Il risveglio della fede – XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B) – Lectio divina

Il risveglio della fede – XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B) – Lectio divina

29 Giugno 2024 0 Di Pasquale Giordano

XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B) – Lectio divina

Sap 1,13-15; 2,23-24   Sal 29   2Cor 8,7.9.13-15  

O Padre, che nel tuo Figlio povero e crocifisso

ci fai ricchi del dono della tua stessa vita,

rinvigorisci la nostra fede,

perché nell’incontro con lui

sperimentiamo ogni giorno la sua vivificante potenza.

Egli è Dio, e vive e regna con te,

nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.

Dal libro della Sapienza Sap 1,13-15; 2,23-24

Per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo.

Dio non ha creato la morte

e non gode per la rovina dei viventi.

Egli infatti ha creato tutte le cose perché esistano;

le creature del mondo sono portatrici di salvezza,

in esse non c’è veleno di morte,

né il regno dei morti è sulla terra.

La giustizia infatti è immortale.

Sì, Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità,

lo ha fatto immagine della propria natura.

Ma per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo

e ne fanno esperienza coloro che le appartengono.

La speranza dei giusti e la disperazione degli empi

L’autore del Libro della Sapienza espone i principi di base dei sostenitori del «partito della morte» che ispirano gli atteggiamenti degli empi. Essi, che hanno una visione edonistica della vita, hanno un approccio agli altri arrogante, aggressivo e prevaricante, soprattutto verso coloro che non la pensano come loro e agiscono secondo i principi della fede. Gli empi disprezzano i giusti e li perseguitano per metterli alla prova. Essi non sanno che lottano contro Dio che, invece, protegge coloro che confidano in Lui. I giusti nella prova si rifugiano in Dio; rinunciando alla ritorsione, rispondono al male con il bene. In tal modo, chi spera nel Signore affronta le prove della vita con il suo aiuto reagendo secondo la sapienza di Dio. Al contrario, chi dispera e rifiuta l’amore di Dio è vittima della del suo stesso male che lo autodistrugge. Con Dio le prove della vita diventano occasione di purificazione grazie alla quale il bene compiuto è sempre più prezioso e durevole perché gratuito ed espressione veramente dell’amore fedele.  

Salmo responsoriale Sal 29

Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato.

Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato,

non hai permesso ai miei nemici di gioire su di me.

Signore, hai fatto risalire la mia vita dagli inferi,

mi hai fatto rivivere perché non scendessi nella fossa.

Cantate inni al Signore, o suoi fedeli,

della sua santità celebrate il ricordo,

perché la sua collera dura un istante,

la sua bontà per tutta la vita.

Alla sera ospite è il pianto

e al mattino la gioia.

Ascolta, Signore, abbi pietà di me,

Signore, vieni in mio aiuto!

Hai mutato il mio lamento in danza,

Signore, mio Dio, ti renderò grazie per sempre.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi 2Cor 8,7.9.13-15

La vostra abbondanza supplisca all’indigenza dei fratelli poveri.

Fratelli, come siete ricchi in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella conoscenza, in ogni zelo e nella carità che vi abbiamo insegnato, così siate larghi anche in quest’opera generosa.

Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà.

Non si tratta di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza. Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza, come sta scritto: «Colui che raccolse molto non abbondò e colui che raccolse poco non ebbe di meno».

La carità è vincolo di unità

Sullo sfondo di questa pagina c’è la colletta in favore della chiesa di Gerusalemme che più delle altre stava subendo le conseguenze delle persecuzioni. Nelle preoccupazioni di Paolo la colletta rappresenta un posto importante perché vedeva il segno e la garanzia dell’unità tra le Chiese fondate da lui e quelle dei giudeo-cristiani. Nella Macedonia, la prima regione europea ad essere evangelizzata, Paolo stava trovando tante difficoltà a causa delle tribolazioni che condivideva con i cristiani del posto, gente semplice e povera, ma riceveva grande consolazione proprio da quelle comunità in cui l’adesione al vangelo si traduceva in offerta a Dio e dono ai fratelli. L’apostolo non è tanto gratificato dalla generosità dei Macedoni nei suoi confronti ma gioisce nel contemplare i frutti della fede che si traduce in opere di carità. La comunione non è a parole ma è costruita con i fatti. Similmente, Paolo esorta i Corinti, che avevano dimostrato di volergli bene con attestazioni di pentimento per gli errori commessi, a portare a compimento il loro cammino di riconciliazione con lui mediante il segno della colletta per i poveri della Chiesa di Gerusalemme.

La Chiesa di Macedonia è presentata come un modello perché in quella comunità si manifesta il compimento dell’opera di Dio che in Gesù Cristo si è fatto povero per arricchire, ovvero santificare, la sua Chiesa. I Corinti, se veramente vogliono dirsi cristiani, non possono fermarsi alle parole ma imitare Gesù che è morto per farci risorgere con Lui. La risurrezione è la condizione di vita di chi fa di essa un dono ricevuto gratuitamente e gratuitamente dato per edificare la comunione fraterna.

+ Dal Vangelo secondo Marco Mc 5,21-43

Fanciulla, io ti dico: Àlzati!

In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.

Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.

E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».

Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.

Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.

Lectio Divina

Dopo l’insegnamento di Gesù fatto in parabole, nelle quali l’accento è posto sul Regno di Dio, inteso sia come l’agire del Signore sia come quello della comunità che ascolta la Parola e la mette in pratica, la narrazione evangelica prosegue con il racconto della traversata del lago, nella quale Gesù rivela la sua autorità, e tre atti di liberazione. In essi da una parte si rivela la potenza misteriosa del Maestro, attraverso cui agisce la misericordia di Dio, e dall’altra la fede di coloro che entrano in contatto con Gesù e ne sperimentano la sua potenza taumaturgica. I tre racconti seguono immediatamente la traversata del lago di Galilea in cui la piccola comunità dei Dodici aveva vissuto momenti drammatici culminati nell’intervento di Gesù sul vento e sul mare. Ritornata la calma gli apostoli, che avevano giudicato il loro Maestro, vengono rimproverati per la poca fede e la molta paura. Alla domanda che si pongono gli apostoli sull’identità del Nazareno, la cui parola aveva messo a tacere il vento e calmato il mare, risponde il demonio che aveva preso possesso di un uomo. Gesù è chiamato Figlio del Dio altissimo. L’immagine del vento che agita le acque del mare si sovrappone a quella del demonio che sconquassa la vita di una persona rendendola un morto vivente. La parola autorevole di Gesù pone fine al dominio del male e contiene l’azione del maligno, che deve ripiegare su una mandria di porci. Alla parola autorevole di Gesù corrisponde l’obbedienza (forzata!) di ciò sul quale esercita la sua signoria. Tuttavia, c’è una differenza tra il dominio imposto alle forze del male, che mettono a repentaglio la vita dell’uomo, e l’autorità che invece Gesù propone all’uomo. L’atto di parola non solo ristabilisce l’ordine naturale ma anche quello tra le persone, infatti, l’uomo liberato dal demonio è inviato a riallacciare i rapporti con la sua famiglia facendosi testimone della misericordia di Dio che si è rivelata nella sua vita. Il fatto che il primo dei tre racconti di liberazione si svolga in terra pagana vuole significare che il raggio di azione della grazia di Dio valica i confini d’Israele per assumere un valore universale.

Invitato a lasciare il territorio pagano Gesù e gli apostoli ritornano verso casa dove ad attenderli c’è una folla numerosa. Inizia così il racconto di un episodio nel quale s’intrecciano due vicende che hanno come protagoniste altrettante donne, una matura e l’altra poco più che fanciulla, accomunate dalla malattia. Tuttavia, gli interlocutori principali di Gesù sono due adulti: Giairo, capo della sinagoga, uomo conosciuto e integrato nella comunità, e una donna che invece è nell’anonimato e isolata a causa della sua malattia.

Il racconto è diviso in tre scene: nella prima Giairo va incontro a Gesù e lo invita a casa sua per salvare la figlia, nella seconda la donna emorroissa prima progetta e poi tocca le vesti di Gesù per essere salvata, infine, nella terza scena Gesù giunge a casa di Giairo, dove giace a letto la bambina creduta morta, e la risuscita.

Giairo, gettandosi ai piedi di Gesù per supplicarlo, professa la sua fede in Dio che può liberare dalla morte chi si affida a lui. Quel capo della sinagoga crede che la liberazione possa avvenire per contatto grazie alla mediazione di Gesù, il profeta. L’incontro con Gesù non è programmato, eppure appare chiaro come il maestro, che fa la volontà di Dio, è pronto a seguire la sua voce da qualunque parte venga. È la voce della sofferenza degli uomini e delle donne alla quale Gesù non rimane indifferente perché si lascia ferire dal dolore. Mentre si fa pellegrino nella lotta contro il tempo perché possa giungere prima della morte avviene un imprevisto che complica la trama.

Tra la folla che si era radunata attorno a Gesù sulla riva del lago c’era anche una donna che aveva sentito parlare di Gesù. Marco ne fa una descrizione sintetica ma particolareggiata sottolineando la sua condizione di disagio, fisico e sociale. L’incontro con Gesù, come quello con Giairo, avviene sulla strada, quindi in un ambiente pubblico benché il contatto che si instaura non è plateale come la supplica del capo della sinagoga. Quest’ultimo, facendosi intercessore per sua figlia, esprime ad alta voce la sua richiesta e la sua speranza, mentre la donna prega nel silenzio professando la fede col pensiero del cuore. Il desiderio di salvezza spinge la donna a compiere un gesto “estremo”, perché era consapevole di trasgredire la legge della purità, e discreto perché sarebbe dovuto rimanere nell’anonimato per non creare scandalo e mettere in difficoltà Gesù. Sarebbe rimasto tale se egli non si fosse fermato per conoscere il volto di chi l’aveva toccato. Molti si stringono per stare con Gesù ma solo a quella donna viene riconosciuto il merito di essere andata oltre i limiti imposti dalle norme di purità e di averlo «toccato», cioè di avergli lasciato un segno. Ella non vuole impossessarsi di Gesù ma semplicemente fruire della sua potenza taumaturgica perché riconosce in lui un canale di grazia che viene da Dio. Il miracolo non avviene per deliberata scelta di Gesù ma sembra indotto dal ragionamento e dall’agire della donna. Non si apre un varco per farsi notare, ma ua via di comunicazione che la legge, invece, dichiarava impossibile. L’umiltà della donna si coniuga con il coraggio e la speranza che Gesù non è «off-limits», ma nei (propri) limiti. La delicatezza con cui la donna sfiora le vesti di Gesù rivelano la dolcezza della carezza di Dio. Il gesto della donna è profezia della tenerezza con la quale Gesù tocca la mano della bambina per risvegliarla dal sonno della morte e affidarla alle cure amorevoli dei suoi genitori. Quella della donna è una fede che non nasce dal calcolo mentale ma dal cuore ferito e desideroso di vivere e di amare. La donna adulta e sterile, a causa della sua malattia durata 12 anni, viene rigenerata come «figlia». Le parole di Gesù rivelano che Dio, guarendola, l’ha resa «vergine» pronta per essere sposata, fecondata e resa madre.

La terza scena inizia con una cattiva notizia: il tempo è scaduto e la figlioletta di Giairo è morta. Possiamo solo immaginare la disperazione del padre al quale Gesù rivolge l’invito a perseverare nella fede, la stessa che lo aveva spinto a piegare le ginocchia e supplicare il suo intervento. Riprende il cammino verso la casa di Giairo non più seguito dalla folla e neanche da tutti i suoi apostoli, ma solo da tre di essi, gli stessi che assisteranno anche all’evento della trasfigurazione. Gesù è accolto da grida di lamento e pianto segno del lutto, ma egli stigmatizza questo atteggiamento perché la bambina si è solo addormentata. Questo messaggio di speranza, che cozza con l’evidenza dei fatti, provoca derisione in coloro che l’ascoltano. Essi lo deridono perché Gesù mette in discussione la loro “verità”. Come quella dei molti medici che avevano tentato di curare la donna emorroissa, senza riuscirci, anche la sapienza dei «lamentosi» è fallimentare. Con essi non può esserci dialogo; perciò sono tutti cacciati fuori. Gesù varca la soglia della casa che per molti era diventata impura a motivo della morte che era entrata in essa, così come la donna emorroissa veniva considerata e si considerava impura a causa della sua malattia che la abitava. Per il Signore, invece, né la donna né la casa erano impure perché l’emorroissa e Giairo sono mossi dalla fede, dono di Dio. Se c’è la fede c’è un canale di comunicazione aperto con Dio dal quale discende la grazia della vita; questo canale però la paura lo può chiudere. La perdita continua di sangue è una morte lenta che nella bambina sembra abbia completato la sua opera. Il sangue della donna guarita non fluisce più fuori, perdendosi, ma ritorna nel suo canale naturale. Così il peccato è il “perdere” la grazia di Dio, sprecarla, gettarla fuori. La salvezza consiste invece nel ristabilire una relazione di amore circolare, per cui, la vita ricevuto in dono è, per così dire, restituita. Gesù prende con se i genitori della bimba perché essi vedano che non hanno perso la figlioletta e che la sua vita non è stata separata dalla loro ma che egli, rispondendo alla supplica del papà, la salva. Come il grido degli apostoli nella barca sballottata dalla tempesta sveglia il Signore che riporta la pace, così Gesù dialogando con la bambina la restituisce alla vita. Quella della fanciulla non è una risurrezione ma una rianimazione, dal punto di vista fisico, ma anche una rinascita dal punto di vista spirituale. La fede dei genitori, che sperano contro ogni speranza, permette la rinascita di tutta la famiglia, genitori e figlia. Quest’ultima, rialzata da Gesù, cammina, ovvero diviene responsabile della sua condotta di vita che non sarà più determinata dalle attese dei genitori e semplicemente omologata alla tradizione degli uomini, ma sarà proprio un cammino di vita nuova, come quello dell’emorroissa guarita: una vita da salvate, che mettono in circolo l’amore ricevuto. Gesù affida il compito di prendersi cura della bambina dandole da mangiare. La fede, principio attivo della vita nuova in Cristo, va alimentata con la fraternità vissuta nell’ascolto comunitario della Parola, nella condivisione dei beni e nel comune rendimento di grazie a Dio.

Meditatio

Il risveglio della fede

Due donne sono al centro del racconto evangelico, una ragazzina di dodici anni e una donna che da dodici anni soffriva di una malattia debilitante. Le perdite di sangue continue la rendevano inabile e la costringevano ad una forzata condizione di isolamento. Dalle parole di Giairo e dal pensiero della donna emerge un’urgenza: salvare la vita. Il forte desiderio di salvezza motiva gli sforzi e la preghiera dei due adulti. Più che una lotta contro il tempo c’è una lotta contro il male, e in questa lotta Dio è nostro alleato. Lo ricorda la prima lettura, tratta dal Libro della Sapienza. La donna aveva combattuto la sua malattia sperperando inutilmente tutte le sue forze anche economiche senza alcun risultato, anzi peggiorando. Lo stesso accade quando testardamente cerchiamo soluzioni pratiche a problemi che sono innanzitutto di carattere più profondamente spirituale che riguardano il nostro mondo interiore e la qualità delle relazioni. Guarire significa ritornare ad una situazione di sanità pregressa alla malattia, la salvezza invece è un’azione trasformatrice che ci fa diventare altro e meglio rispetto alla condizione precedente. Non è la forza della disperazione ma della fede a indurre Giairo a gettarsi ai piedi di Gesù per supplicarlo di andare a casa sua per guarire la figlioletta morente. È la stessa fede che spinge la donna a varcare la soglia dell’isolamento in cui si era relegata a causa della sua infermità. La fede ci fa osare andare oltre le convenzioni e le regole stabilite dagli uomini. In entrambi i casi non si supera il proprio limite per invadere lo spazio altrui ma si aprono i confini della propria umanità per incontrarsi con l’altro. Il contatto che stabilisce la fede non è un semplice «feeling», ovvero una sintonia, ma avviene una sorta di scambio per cui la forza dell’amore di cui Gesù è ricco supplisce all’indigenza e alla mancanza di vita che caratterizza l’esistenza della donna emorroissa. Tutto questo avviene nel corpo, cioè l’esperienza di salvezza coinvolge ogni dimensione della vita. Il sangue è simbolo della vita e l’emorragia continua indicava una vita che si perdeva piano piano fino ad estinguersi. La forza che esce da Gesù è quella dello Spirito che da una parte interrompe la perdita, dall’altra restituisce alla donna la capacità di essere in relazione con gli altri in un modo nuovo. La donna, guarita nel corpo, è salvata perché la sua fede la porterà ad entrare in contatto con gli altri donando la sua testimonianza, come la invita a fare Gesù chiamandola fuori dall’anonimato.

Dicevamo che a volte la vita sembra essere una lotta contro il tempo ed è quello che avrà pensato anche Giairo. La sosta imprevista e l’annuncio della morte della fanciulla avranno gettato nello sconforto il capo della sinagoga con tutto il corredo di improperi contro la donna guarita, rea di essere stata la causa del ritardo nella corsa con la morte. In verità quella sosta è importante perché la fede non può persistere senza la testimonianza di coloro che hanno visto vincere la morte. La disperazione è l’arma del Nemico dell’uomo. La disperazione si combatte con la Parola di Dio. Solo radicando la speranza nella potenza di Gesù, crocifisso e risorto, si può vedere oltre la morte. Nel caso della donna emorroissa la fede, quale esperienza interiore, assume una rilevanza sociale; al contrario nella vicenda della figlia di Giairo la sua fede, già espressa nella supplica pubblica e nel suo gesto plateale di inginocchiarsi davanti a Gesù, viene, per così dire, portata su un piano più intimo, quello domestico e familiare. Le difficoltà a vivere la fede in famiglia, e in modo familiare, sono messe in evidenza dagli atteggiamenti dalle parole di Gesù che caccia tutti fuori portando con sé solo tre dei suoi apostoli e i genitori della bambina. I familiari e gli amici piangono e urlano davanti alla morte della fanciulla, esprimendo la loro rabbia con la lamentela e le grida sguaiate. Gesù offre un’altra prospettiva alla morte quale momento di passaggio dal sonno al risveglio. La risurrezione della ragazza è l’atto con il quale Gesù non solo ridà la vita alla fanciulla, ma le offre una vita nuova che i genitori devono accogliere dalle mani di Dio e prendersene cura. La fede vissuta in famiglia risana le relazioni tra i suoi membri perché risveglia l’amore che invece viene anestetizzata da una vita concentrata solo sulle cose materiali. La bambina impara a camminare con le sue gambe, ma continua ad aver bisogno di chi l’accompagni e si prenda cura di lei e di tutte le dimensioni della sua esistenza, soprattutto quella dello Spirito. 

Signore Gesù, ricco di amore,

l’abbondanza della tua misericordia

supplisca all’indigenza della nostra speranza.

Ascolta la preghiera che ti rivolgiamo

nel tempo della prova

quando il Nemico insidia la nostra pace

e scuote le fondamenta della nostra vita.

Il tuo Spirito alimenti in noi il desiderio

di essere liberati dal Maligno

non per tornare ad essere come prima

ma per essere salvati

ed essere conformati

alla tua immagine di Uomo,

Figlio di Dio.

Sana le nostre relazioni fraterne

perché non ci chiudiamo in schemi rigidi

che alimentano la diffidenza

e creano solcati invalicabili

nei quali si diventa vittima

della più brutta solitudine.

Risveglia in noi la fede dal torpore

indotto dalle preoccupazioni di questo mondo

che punta più sull’apparenza

che sulla verità e autenticità dei rapporti umani.

La tua mano benedicente,

sanando le ferite del peccato,

ci rialzi dal sonno della morte

per ritrovare l’abbraccio della Chiesa

che ci nutre per la vita con la Parola

e ci sostiene con i Sacramenti. Amen.