Cont-atto di fede – Lunedì della XIV settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)

Cont-atto di fede – Lunedì della XIV settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)

6 Luglio 2024 0 Di Pasquale Giordano

Lunedì della XIV settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)

Os 2,16-18.21-22   Sal 144   Mt 9,18-26: Mia figlia è morta proprio ora; ma vieni ed ella vivrà.

O Padre, che nell’umiliazione del tuo Figlio

hai risollevato l’umanità dalla sua caduta,

dona ai tuoi fedeli una gioia santa,

perché, liberati dalla schiavitù del peccato,

godano della felicità eterna.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,

e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.

Dal libro del profeta Osèa Os 2,16-18.21-22

Ti farò mia sposa per sempre.

Così dice il Signore:

«Ecco, io la sedurrò,

la condurrò nel deserto

e parlerò al suo cuore.

Là mi risponderà

come nei giorni della sua giovinezza,

come quando uscì dal paese d’Egitto.

E avverrà, in quel giorno

– oracolo del Signore –

mi chiamerai: “Marito mio”,

e non mi chiamerai più: “Baal, mio padrone”.

Ti farò mia sposa per sempre,

ti farò mia sposa

nella giustizia e nel diritto,

nell’amore e nella benevolenza,

ti farò mia sposa nella fedeltà

e tu conoscerai il Signore».

Dalla giustizia retributiva a quella oblativa

Il libro degli oracoli del profeta Osea si apre con la sua drammatica vicenda matrimoniale. La vita stessa del profeta rivela il mistero del disegno di Dio. Osea ha amato e ama ancora una donna che ha risposto al suo amore col tradimento. Similmente il Signore ama Israele, benché sposa infedele. Dunque, il profeta, nella cui parola riecheggia quella di Dio, volendo ristabilire la giustizia chiama in giudizio la sposa affinché, denunciando apertamente le sue colpe, lei possa ammettere le sue responsabilità e chiedere perdono. Tuttavia, il procedimento giuridico attivato dal profeta non sembra sortire effetti positivi considerando la perseveranza nell’adulterio. Stando al racconto, Osea fu invitato da Dio a prendere in moglie Gomer che era già una prostituta. Probabilmente era una sacerdotessa di uno dei templi dedicato a Baal e Astarte che erano gli dei sovrintendenti alla fertilità. Nei versi poetici del libro profetico s’intrecciano il tema della prostituzione e dell’adulterio. Già prima di Osea si qualificava come prostituzione il culto che i cananei rendevano ai loro idoli a motivo delle pratiche di prostituzione sacra che vi erano associate. Israele diventa prostituta quando imita l’idolatria del paese nel quale abita. La novità di Osea sta nell’immagine nuziale alla quale è associata quella dell’adulterio perché il profeta è il primo a rappresentare con il simbolo dell’unione coniugale i rapporti di alleanza tra il Signore e il suo popolo. Per questo motivo la sequela degli altri dei era considerato adulterio e, conseguentemente, motivo di ripudio da parte del Dio/Sposo. Il divorzio, effetto del peccato, avrebbe comportato la spogliazione e la perdita di tutti quei benefici derivanti dal matrimonio. Ma l’ultima parola rimane quella di Dio che non si rassegna al peccato e agisce, non considerando il criterio della giustizia retributiva, ma inaugurando il principio della giustizia oblativa. Dio riprende l’iniziativa in maniera assolutamente gratuita per ristabilire il rapporto nuziale. L’immagine del deserto e della parola detta sul cuore riattualizza l’evento dell’Esodo culminante con l’alleanza al Sinai e l’ingresso nella terra promessa. Dio sposa la sua amata parlando al cuore di Israele, scrivendo la Parola nel suo cuore affinché la fedeltà, la benevolenza, la giustizia e il diritto diventino anche suo patrimonio per sempre. In tal modo, Dio/Sposo educa la sua sposa ad un amore responsabile e fedele perché fondato su una conoscenza interiore più profonda e coinvolgente.

+ Dal Vangelo secondo Matteo Mt 9,18-26

Mia figlia è morta proprio ora; ma vieni ed ella vivrà.

In quel tempo, [mentre Gesù parlava,] giunse uno dei capi, gli si prostrò dinanzi e disse: «Mia figlia è morta proprio ora; ma vieni, imponi la tua mano su di lei ed ella vivrà». Gesù si alzò e lo seguì con i suoi discepoli.

Ed ecco, una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni, gli si avvicinò alle spalle e toccò il lembo del suo mantello. Diceva infatti tra sé: «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò salvata». Gesù si voltò, la vide e disse: «Coraggio, figlia, la tua fede ti ha salvata». E da quell’istante la donna fu salvata.

Arrivato poi nella casa del capo e veduti i flautisti e la folla in agitazione, Gesù disse: «Andate via! La fanciulla infatti non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma dopo che la folla fu cacciata via, egli entrò, le prese la mano e la fanciulla si alzò. E questa notizia si diffuse in tutta quella regione.

Cont-atto di fede

La certezza che il contatto con Gesù possa essere il rimedio alla morte e l’unico modo per essere salvati accomuna la fede del papà, la cui figlia è appena morta, e della donna affetta da una malattia che la condannava all’esclusione sociale. Gesù, con il suo atteggiamento di alzarsi per seguire l’uomo a casa sua e di voltarsi per incrociare lo sguardo della donna al fine di rivolgerle la parola che l’avrebbe salvata, riconosce la loro fede e li indica a noi come modelli di credenti. Infatti, sia la fede del padre che, pur essendo uno dei capi della città, si prostra ai piedi di Gesù, sia quella della donna che osa trasgredire alla legge che le imponeva l’isolamento, è la condizione per la quale il loro desiderio possa essere realizzato. Entrambi, pur riconoscendo il loro limiti, non si chiudono nei confini della disperazione e della solitudine, ma osano andare oltre e superarli cercando e ottenendo un incontro diretto con Gesù. La fede che salva non è quella che si identifica con l’adesione ad un sistema di regole morali ma è fondamentalmente ciò che permette di sperimentare la liberazione dai condizionamenti culturali e religiosi che bloccano e separano gli uni dagli altri per vivere una relazione personale e intima con il Signore in modo da recuperare la piena comunione e il senso della familiarità nel rapporto con i fratelli. 

Tutto il racconto è sotto il segno della risurrezione. Il verbo «alzarsi» appare all’inizio quando si dice che «Gesù si alzò e lo seguì con i suoi discepoli» e alla fine allorquando Gesù prende la mano della fanciulla facendola alzare. Prostrandosi, il papà della fanciulla mostra di partecipare alla morte della sua figliola. È un uomo prostrato nella polvere e in quello stato supplica il Signore, il quale si mette in cammino per entrare nella casa dell’afflizione e portare la vita. La fede diventa esperienza di Dio che per fare comunione con l’uomo partecipa al suo dolore, tocca il suo corpo dolorante guarendolo dalla malattia più grave che è la morte. Il contatto è comunicazione attraverso cui Dio prende su di sé la nostra debolezza e ci dona la sua vita.

Signore Gesù, donami la fede umile che ha animato la supplica del papà della fanciulla morta e quella coraggiosa della donna afflitta dalla malattia che, vincendo la paura, ha osato toccare il tuo mantello. Aiutami a cacciare dalla mia mente i pensieri cattivi di giudizio e di lamentela e alimenta nel mio cuore la speranza del cambiamento affinché non rimanga vittima del pessimismo ma sappia ritrovare in Te le motivazioni per continuare con slancio ed entusiasmo il cammino di crescita nella fede e tradurlo in impegno di carità a servizio dei fratelli.