Appartenere all’unico Bene piuttosto che possedere molti beni – Lunedì della XIII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

Appartenere all’unico Bene piuttosto che possedere molti beni – Lunedì della XIII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

30 Giugno 2024 0 Di Pasquale Giordano

Lunedì della XIII settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

Am 2,6-10.13-16   Sal 49 

O Dio, che ci hai reso figli della luce

con il tuo Spirito di adozione,

fa’ che non ricadiamo nelle tenebre dell’errore,

ma restiamo sempre luminosi

nello splendore della verità.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,

e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.

Dal libro del profeta Amos Am 2,6-10.13-16

Calpestano come la polvere della terra la testa dei poveri.

Così dice il Signore:

«Per tre misfatti d’Israele

e per quattro non revocherò il mio decreto di condanna,

perché hanno venduto il giusto per denaro

e il povero per un paio di sandali,

essi che calpestano come la polvere della terra

la testa dei poveri

e fanno deviare il cammino dei miseri,

e padre e figlio vanno dalla stessa ragazza,

profanando così il mio santo nome.

Su vesti prese come pegno si stendono

presso ogni altare

e bevono il vino confiscato come ammenda

nella casa del loro Dio.

Eppure io ho sterminato davanti a loro l’Amorreo,

la cui statura era come quella dei cedri

e la forza come quella della quercia;

ho strappato i suoi frutti in alto

e le sue radici di sotto.

Io vi ho fatto salire dalla terra d’Egitto

e vi ho condotto per quarant’anni nel deserto,

per darvi in possesso la terra dell’Amorreo.

Ecco, vi farò affondare nella terra,

come affonda un carro

quando è tutto carico di covoni.

Allora nemmeno l’uomo agile potrà più fuggire

né l’uomo forte usare la sua forza,

il prode non salverà la sua vita

né l’arciere resisterà,

non si salverà il corridore

né il cavaliere salverà la sua vita.

Il più coraggioso fra i prodi

fuggirà nudo in quel giorno!».

Denuncia dell’ingiustizia e annuncio dei suoi effetti mortiferi

Il libro del profeta Amos si apre con gli oracoli «contro le nazioni» in cui si denunciano i peccati che attirano su di essi la condanna. Il profeta, parlando in nome di Dio, avverte delle conseguenze del peccato il più grave dei quali è la violenza e la prevaricazione. La novità sta nel fatto che ai popoli stranieri vengono associati anche i regni di Giuda e di Israele. Il brano liturgico è il vertice degli oracoli di denuncia e replica la stessa struttura degli oracoli precedenti; alla denuncia dell’ingiustizia che motiva il giudizio segue la sentenza di condanna. Di Israele si stigmatizza l’ipocrisia che nasconde odiosi atteggiamenti di prevaricazione sui poveri dietro una religiosità formale e ritualistica. A differenza degli altri oracoli contro le nazioni, Amos aggiunge il ricordo di ciò che Dio ha fatto per il suo popolo. Questa aggiunta ha la funzione di rafforzare la gravità del peccato d’Israele. Proprio lui, oggetto di una particolare cura di Dio, si macchia di delitti contro l’umanità fragile e indifesa. L’ingiustizia nasce dal dimenticare l’opera di Dio. Il peccato fondamentalmente consiste nel lasciar perdere la grazia di Dio, senza della quale il cuore s’indurisce e genera i più terribili progetti di morte. Il culto gradito a Dio non è quello che si celebra nei pellegrinaggi e nei santuari dove vengono offerti i sacrifici. Senza la Parola che abita nel cuore e lo istruisce sul bene possibile, i piedi che si muovono verso il santuario calpestano la testa dei poveri la cui dignità viene annullata quando si specula su di essi. Il peccato si alimenta con l’orgoglio e corrompe il bene che si è ricevuto trasformandolo in male che ci si auto-infligge. Chi confida in sé stesso, nelle sue ricchezze e potere, sperimenterà che sono i falsi idoli a cui si è asservito a bloccarlo e ad affondarlo nella sua miseria.

+ Dal Vangelo secondo Matteo Mt 8,18-22

Seguimi.

In quel tempo, vedendo la folla attorno a sé, Gesù ordinò di passare all’altra riva.

Allora uno scriba si avvicinò e gli disse: «Maestro, ti seguirò dovunque tu vada». Gli rispose Gesù: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo».

E un altro dei suoi discepoli gli disse: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Ma Gesù gli rispose: «Seguimi, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti».

Appartenere all’unico Bene piuttosto che possedere molti beni

La folla radunata attorno a Gesù testimonia la fama crescente di cui gode. Ma egli non vuole essere ingabbiato nelle attese mondane della gente, fossero anche esponenti delle classi più alte ed istruite della società come lo scriba che si autocandida a divenire suo discepolo. L’invito a passare all’altra riva non significa che Gesù indichi come meta del discepolato una vita migliore o più facile. Per questo motivo Gesù sembra sgombrare il campo da ogni possibile equivoco e parla di sé come colui che non ha garanzie umane da offrire perché lui stesso vive la precarietà. Benchè sia senza fissa dimora e la sua scuola sia la strada, Gesù punta con i suoi discepoli alla stabilità di fede che si traduce in maturità affettiva ed equilibrio spirituale. Radicato nell’amore di Dio, chi segue Gesù da lui impara ad amarlo con tutto sé stesso e il fratello come il suo prossimo. Questa è la riva verso la quale tende il cammino del discepolo. Egli, infatti, non deve legare la riuscita della sua vita al possesso di beni, ma mira a lasciarsi possedere dal Bene, l’unico Bene, il sommo Bene. Seguendo Gesù il discepolo impara non a possedere ma ad appartenere.  Al tale che vorrebbe temporeggiare nel seguire Gesù il Maestro indica nella sequela l’unico modo per assecondare la vera urgenza: diventare santi. Non si deve rimanere sulle sponde della lamentela, della rassegnazione, del vittimismo, della visione mondana della vita, ma bisogna osare ad andare oltre, cioè puntare alla santità. Per passare all’altra riva è necessario affrontare il mare con tutte le sue incognite, ma con la certezza di non essere soli e nella fiducia che chi ci guida conduce ad un approdo sicuro. Ciò che spinge ad andare oltre non sono prospettive tipicamente mondane. Gesù non promette benessere ma assicura la vita eterna, cioè la bellezza dell’essere amati e la capacità di amare.

Signore Gesù, uomo che hai fatto della strada la tua casa e la tua scuola, donami il coraggio di seguirti senza inutili esitazioni lasciando la riva delle attese e delle pretese umane verso quella della vita nuova, di una mentalità convertita alle esigenze del Vangelo. La tua parola e il tuo esempio di uomo totalmente consegnato alla volontà del Padre mi insegni a non confidare nei beni materiali, sicurezza precaria per chi nella vita cerca punti fermi, ma a lasciarmi conquistare dall’amore di Dio che nulla possiede ma al quale tutto appartiene perché se ne prende cura con tenerezza di madre e premura di padre.