Tutti uguali davanti alla legge … dell’Amore – Mercoledì della XX settimana del Tempo Ordinario (Anno pari) – Pio X

Tutti uguali davanti alla legge … dell’Amore – Mercoledì della XX settimana del Tempo Ordinario (Anno pari) – Pio X

16 Agosto 2024 0 Di Pasquale Giordano

Mercoledì della XX settimana del Tempo Ordinario (Anno pari) – Pio X

Ez 34,1-11 Sal 22

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O Dio, che per difendere la fede cattolica

e ristabilire ogni cosa in Cristo

hai colmato di celeste sapienza

e di apostolica fortezza il santo papa Pio X,

fa’ che, seguendo il suo insegnamento e il suo esempio,

giungiamo al premio eterno.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,

e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.


Dal libro del profeta Ezechièle Ez 34,1-11

Strapperò loro di bocca le mie pecore e non saranno più il loro pasto.

Mi fu rivolta questa parola del Signore:

«Figlio dell’uomo, profetizza contro i pastori d’Israele, profetizza e riferisci ai pastori: Così dice il Signore Dio: Guai ai pastori d’Israele, che pascono se stessi! I pastori non dovrebbero forse pascere il gregge? Vi nutrite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più grasse, ma non pascolate il gregge. Non avete reso forti le pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse. Non siete andati in cerca delle smarrite, ma le avete guidate con crudeltà e violenza. Per colpa del pastore si sono disperse e sono preda di tutte le bestie selvatiche: sono sbandate. Vanno errando le mie pecore su tutti i monti e su ogni colle elevato, le mie pecore si disperdono su tutto il territorio del paese e nessuno va in cerca di loro e se ne cura.

Perciò, pastori, ascoltate la parola del Signore: Com’è vero che io vivo – oracolo del Signore Dio –, poiché il mio gregge è diventato una preda e le mie pecore il pasto d’ogni bestia selvatica per colpa del pastore e poiché i miei pastori non sono andati in cerca del mio gregge – hanno pasciuto se stessi senza aver cura del mio gregge –, udite quindi, pastori, la parola del Signore: Così dice il Signore Dio: Eccomi contro i pastori: a loro chiederò conto del mio gregge e non li lascerò più pascolare il mio gregge, così non pasceranno più se stessi, ma strapperò loro di bocca le mie pecore e non saranno più il loro pasto. Perché così dice il Signore Dio: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna».

Dio pastore, liberatore e guida

Ezechiele, che ha trattato della responsabilità delle generazioni e degli individui, riserva una specifica attenzione a quella dei dirigenti. Dopo l’immagine della sentinella, usata per spiegare la missione del profeta, sviluppa quella del pastore. Si tratta di un’immagine di antica tradizione che accomuna i sumeri, i babilonesi e gli egiziani, i quali l’applicano sia agli dei che agli uomini. I salmi 23 e 80 testimoniano l’attribuzione a Dio del titolo di pastore che caratterizza anche Davide, la cui figura funge da archetipo per i re. Ezechiele è in sintonia con Ger 23. La denuncia dei cattivi pastori conduce alla loro destituzione che lascia campo libero all’intervento diretto di Dio che pasce di persona il suo popolo che riunisce il suo gregge, lo porta nella sua terra, dove avviene il giudizio e la separazione e, infine, istituisce lui stesso il pastore ideale. Ciò che inizia con un «guai» di minaccia si conclude con una promessa di salvezza.

L’oracolo denuncia energicamente l’uso del potere a proprio vantaggio dei capi cattivi. Essi, che come i re stranieri malvagi, credono di sottrarsi alla sottomissione a Dio e di spodestarlo per prenderne il posto, sono gli imputati sotto processo. Il profeta elenca i capi di accusa in dieci punti; i primi tre, pur rientrando nella dinamica dell’azione pastorale, nel contesto assumono il sapore dell’abuso. Infatti, non accolgono il dono da Dio, ma lo prendono con la forza, pretendendolo. La malvagità, che inficia anche i loro diritti, emerge drammaticamente in sei accuse di azioni negative o negligenze gravi. L’ultima accusa riassume tutte le altre: la guida delle pecore con crudeltà e violenza. Ci si aspetterebbe la condanna dei falsi pastori, ma sta più a cuore riaffermare che il gregge appartiene a Dio e che i pastori non sono loro i veri signori del gregge, ma rappresentanti del Signore e responsabili davanti a lui. La conclusione è insieme giudizio, castigo e salvezza da quei falsi pastori che si sono rivelati invece bestie feroci. Senza usare il titolo di pastore, il Signore compie personalmente il ruolo di pastore in un momento critico per il gregge che diventa decisivo. Le tappe dell’azione divina riprende lo schema classico dell’esodo trasportato al ritorno dall’esilio: riunire, far uscire, portare. Arrivati nella terra promessa e terminate le cure straordinarie, cominciano i compiti ordinari del pastore.

+ Dal Vangelo secondo Matteo Mt 20,1-16

Sei invidioso perché io sono buono?

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:

«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.

Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e da’ loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”.

Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”.

Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».

Tutti uguali davanti alla legge … dell’Amore

Quanto mutevole è il nostro modo di vedere la realtà e di interpretarla lo dimostra questa parabola nella quale da una parte c’è il padrone di una vigna che esce più volte lungo tutto l’arco della giornata per chiamare operai a lavorare nella sua vigna e dall’altra i lavoratori. Nel racconto avvengono due cose strane. La prima è il fatto che il padrone chiama a tutte le ore. Chiama fino alla fine e coinvolge tutti, anche chi è stato scartato dagli altri. La seconda è il modo con il quale paga la giornata di lavoro dimostrando che per lui non conta quanto ha lavorato un operaio ma che abbia accettato di servirlo. Questi due particolari rivelano la logica di Dio, l’unico buono, come Gesù aveva detto al giovane ricco. Dio ragiona secondo una logica che mette al centro la persona e non il Suo interesse perché ciò che gli sta a cuore non è il guadagno personale ma la nostra felicità che passa attraverso la soddisfazione dei bisogni più profondi. La ricompensa che il padrone offre agli operai è un insegnamento che, se colto, diventa un tesoro grandioso che supera le aspettative. Dio non fa torto a nessuno perché non cambia idea rispetto all’uomo. Egli lo ama a prescindere dai suoi meriti e continuamente lo chiama a servirlo. Se lo sguardo di Dio, che non guarda i meriti o le colpe, ma il bisogno dei suoi figli, non muta, assistiamo invece al cambiamento di faccia degli operai, quelli della prima ora che hanno affrontato la fatica della giornata non con spirito di gratitudine per essere stati chiamati, ma con la speranza legata alla ricompensa pattuita. Poi, vedendo che gli ultimi venivano pagati per primi, hanno immaginato di dover meritare di più di quanto pattuito. Quello che fa arrabbiare gli operai della prima ora è l’invidia che deforma la realtà. Per cui gli altri operai non sono visti come fratelli destinatari della comune eredità, ma con disprezzo perché paragonati a loro. Ciò che indigna è l’essere trattati alla stessa stregua di quelli che sono considerati i meno meritevoli. L’invidia prende il posto lasciato dalla gratitudine e la mormorazione quello abbandonato dalla preghiera. Ma quando facciamo tesoro della compassione ricevuta e lodiamo il Signore per la misericordia che ci ha usato ci appare chiaro che siamo tutti uguali davanti alla legge … dell’Amore.

Signore Gesù, Tu che passi lungo le strade degli uomini e li chiami alla tua sequela perché impegnino la loro vita per il Regno dei Cieli, accogli la supplica di chi è escluso a causa delle logiche utilitaristiche del mercato, che tratta la gente come merce, e raccogli gli scartati di una società che mette il profitto prima delle persone. Donami la gioia di lodarti con gratitudine perché non trovi spazio in me l’invidia che deforma la percezione della realtà e corrompe i sentimenti. La bontà del Padre, che si rivela nei tuoi gesti di amorevole compassione, illumini la mia mente affinché i miei pensieri non siano deviati dai ragionamenti egoistici ma mi mantengano fedele al servizio a cui il Signore mi ha chiamato per la Sua gloria e il bene dei fratelli.