L’indifferentismo e il formalismo sono le due facce dell’incredulità – Giovedì della XX settimana del Tempo Ordinario (Anno pari) – Beata Vergine Maria Regina
Giovedì della XX settimana del Tempo Ordinario (Anno pari) – Beata Vergine Maria Regina
Ez 36,23-28 Sal 50
O Padre, che ci hai dato come Madre e Regina
la Vergine Maria,
dalla quale nacque Cristo tuo Figlio,
per sua intercessione concedi a noi
la gloria promessa ai tuoi figli nel regno dei cieli.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.
Dal libro del profeta Ezechièle Ez 36,23-28
Vi darò un cuore nuovo. Porrò il mio spirito dentro di voi.
Così dice il Signore Dio: «Santificherò il mio nome grande, profanato fra le nazioni, profanato da voi in mezzo a loro. Allora le nazioni sapranno che io sono il Signore – oracolo del Signore Dio –, quando mostrerò la mia santità in voi davanti ai loro occhi.
Vi prenderò dalle nazioni, vi radunerò da ogni terra e vi condurrò sul vostro suolo. Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre impurità e da tutti i vostri idoli; vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne.
Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo le mie leggi e vi farò osservare e mettere in pratica le mie norme. Abiterete nella terra che io diedi ai vostri padri; voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio».
La nuova creazione interiore
La pericope liturgica s’inserisce nel grande oracolo di restaurazione che inizia, come se fosse il rituale di una liturgia penitenziale, dal racconto dei peccati commessi nella patria natia e del castigo dell’esilio. La restaurazione è decisione e iniziativa esclusiva di Dio il quale inaugura una nuova alleanza che si realizza innanzitutto interiormente e successivamente si concretizza in benedizioni. Si assiste innanzitutto al passaggio dall’ira alla grazia e poi si esplicita il modo con cui si realizza la nuova alleanza. Il passaggio dal castigo alla grazia non avviene come conseguenza di una liturgia penitenziale o attraverso un rito di espiazione e riconciliazione. Dunque, un ruolo decisivo nell’opera della salvezza non lo gioca né il rito, né la supplica, né le opere di penitenza, ma il nome di Dio ovvero la sua volontà che caparbiamente insiste nell’amare l’uomo e strapparlo dal male.
Il popolo vive in mezzo alle genti pagane alle quali sono inviati per rappresentare Dio e farlo conoscere. L’esilio non è solo castigo ma anche opportunità di essere missionari. Tuttavia, quando il popolo fallisce perché fornisce una falsa immagine di Dio, è Lui stesso se s’incarica di difendere la sua fama e di dimostrare, anche oltre i confini d’Israele, la santità del suo Nome. Il ritorno dall’esilio è la rivelazione della sua santità davanti a tutti i popoli.
Il Sal 51 sembra un’eco delle parole di Ezechiele soprattutto quando alla confessione del peccato segue la supplica per un rinnovamento interiore. La purificazione radicale è il presupposto perché si rinnovi il cuore in una sorta di nuova creazione. Essa è pura grazia perché dipende solamente dall’agire di Dio che vuole rivelare e comunicare agli uomini la sua santità.
Alle inutili parole dell’uomo si sostituisce l’opera di Dio che non cura semplicemente il cuore malato ma estirpa la parte malata per immettere vita che sana. Questo avviene attraverso il dono dello Spirito che è principio vitale della nuova creazione. Lo Spirito riesce dove la legge fallisce: santificare l’uomo permettendo di vivere come Dio.
+ Dal Vangelo secondo Matteo Mt 22,1-14
Tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze.
In quel tempo, Gesù, riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse:
«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire.
Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: “Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città.
Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali.
Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.
Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».
L’indifferentismo e il formalismo sono le due facce dell’incredulità
La parabola mette a fuoco il problema della superficialità con la quale viviamo la fede soprattutto considerando il fatto che assistiamo sempre più di frequente alla scissione tra ciò che si crede e ciò che si vive. In un contesto di crescente «indifferentismo» l’incontro con il Signore da molti è inteso rientrante più tra i doveri che tra i piaceri della vita e, ancor di meno, tra le necessità legate alla fede. D’altra parte, praticare la fede non significa solo compiere le opere che la legge ci indica ma vivere una relazione di amore personale con Dio la cui caratteristica non è differente da qualsiasi altro rapporto affettivo importante. Il dramma che si consuma nella relazione con Dio si riflette anche all’interno della vita di coppia, familiare o comunitaria in genere. L’esclusione del sentimento dalla funzione che si esercita condanna qualsiasi relazione alla sua corruzione perché senza l’amore ogni cosa si ripiega su sé stessa scivolando verso l’isolamento mortifero. L’esclusiva cura dei propri interessi crea una sorta di capsula che rende impossibile il dialogo e tutto ciò che porterebbe ad un sano confronto. L’egoismo può giungere fino ad assumere comportamenti violenti verso coloro che si presentano solamente come messaggeri di pace.
La parabola aggiunge che, oltre all’indifferentismo e all’egoismo, esiste la piaga del formalismo ipocrita di chi «pratica» ma non «crede». È come dire che ci sono due forme di incredulità e di mancanza di fede, da una parte il non «praticare» la relazione con Dio e dall’altra invece la strumentalizzazione della fede. La seconda piaga è svelata nel giudizio divino perché solo la luce dello sguardo di Dio può rendere visibile questo peccato. La colpa dell’uomo che viene «scomunicato» è quella di non indossare l’abito della festa, cioè di vivere la fede e celebrare i sacramenti ma senza i sentimenti di Dio che sono amore, pace e gioia nello Spirito. Come chiosava san Paolo nell’inno alla Carità, possiamo dire che senza l’amore tutto si corrompe ed è inutile.
Signore Gesù, che hai immolato Te stesso come Agnello pasquale sull’altare della croce e prepari per noi un banchetto di festa dove nutrirci della tua Parola e inebriarci con il vino nuovo dello Spirito, non farci mancare ministri che con la loro vita di fede possano convincere gli uomini a distogliere il loro cuore dagli interessi materiali per accogliere l’invito all’incontro con Dio. Donami la forza di perseverare nell’offrire a tutti la proposta del Vangelo anche a costo di ricevere sonori rifiuti e subire pesanti violenze. Lo zelo per il vangelo mi aiuti a non arrendermi alle mie debolezze e alla tentazione di salvare l’apparenza ma non curare la sostanza della mia fede. La tua Parola e l’Eucaristia mi trasformino interiormente perché in ogni cosa che faccio possa metterci la carità di cui mi fai dono.