La voce insopprimibile della coscienza – Sabato della XVII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

La voce insopprimibile della coscienza – Sabato della XVII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

28 Luglio 2024 0 Di Pasquale Giordano

Sabato della XVII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

Ger 26,11-16.24   Sal 68  

O Dio, nostra forza e nostra speranza,

senza di te nulla esiste di valido e di santo;

effondi su di noi la tua misericordia

perché, da te sorretti e guidati,

usiamo saggiamente dei beni terreni

nella continua ricerca dei beni eterni.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,

e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.


Dal libro del profeta Geremìa Ger 26,11-16.24

Il Signore mi ha veramente inviato a voi per dire ai vostri orecchi tutte queste parole.

In quei giorni, i sacerdoti e i profeti dissero ai capi e a tutto il popolo: «Una condanna a morte merita quest’uomo, perché ha profetizzato contro questa città, come avete udito con i vostri orecchi!».

Ma Geremìa rispose a tutti i capi e a tutto il popolo: «Il Signore mi ha mandato a profetizzare contro questo tempio e contro questa città le cose che avete ascoltato. Migliorate dunque la vostra condotta e le vostre azioni e ascoltate la voce del Signore, vostro Dio, e il Signore si pentirà del male che ha annunciato contro di voi. Quanto a me, eccomi in mano vostra, fate di me come vi sembra bene e giusto; ma sappiate bene che, se voi mi ucciderete, sarete responsabili del sangue innocente, voi e tutti gli abitanti di questa città, perché il Signore mi ha veramente inviato a voi per dire ai vostri orecchi tutte queste parole».

I capi e tutto il popolo dissero ai sacerdoti e ai profeti: «Non ci deve essere condanna a morte per quest’uomo, perché ci ha parlato nel nome del Signore, nostro Dio». La mano di Achikàm, figlio di Safan, fu a favore di Geremìa, perché non lo consegnassero al popolo per metterlo a morte.

La salvezza è nella mani di Dio

Continua l’analogia con il processo a Gesù. Anche per Geremia si celebra il processo civile davanti alle autorità politiche dopo quello promosso da quelle religiose. I sacerdoti e i profeti accusano Geremia e il popolo funge da giuria. L’imputato si difende dalle accuse ribadendo il messaggio di Dio che esorta alla conversione, ovvero a tornare al Signore con umiltà, fiducia e obbedienza. Il cambiamento è la chiave di lettura dell’oracolo che può essere di salvezza o di condanna a seconda dell’accoglienza o del rifiuto della parola profetica. Disprezzare il profeta, fino ad ucciderlo, comporta la scelta di rigettare Dio e, dunque, autocondannarsi alla morte. Al contrario, accogliere il profeta e la sua parola, vuol dire convertirsi per tornare a Dio, aprendo la strada sulla quale Dio viene a salvare il suo popolo. Ciò che convince le autorità civili sulla buona fede di Geremia e sull’autenticità del suo oracolo è il fatto che il profeta non cerca di difendere sé stesso ma riconosce il primato a Dio e alla vita del popolo. Il suo discorso non è di parte ma nasce veramente da un cuore che ama gratuitamente. Geremia si propone di accompagnare il suo popolo nel cammino della salvezza che passa dalla morte per giungere alla vita eterna.

Geremia è come un agnello mansueto consapevole del rischio della vita. Davanti alla minaccia della morte egli avrebbe potuto abbandonare Dio e il popolo per salvarsi e invece si consegna totalmente a Dio e ai fratelli con mitezza e serenità. Ecco il potere del profeta: non quello che si esercita con la minaccia e la coercizione, ma con la forza della mitezza.

+ Dal Vangelo secondo Matteo Mt 14,1-12

Erode mandò a decapitare Giovanni e i suoi discepoli andarono a informare Gesù.

In quel tempo al tetrarca Erode giunse notizia della fama di Gesù. Egli disse ai suoi cortigiani: «Costui è Giovanni il Battista. È risorto dai morti e per questo ha il potere di fare prodigi!».

Erode infatti aveva arrestato Giovanni e lo aveva fatto incatenare e gettare in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo. Giovanni infatti gli diceva: «Non ti è lecito tenerla con te!». Erode, benché volesse farlo morire, ebbe paura della folla perché lo considerava un profeta.

Quando fu il compleanno di Erode, la figlia di Erodìade danzò in pubblico e piacque tanto a Erode che egli le promise con giuramento di darle quello che avesse chiesto. Ella, istigata da sua madre, disse: «Dammi qui, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista».

Il re si rattristò, ma a motivo del giuramento e dei commensali ordinò che le venisse data e mandò a decapitare Giovanni nella prigione. La sua testa venne portata su un vassoio, fu data alla fanciulla e lei la portò a sua madre.

I suoi discepoli si presentarono a prendere il cadavere, lo seppellirono e andarono a informare Gesù.

La voce insopprimibile della coscienza

Erode sembra dare una risposta alla domanda che si ponevano i compaesani di Gesù: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi?». Per il re, che sente parlare del Nazareno, egli è «Giovanni Battista risorto». Il suo è evidentemente il ragionamento di una mente malata e abitata dalla paura. Al peccato di adulterio, di cui lo accusava il Battista, egli aveva aggiunto anche quello del suo omicidio. Possiamo fare tutti i giochi di equilibrismo diplomatici che volgiamo per cadere in piedi nelle situazioni, ma non possiamo sfuggire alla nostra coscienza che, prima o poi, ci presenta il conto e si ribella. Un uomo non è mai veramente libero se mortifica la voce della sua coscienza. Potremmo trovare il modo, di solito sempre con la violenza, di zittire le voci scomode, ma mai riusciremo a silenziare la coscienza, la quale alla fine grida più forte di una folla inferocita. Erode agiva per calcolo di convenienza. Pur volendo far morire Giovanni non lo uccideva per timore della folla e nonostante gli servisse più da vivo che da morto cede al ricatto della figlia di Erodiade. Come la verità, anche la malvagità trova la sua strada per imporsi e non la si combatte solamente salvaguardando l’apparenza e salvando la faccia perché arriva il momento nel quale dobbiamo arrenderci all’evidenza. La parola di Dio ci viene offerta come occasione per allenare la nostra coscienza a istruirci sul modo con il quale affrontare le crisi, in particolare quelle che agitano il nostro cuore.

Signore Gesù, Tu sei la Parola di Dio che risuona nella mia coscienza come suono di tromba che avverte del pericolo e come voce di amico che mi sostiene nel cammino. Donami l’intelligenza nel saper riconoscere nel rimprovero non un’accusa che minaccia, ma una luce che mi rende consapevole del peccato e della possibilità di convertirmi. Insegnami a non valutare la vita in base al calcolo d’interesse personale ma ad ascoltare ciò che ognuno dice a me cogliendo nelle sue parole, anche se scomode e dure, un’indicazione preziosa per correggere il mio passo e dirigerlo verso la felicità.