Il ministero dell’accoglienza – Sabato della XIX settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

Il ministero dell’accoglienza – Sabato della XIX settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

10 Agosto 2024 0 Di Pasquale Giordano

Sabato della XIX settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

Ez 18,1-10.13.30-32   Sal 50

Dio onnipotente ed eterno,

guidati dallo Spirito Santo,

osiamo invocarti con il nome di Padre:

fa’ crescere nei nostri cuori lo spirito di figli adottivi,

perché possiamo entrare nell’eredità che ci hai promesso.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,

e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.


Dal libro del profeta Ezechièle Ez 18,1-10.13.30-32

Io giudicherò ognuno di voi secondo la sua condotta.

Mi fu rivolta questa parola del Signore:

«Perché andate ripetendo questo proverbio sulla terra d’Israele:

“I padri hanno mangiato uva acerba

e i denti dei figli si sono allegati”?

Com’è vero che io vivo, oracolo del Signore Dio, voi non ripeterete più questo proverbio in Israele. Ecco, tutte le vite sono mie: la vita del padre e quella del figlio è mia; chi pecca morirà.

Se uno è giusto e osserva il diritto e la giustizia, se non mangia sui monti e non alza gli occhi agli idoli della casa d’Israele, se non disonora la moglie del suo prossimo e non si accosta a una donna durante il suo stato d’impurità, se non opprime alcuno, restituisce il pegno al debitore, non commette rapina, divide il pane con l’affamato e copre di vesti chi è nudo, se non presta a usura e non esige interesse, desiste dall’iniquità e pronuncia retto giudizio fra un uomo e un altro, se segue le mie leggi e osserva le mie norme agendo con fedeltà, egli è giusto ed egli vivrà, oracolo del Signore Dio.

Ma se uno ha generato un figlio violento e sanguinario che commette azioni inique, questo figlio non vivrà; poiché ha commesso azioni abominevoli, costui morirà e dovrà a se stesso la propria morte.

Perciò io giudicherò ognuno di voi secondo la sua condotta, o casa d’Israele. Oracolo del Signore Dio.

Convertitevi e desistete da tutte le vostre iniquità, e l’iniquità non sarà più causa della vostra rovina. Liberatevi da tutte le iniquità commesse e formatevi un cuore nuovo e uno spirito nuovo. Perché volete morire, o casa d’Israele? Io non godo della morte di chi muore. Oracolo del Signore Dio. Convertitevi e vivrete».

Responsabilità personale

Questo è uno dei capitoli più importanti del libro. Dopo la catastrofe definitiva di Gerusalemme gli esiliati sono estremamente demoralizzati. La teologia tradizionale alimenta l’amarezza e la rassegnazione che sfocia nella mormorazione contro Dio e il suo modo di amministrare la giustizia. I crimini che si sono moltiplicati nel tempo hanno saturato la pazienza di Dio al punto che la sua misericordia si è mutata in collera. In base a questa tesi Dio ha tenuto conto solamente dei peccati e non della giustizia di uomini illustri come Giosìa ed Ezechìa. Un diffuso sentimento di vittimismo pervade il popolo degli esiliati che, vedendosi privati persino del tempio e della possibilità di ricevere il perdono mediante i sacrifici, non credono più nell’efficacia  della preghiera e rinunciano rassegnati ad ogni forma di relazione con Dio. Si considerano morti agli occhi di Dio e nel loro cuore avvertono il suo vuoto.

Il profeta ripete il ritornello di coloro che non credono più in Dio che l’esprimono attraverso un atteggiamento indispettito e fatalistico. Ezechiele si fa portavoce nel messaggio di Dio agli esiliati quale segno della sua presenza in mezzo al suo popolo. È un vangelo perché annuncia la speranza di un nuovo tempo per una relazione rinnovata: una nuova alleanza (creazione).

Insieme alla responsabilità collettiva, che lega in solidarietà nel bene e nel male tutti i membri della comunità di tutte le generazioni, Dio annuncia anche la responsabilità personale nel proprio destino di vita o di morte. Dunque, proprio quella situazione critica e difficile da decifrare chiama in causa la responsabilità personale affinché la vita, quale dono di Dio, non sia data banalmente per scontata ma sia anche il frutto della ricerca della vera giustizia secondo la volontà di Dio.

Sin dalle origini Dio si è presentato come «un Dio geloso che punisce fino alla terza e alla quarta generazione ma che è anche eternamente misericordioso (cf. Dt 5, 9-10). L’esilio ha provato la verità della prima parte, che, cioè, il male ha delle conseguenze storiche anche di lungo periodo; Ezechiele aggiunge che dallo stesso esilio si verrà fuori, come fu dalla terra d’Egitto, per un nuovo inizio, una nuova creazione, una nuova chiamata per cominciare a formare la nuova comunità d’Israele.  

L’elenco selezionato dei precetti definisce l’uomo giusto al quale è accordata l’entrata nel tempio. Pensiamo ai salmi delle ascensioni che ritmavano l’ultima tappa del cammino verso la Città santa e accompagnavano l’ingresso nel tempio (cf. Sal 15; 24). L’accento non è posto sul giudizio di condanna, che pure viene comminata nei confronti chi di confida in sé stesso, ma sulla salvezza che si realizza nell’intreccio tra la grazia di Dio, amore eterno e incondizionato, e la responsabilità individuale di chi è chiamato ad appartenere a Dio, non con le parole, ma i fatti. Ezechiele ama la casistica e incarnare nel tessuto umano la parola di Dio. Ezechiele smonta il ragionamento degli esiliati e corregge la teologia tradizionale restituendo dignità e speranza soprattutto a chi si sente condannato ingiustamente da Dio. L’assoluzione è il reintegro nella comunità dei fedeli che in qualsiasi condizione di vita si trovino mantengono la relazione con Dio, rispettano l’alleanza attuando i comandamenti. Il nuovo inizio non è in un lontano futuro da attendere ma è realtà che si manifesta contestualmente alla fedeltà a Dio e agli uomini. Giusto, dunque, non è colui che non pecca, ma è quella persona che riconosce la sua fragilità, comune a tutti, e contestualmente, animato dalla speranza dell’amore di Dio, opera la giustizia anticipando nel presente la salvezza finale.

La novità è il rinnovamento interiore che è opera di Dio e dell’uomo: colui che è docile alla grazia di Dio, mediante l’obbedienza alla sua volontà, si rende plasmabile dalla grazia. La giustizia umana, che nasce da quella divina per la quale Dio accoglie i suoi figli, non può che essere inclusiva e aperta ad ospitare ogni uomo.

+ Dal Vangelo secondo Matteo Mt 19,13-15

Non impedite che i bambini vengano a me; a chi è come loro, infatti, appartiene il regno dei cieli.

In quel tempo, furono portati a Gesù dei bambini perché imponesse loro le mani e pregasse; ma i discepoli li rimproverarono.

Gesù però disse: «Lasciateli, non impedite che i bambini vengano a me; a chi è come loro, infatti, appartiene il regno dei cieli».

E, dopo avere imposto loro le mani, andò via di là.

Il ministero dell’accoglienza

Nella società contemporanea a Gesù quella dei bambini era una categoria di persone poco considerata perché poco produttiva. Potremmo pensare che anche gli anziani lo siano ma erano rispettati perché depositari della saggezza. Solo un genitore ha attenzione per i propri figli perché l’amore suggerisce sentimenti di tenerezza. Ecco perché alcuni genitori portavano i loro figli da Gesù perché li benedicesse imponendo loro le mani. Questo suscita lo sdegno dei discepoli che, dimenticando la premura che essi hanno avuto per i loro bambini, assumono un atteggiamento respingente, guadagnandosi così un solenne rimprovero.

Con quanta facilità distinguiamo le persone e respingiamo quelle che ci risultano moleste. A volte il nostro comportamento selettivo allontana la gente da Gesù e dalla Chiesa. La comunità dei credenti non cresce se ci sono tante proposte e iniziative, ma se ci si accoglie reciprocamente con gentilezza.

Quello che dovrebbe contrassegnare i cristiani è il tatto e la delicatezza con cui si approcciano le persone. Fa molto di più un sorriso accogliente, una disponibilità familiare che tante liturgie ben preparate o catechesi organizzate nei particolari.

Non basta possedere conoscenze teologiche ed essere preparati dal punto di vista dei contenuti, ma bisogna sviluppare sempre di più la capacità ad entrare in empatia con le persone per comunicare loro l’amore fraterno con gesti di accoglienza fraterna prima ancora che con discorsi e lezioni.

Quando presumiamo d’insegnare agli altri il modo con il quale stare al mondo dimentichiamo che noi stessi l’abbiamo imparato perché qualcuno si è preso cura di noi e ci ha accolti. I bambini c’insegnano lo stile dello stare alla presenza di Dio, con fiducia e aperti allo stupore desiderosi di ricevere qualcosa in dono.

©In Color Studios

Signore Gesù, abbracciami e benedicimi quando con spontanea confidenza mi abbandono a Te e cerco il calore del conforto. Aiutami a non ragionare secondo meschini calcoli utilitaristici che mi inducono a indebite selezioni e ad ingiuste distinzioni. Donami un cuore aperto, libero e genuino come quello di un bambino desideroso di scoprire nuove cose ed essere amico di tutti. Liberami dall’avidità che confonde le persone con oggetti di cui servirsene, fammi mediatore della tua tenerezza e rendimi dispensatore della tua benedizione.