Tasche vuote e cuore pieno di gioia – Lunedì della XX settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

Tasche vuote e cuore pieno di gioia – Lunedì della XX settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

16 Agosto 2024 0 Di Pasquale Giordano

Lunedì della XX settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

Ez 24,15-24   Dt 32,18-21

O Dio, che hai preparato beni invisibili

per coloro che ti amano,

infondi nei nostri cuori la dolcezza del tuo amore,

perché, amandoti in ogni cosa e sopra ogni cosa,

otteniamo i beni da te promessi,

che superano ogni desiderio.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,

e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.


Dal libro del profeta Ezechièle Ez 24,15-24

Ezechièle sarà per voi un segno: voi farete proprio come ha fatto lui.

Mi fu rivolta questa parola del Signore: «Figlio dell’uomo, ecco, io ti tolgo all’improvviso colei che è la delizia dei tuoi occhi: ma tu non fare il lamento, non piangere, non versare una lacrima. Sospira in silenzio e non fare il lutto dei morti: avvolgiti il capo con il turbante, mettiti i sandali ai piedi, non ti velare fino alla bocca, non mangiare il pane del lutto».

La mattina avevo parlato al popolo e la sera mia moglie morì. La mattina dopo feci come mi era stato comandato e la gente mi domandava: «Non vuoi spiegarci che cosa significa quello che tu fai?».

Io risposi: «La parola del Signore mi è stata rivolta in questi termini: Annuncia agli Israeliti: Così dice il Signore Dio: Ecco, io faccio profanare il mio santuario, orgoglio della vostra forza, delizia dei vostri occhi e anelito delle vostre anime. I figli e le figlie che avete lasciato cadranno di spada. Voi farete come ho fatto io: non vi velerete fino alla bocca, non mangerete il pane del lutto. Avrete i vostri turbanti in capo e i sandali ai piedi: non farete il lamento e non piangerete, ma vi consumerete per le vostre iniquità e gemerete l’uno con l’altro. Ezechièle sarà per voi un segno: quando ciò avverrà, voi farete proprio come ha fatto lui e saprete che io sono il Signore».

La morte della sposa di Ezechiele

Il profeta non è tale solo con la bocca, ma lo è anche con la vita. Dio assume le situazioni, che agli occhi degli uomini sono comuni eventi della vita, e le trasforma in oracoli attraverso le esperienze dei profeti, missionari della Parola. Non si tratta di gesti simbolici operati dai profeti ma della propria vita che diventa eloquente nell’annunciare la parola di Dio. Come per il matrimonio infelice di Osea e il celibato di Geremia, tale è la morte improvvisa della sposa di Ezechiele: essi portano la Parola nella loro carne dolorante e la loro parola acquista un senso nuovo e un pathos più intenso.

Dio non solo preannuncia al profeta la morte della moglie ma gli comanda di non sfogare il suo dolore in pubblico. Ezechiele obbedisce a Dio e il suo atteggiamento suscita la domanda della gente che diventa l’occasione per rivolgere al popolo la parola che finge da chiave interpretativa dell’evento e della reazione del profeta. Finalmente la gente, uscendo dall’indifferenza nel quale si erano chiusi nei confronti della parola di Dio, rivolge la parola ad Ezechiele riconoscendo in lui il profeta. Il mutismo del profeta si fa eloquente, come il silenzio di Dio che accompagna la distruzione del tempio e della città. La domanda della gente è il sintomo di una disponibilità ad ascoltare e la risposta di Ezechiele è il segno che Dio ascolta il dolore anche se esso non può essere reso manifesto con grida e pianto. La fine, vissuto con fede, diventa l’inizio di una nuova realtà.

+ Dal Vangelo secondo Matteo Mt 19,16-22

Se vuoi essere perfetto, vendi quello che possiedi e avrai un tesoro nel cielo.

In quel tempo, un tale si avvicinò e gli disse: «Maestro, che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?». Gli rispose: «Perché mi interroghi su ciò che è buono? Buono è uno solo. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti». Gli chiese: «Quali?».

Gesù rispose: «Non ucciderai, non commetterai adulterio, non ruberai, non testimonierai il falso, onora il padre e la madre e amerai il prossimo tuo come te stesso». Il giovane gli disse: «Tutte queste cose le ho osservate; che altro mi manca?». Gli disse Gesù: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!».

Udita questa parola, il giovane se ne andò, triste; possedeva infatti molte ricchezze.

Tasche vuote e cuore pieno di gioia

Un giovane rivolge la domanda delle domande al Maestro. Il discepolo in erba sente il desiderio di diventare migliore e crede di poterlo essere esercitandosi nella pratica del bene. Probabilmente dentro di sé c’è l’aspirazione ad essere il migliore e a proporsi come modello per gli altri. Gesù corregge il tiro della sua domanda indicando in Dio l’unico modello della bontà perché Lui ne è la fonte. L’uomo che dialoga con il Maestro dimostra di cercare la via della perfezione e di identificare il fine con il mezzo. L’osservanza dei comandamenti è un mezzo per progredire e diventare persone migliori, capaci di entrare nel dialogo educativo con Dio. Infatti, la pratica dei comandamenti ha lo scopo di migliorare il modo con cui viviamo le relazioni affinché in esse possiamo trovare la felicità. La strada della felicità è un itinerario dell’anima che passa dalla gioia intesa come gratificazione a quella della gratuità. Praticando i comandamenti mi accorgo che la loro osservanza non colma il desiderio di felicità a cui il cuore anela. La proposta di Gesù è un invito a fare uno scatto in avanti, una scelta di libertà che faccia passare dall’amare la Legge all’amore di Dio. Tale passaggio può avvenire solamente mediante una rinuncia radicale ai beni affettivi ed effettivi la cui immagine ha preso il posto di Dio nel proprio cuore. I poveri sono i nostri veri padroni ai quali offrire il nostro servizio perché essi sono quelli che nulla possono contraccambiare. La felicità di questa pratica non consiste nel guadagno ma semplicemente nel dono vissuto come servizio gratuito. La perfezione consiste nel capovolgere la prospettiva dalla quale si guarda la vita. La felicità consiste proprio in ciò che manca al giovane, ovvero il motivo per cui vivere, il senso che dà forza al movimento o alla pratica dei comandamenti. S’impara ad essere felici quando si sceglie di assumere come ragione ultima della propria vita non l’avere ma il dare. Bisogna stare attenti ad un equivoco che Gesù chiarisce subito. Servire è donare, non prestare. Dunque, fin quando ci preoccuperemo di possedere, anche se con l’intenzione di dare, crederemo che dare amore significhi offrire ciò che ci appartiene. L’amore perfetto a cui Gesù vuole condurre è quello di chi ha le tasche vuote, come Lui stesso sulla croce, ed è pronto per donare tutto sé stesso e la sua povertà. Ai poveri dai quello che hai ma a Dio puoi donare solo la tua povertà, allora sarai pronto per essere arricchito di vita eterna.

Signore Gesù, tu mi inviti a seguirti sulla strada della povertà e mi chiedi di lasciare i beni terreni per far spazio nel mio cuore all’unico vero Bene. La via che percorri è a senso unico e non ammette inversioni di marcia, aiutami a perseverare nella tua sequela anche quando i conti che ho fatto preventivamente non tornano e credo di aver sbagliato direzione nella vita. Tu, che ti sei svuotato della tua gloria per farti solidale con me in ogni cosa eccetto il peccato, insegnami a distinguere tra il donare e il prestare e donami il coraggio di osare nell’avere fiducia della tua parola. Guidami sulla via dei comandamenti di Dio perché da Te impari a gareggiare con i fratelli nell’amore non per guadagnare il consenso degli uomini ma per ricevere la corona di gloria che il Signore ha riservato ai suoi servi fedeli, quelli che scelgono di avere i poveri come loro padroni.