La mancanza necessaria che rende credibile l’amore – Venerdì della XIX settimana del Tempo Ordinario (Anno pari) – S. Rocco

La mancanza necessaria che rende credibile l’amore – Venerdì della XIX settimana del Tempo Ordinario (Anno pari) – S. Rocco

10 Agosto 2024 0 Di Pasquale Giordano

Venerdì della XIX settimana del Tempo Ordinario (Anno pari) – S. Rocco

Ez 16,1-15.60.63       Is 12,2-6

Dio onnipotente ed eterno,

guidati dallo Spirito Santo,

osiamo invocarti con il nome di Padre:

fa’ crescere nei nostri cuori lo spirito di figli adottivi,

perché possiamo entrare nell’eredità che ci hai promesso.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,

e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.


Dal libro del profeta Ezechièle Ez 16,1-15.60.63

La tua bellezza era perfetta. Ti avevo reso uno splendore. Tu però ti sei prostituita.

Mi fu rivolta questa parola del Signore: «Figlio dell’uomo, fa’ conoscere a Gerusalemme tutti i suoi abomini. Dirai loro: Così dice il Signore Dio a Gerusalemme: Tu sei, per origine e nascita, del paese dei Cananei; tuo padre era un Amorreo e tua madre un’Ittita. Alla tua nascita, quando fosti partorita, non ti fu tagliato il cordone ombelicale e non fosti lavata con l’acqua per purificarti; non ti fecero le frizioni di sale né fosti avvolta in fasce. Occhio pietoso non si volse verso di te per farti una sola di queste cose e non ebbe compassione nei tuoi confronti, ma come oggetto ripugnante, il giorno della tua nascita, fosti gettata via in piena campagna.

Passai vicino a te, ti vidi mentre ti dibattevi nel sangue e ti dissi: Vivi nel tuo sangue e cresci come l’erba del campo. Crescesti, ti facesti grande e giungesti al fiore della giovinezza. Il tuo petto divenne fiorente ed eri giunta ormai alla pubertà, ma eri nuda e scoperta.

Passai vicino a te e ti vidi. Ecco: la tua età era l’età dell’amore. Io stesi il lembo del mio mantello su di te e coprii la tua nudità. Ti feci un giuramento e strinsi alleanza con te – oracolo del Signore Dio – e divenisti mia. Ti lavai con acqua, ti ripulii del sangue e ti unsi con olio. Ti vestii di ricami, ti calzai di pelle di tasso, ti cinsi il capo di bisso e ti ricoprii di stoffa preziosa. Ti adornai di gioielli. Ti misi braccialetti ai polsi e una collana al collo; misi al tuo naso un anello, orecchini agli orecchi e una splendida corona sul tuo capo. Così fosti adorna d’oro e d’argento. Le tue vesti erano di bisso, di stoffa preziosa e ricami. Fior di farina e miele e olio furono il tuo cibo. Divenisti sempre più bella e giungesti fino ad essere regina. La tua fama si diffuse fra le genti. La tua bellezza era perfetta. Ti avevo reso uno splendore. Oracolo del Signore Dio.

Tu però, infatuata per la tua bellezza e approfittando della tua fama, ti sei prostituita, concedendo i tuoi favori a ogni passante. Ma io mi ricorderò dell’alleanza conclusa con te al tempo della tua giovinezza e stabilirò con te un’alleanza eterna, perché te ne ricordi e ti vergogni e, nella tua confusione, tu non apra più bocca, quando ti avrò perdonato quello che hai fatto». Oracolo del Signore Dio.

Dio, padre compassionevole e sposo fedele

Nel cap. 16 Ezechiele presenta un ampio quadro storico di Gerusalemme in chiave matrimoniale, come avevano fatto anche Osea e Geremia. La sposa è Gerusalemme che rappresenta il popolo. Osea comincia in piena situazione matrimoniale in crisi, Geremia si rifà al tempo del fidanzamento, mentre Ezechiele risale alla nascita collegandosi al tema del bambino abbandonato. Osea 11 si rifà all’infanzia del popolo per cantare l’amore paterno di Dio: Israele è il figlio primogenito. Ezechiele ricorda l’origine straniera caratterizzata dai culti pagani della prostituzione sacra. L’immoralità dei padri è denunciata dalla prassi di esporre o abbandonare i bambini non voluti o frutto della prostituzione. Destinata inesorabilmente alla morte, per mancanza di pietà e compassione, la neonata sperimenta una nuova nascita quando le passa accanto il Signore che pronuncia una benedizione efficace che è anche una parola creativa; la creatura deve la sua vita a questo imperativo di Dio. Crescendo la ragazza diventa più bella ma anche fragile perché la nudità mette il risalto le sue forme del suo corpo ma anche la sua vulnerabilità. Dio viene ancora in suo aiuto coprendola con il suo manto in segno di elezione e protezione. L’azione di Dio culmina con la parola attraverso la quale si dichiara come sposo. Il rito matrimoniale sugella l’alleanza con Dio che si prende cura della sua sposa non solo del suo corpo ma di tutta la sua persona fino a incoronarla regina. A questo testo si ispira l’apostolo Paolo nella lettera agli Efesini quando invita a guardare Gesù e a imitare il suo amore per la Chiesa infatti «ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola, e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata» (Ef 5, 25-27). Ezechiele passa repentinamente dallo splendore del rito matrimoniale che inaugura l’alleanza all’infedeltà che ferisce la relazione. L’infedeltà ha origine dalla fiducia quasi esclusiva in sé stessi o negli altri uomini. Il confidare nella violenza, nell’oppressione, nella menzogna, nella malvagità, nella falsità e nella ricchezza porta alla rovina. La metafora della fornicazione esprime l’infedeltà al Signore e all’alleanza. La fornicazione può riferirsi alla pratica della prostituzione sacra, per propiziarsi fecondità dei greggi e della terra, o all’idolatria, come infedeltà all’unico Signore. La risposta della sposa è articolata quanto la cura che ha avuto per lei il suo sposo, ma non è corrispondente al suo amore bensì contrario. Poiché parla lo sposo offeso il tono è altamente passionale rivelando il mistero del suo amore.

La pericope liturgica si conclude con un’ultima parola di consolazione e di speranza. L’oracolo di giudizio e quello di consolazione e salvezza vanno letti l’uno alla luce dell’altro. Il tema è quello della nuova alleanza. Alla prima alleanza, in termini matrimoniali, Gerusalemme è stata infedele, meritandosi il ripudio; Dio ha punito la sua sposa «secondo le sue azioni». Ma, nonostante l’infedeltà, Dio agisce secondo il suo cuore che tiene sempre viva la memoria del suo amore gratuito e incondizionato. La fedeltà si basa sulla memoria che fa maturare la continuità tra la prima alleanza e la seconda. Lo sposo fedele è sempre pronto ad accogliere la sposa infedele. La sposa non potrà tornare con l’atteggiamento di prima. La memoria del suo peccato fa nascere la vergogna che, lungi dal generare sensi di colpa e disperazione, viene illuminata dal ricordo della misericordia di Dio. Le sue umili origini e il peccato non sono motivo di disperazione ma di speranza perché non può contare più sulla sua bellezza o rivendicare meriti dato che ha sperimentato che la grazia di Dio esalta gli umili e protegge i poveri.

+ Dal Vangelo secondo Matteo Mt 19,3-12

Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli; all’inizio però non fu così.

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: «È lecito a un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?».

Egli rispose: «Non avete letto che il Creatore da principio li fece maschio e femmina e disse: “Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne”? Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto».

Gli domandarono: «Perché allora Mosè ha ordinato di darle l’atto di ripudio e di ripudiarla?».

Rispose loro: «Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli; all’inizio però non fu così. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di unione illegittima, e ne sposa un’altra, commette adulterio».

Gli dissero i suoi discepoli: «Se questa è la situazione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi».

Egli rispose loro: «Non tutti capiscono questa parola, ma solo coloro ai quali è stato concesso. Infatti vi sono eunuchi che sono nati così dal grembo della madre, e ve ne sono altri che sono stati resi tali dagli uomini, e ve ne sono altri ancora che si sono resi tali per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca».

La mancanza necessaria che rende credibile l’amore

Gesù, interrogato sulla liceità del ripudio, rintraccia nel racconto della creazione non un inizio, ma il principio, cioè il fondamento della vita dell’uomo e della legge stessa. L’origine dell’uomo e della donna è diversa da quella dalle altre creature perché la loro nascita non avviene per separazione ma per unione. Il maschio e la femmina non sono chiamati semplicemente a coesistere ma a convivere. L’uomo e la donna per esistere quale immagine e somiglianza di Dio, devono essere uniti. Questo vuol dire che per l’uomo vivere non consiste solamente nello svolgere le funzioni vitali procurandosi da mangiare, ma significa amare unendosi l’uno all’altro; senza una relazione che mira all’unità della comunione l’uomo regredisce fino alla morte. Il matrimonio diventa dunque la risposta che l’uomo dà alla sua vocazione ad essere in comunione con gli altri. Non si tratta di assecondare il proprio istinto ma di una scelta consapevole che nasce dalla umile consapevolezza di non poter bastare a sé stesso. La norma emanata da Mosè non è una forma di giustificazione della pratica del ripudio ma una denuncia della durezza del cuore dell’uomo che tenta di dominare sulla donna o viceversa. Il ripudio non mette la parola fine ad una relazione, ma alla vocazione dell’uomo di costruire la comunione. Il ripudio è un atto anti-creativo.

I motivi del conflitto sono tanti quante sono le differenze tra le persone. Nel suo cuore ognuno deve scegliere se considerarle come motivi utili di conflitto o ragioni valide per costruire la comunione. Un cuore, reso duro dalla mancanza di comunione con Dio, si trincera dietro i limiti altrui per giustificare la rinuncia ad amare l’altro.

Colui che si fa eunuco per il Regno dei cieli vive il proprio stato di vita non come rinuncia ma come dono totale di sé. Farsi eunuco significa rinunciare ad usare la propria carica aggressiva (la passione) per sedurre e servirsi delle persone, ma incanalarla nella cura che ad esse riserva. L’eunuco per il Regno dei cieli, cioè l’umile, riconosce nelle differenze e nei limiti non un disvalore o un problema, ma un’occasione per realizzare la propria vocazione alla comunione. La comunione non si regge sulla gratificazione, ma sul dono reciproco possibile nella misura in cui si rinuncia alla propria volontà di potenza, all’autoreferenzialità e volontariamente ci si rende «mancante» per unirsi all’altro. Secondo il comando di Dio l’uomo deve lasciare il padre e la madre non per ripudiarli ma per creare quel vuoto necessario nel quale far nascere una nuova vita. Separarsi dai genitori non significa liberarsi di loro ma diventare più liberi per donarsi. Il ripudio va nella direzione opposta al senso della maturità della libertà.

Questa verità è possibile capirla e viverla solo se si segue Gesù fino alla fine, fino alla croce, lì dove Lui si è fatto «eunuco per il regno dei cieli». La rinuncia al dominio sugli altri diventa volontà di servirli, la tristezza dell’abbandono degli uomini è motivo per abbandonarsi nelle mani di Dio, il rifiuto dei fratelli si trasforma in scelta di amarli fino alla fine.

Signore Gesù, che ti sei svuotato della tua gloria e ti sei spogliato della tua potenza per immergerti nella nostra umanità fragile e limitata, insegnami a rinunciare all’orgoglio dell’autosufficienza per investire tutte le forze sull’amore, quello capace di resistere agli urti dell’umana debolezza. Guidami Tu nelle mie scelte di vita perché non siano ispirate al principio della ricerca egoistica del piacere o della convenienza ma siano suggerite dalla voce dello Spirito che indica nella comunione il compimento della vocazione universale alla santità.