1Cor 1,26-31
Dio ha scelto quello che è debole per il mondo.
Considerate la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili.
Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio.
Grazie a lui voi siete in Cristo Gesù, il quale per noi è diventato sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione, perché, come sta scritto, “chi si vanta, si vanti nel Signore”.
La folle sapienza della Croce
La sapienza della croce in Paolo non propugna il valore educativo della sofferenza che rende maturi e adulti nella fede, non perché lo neghi, ma perché lo presuppone o lo supera. Bisogna ricordare che per l’Apostolo l’unica croce che conta è quella di Cristo; quando parla della sapienza della croce fa riferimento non a quella del cristiano paziente che sopporta la sofferenza, ma alla sapienza di Dio rivelatasi nella croce di Cristo. Le croci non insegnano la sapienza di Dio, per cui il cristiano non deve tanto ripiegarsi su sé stesso e cercare un senso nel suo dolore, ma deve alzare lo sguardo da sé per rivolgerlo verso la croce di Cristo per contemplare nel Crocifisso condannato, umiliato, abbandonato, trafitto, l’immenso, incommensurabile amore di Dio.
La sapienza cristiana consiste nel rendersi conto, cercare e approfondire fino a che punto sia giunto l’amore di Dio: alla follia. Essa segna il limite della ragionevolezza umana che viene travalicata dalla sapienza divina. Volutamente Paolo usa l’ossimoro, che è la forma estrema del paradosso, parlando della follia (della croce di Cristo) quale manifestazione piena della sapienza di Dio. La follia della croce di Cristo è il punto di rottura della sapienza umana che si apre alla sapienza di Dio. La croce di Cristo rivela che la sapienza di Dio e totalmente altro dalla sapienza umana, anche se non la esclude ma la presuppone. Proprio perché la croce di Cristo non entra negli schemi mentali dell’uomo, anzi li destabilizza, egli la chiama stoltezza, pazzia, follia. La sapienza cristiana non può essere una versione razionale della sapienza divina o non può pretendere di razionalizzarla. La sapienza cristiana è tale nella misura in cui si lascia assimilare a quella divina.
La sapienza del mondo è contraria alla sapienza di Dio perché la logica mondana cerca di inquadrare, incasellare, chiudere in schemi umani, mentre Dio sfugge a questo tentativo; ed è per questo che l’umano punto di vista identifica la Croce come stoltezza e follia.
+ Dal Vangelo secondo Matteo Mt 25,14-30
Sei stato fedele nel poco, prendi parte alla gioia del tuo padrone.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.
Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.
Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».
La paura blocca, la gioia anima il coraggio e la creatività
La parabola mette in luce il fatto che ognuno di noi è diverso dall’altro ma la vera differenza non consiste nella quantità dei doni ricevuti o nella misura della propria capacità ma dal modo con cui investiamo le risorse che abbiamo. Tutti possediamo una ricchezza da amministrare e, così facendo, esercitiamo un servizio. I servi buoni e fedeli sono coloro che agiscono cercando d’interpretare con creatività la volontà del padrone. Non fanno tanti ragionamenti e soprattutto non pretendono di giudicarlo. I servi sono riconosciuti fedeli perché hanno fatto fruttificare il poco ricevuto. Non si sono persi nel confrontarsi tra loro e nel vantarsi per aver ricevuto più degli altri o nel deprimersi se gli è stato dato di meno. Non si sono lasciati distrarre dalla ricerca del criterio di distribuzione dei beni, ma hanno colto subito il senso della fiducia riposta in loro e l’hanno tradotta in servizio fruttuoso. In fondo è la gioia di essere chiamati al servizio che spinge i due servi buoni e fedeli a rischiare. La gioia spinge ad osare e chi ha il coraggio di rischiare innanzitutto vince sulla paura che invece blocca il terzo servo. Ciò che sa l’ultimo servo è nient’altro che il pregiudizio verso il padrone, in cui sono compendiate tutte le sue insicurezze e le malvagità che conserva nel cuore, e verso il quale prova sentimenti di diffidenza e timore. Nel servo malvagio prevale la rabbia per aver ricevuto di meno sulla riconoscenza e la gratitudine per l’incarico affidatogli. La sua capacità è inferiore rispetto a quella degli altri perché il suo cuore è pieno di risentimento e complessi d’inferiorità. La paura è lo strumento che l’Ingannatore usa per indurci al peccato di omissione. La paura, infatti, è all’origine della rinuncia a fare il bene. Al contrario, la gioia pervade il cuore della persona che fa spazio dentro di sé a Dio perché possa compiersi la sua volontà. La gioia di Dio si moltiplica e si diffonde diventando in chi l’accoglie la forza propulsiva che permette di superare ogni dubbio e resistenza, interiore ed esteriore.
Signore Gesù, tu che non fai preferenze di persone ma guardi il cuore e affidi a tutti i tuoi servi il tesoro dell’amore divino, donami il coraggio di andare oltre i meschini calcoli umani e di trasgredire la fredda legge della paura che blocca e impedisce di compiere il bene. Il tuo Spirito purifichi il mio cuore dalla pigrizia, lo liberi dalla tendenza a giudicare e dal fardello del pregiudizio affinché possa far fruttificare i carismi ricevuti ed esprimere generosamente, attraverso la creatività del servizio, la gioia di essere custode del dono della vita.