Il pericolo di essere credente «ateo» – Sabato della XI settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

Il pericolo di essere credente «ateo» – Sabato della XI settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

19 Giugno 2024 0 Di Pasquale Giordano

Sabato della XI settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)

2Cr 24,17-25   Sal 88  

O Dio, fortezza di chi spera in te,

ascolta benigno le nostre invocazioni,

e poiché nella nostra debolezza nulla possiamo senza il tuo aiuto,

soccorrici sempre con la tua grazia,

perché fedeli ai tuoi comandamenti

possiamo piacerti nelle intenzioni e nelle opere.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,

e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.


Dal secondo libro delle Cronache 2Cr 24,17-25

Avete ucciso Zaccarìa tra il santuario e l’altare.

Dopo la morte di Ioiadà, i comandanti di Giuda andarono a prostrarsi davanti al re, che allora diede loro ascolto. Costoro trascurarono il tempio del Signore, Dio dei loro padri, per venerare i pali sacri e gli idoli. Per questa loro colpa l’ira di Dio fu su Giuda e su Gerusalemme. Il Signore mandò loro profeti perché li facessero ritornare a lui. Questi testimoniavano contro di loro, ma non furono ascoltati.

Allora lo spirito di Dio investì Zaccarìa, figlio del sacerdote Ioiadà, che si alzò in mezzo al popolo e disse: «Dice Dio: “Perché trasgredite i comandi del Signore? Per questo non avete successo; poiché avete abbandonato il Signore, anch’egli vi abbandona”». Ma congiurarono contro di lui e per ordine del re lo lapidarono nel cortile del tempio del Signore. Il re Ioas non si ricordò del favore fattogli da Ioiadà, padre di Zaccarìa, ma ne uccise il figlio, che morendo disse: «Il Signore veda e ne chieda conto!».

All’inizio dell’anno successivo salì contro Ioas l’esercito degli Aramei. Essi vennero in Giuda e a Gerusalemme, sterminarono fra il popolo tutti i comandanti e inviarono l’intero bottino al re di Damasco. L’esercito degli Aramei era venuto con pochi uomini, ma il Signore mise nelle loro mani un grande esercito, perché essi avevano abbandonato il Signore, Dio dei loro padri. Essi fecero giustizia di Ioas. Quando furono partiti, lasciandolo gravemente malato, i suoi ministri ordirono una congiura contro di lui, perché aveva versato il sangue del figlio del sacerdote Ioiadà, e lo uccisero nel suo letto. Così egli morì e lo seppellirono nella Città di Davide, ma non nei sepolcri dei re.

Il martirio del profeta

Quando si dimentica la grazia di Dio la riconoscenza si trasforma in aggressività e l’umiltà in orgoglio omicida. Ioas non ha contendenti e questo gli fa credere di essere padrone assoluto. In realtà, accecato dal potere, non si accorge di esserne diventato schiavo. Quando si eleva la voce critica del profeta Zaccaria, il re si indispettisce perché non tollera contraddizioni. Zaccaria, come suo padre Ioiadà, è un uomo libero perché agisce non per un interesse personale che lo induce ad assecondare il re, ma su mandato di Dio. Il profeta non può non parlare anche se pronuncia parole scomode e pericolose per la sua vita. Ioas ha dimenticato quello che Ioiadà aveva fatto per lui. Egli aveva agito su ispirazione di Dio. Dimenticando il suo servo il re volta le spalle a Dio. Venendo meno il timore di Dio si abbassano tutti i freni inibitori per cui si profana persino il tempio macchiato dal sangue innocente del profeta. Il martirio di Zaccaria è profezia di quello di Cristo, agnello senza macchia il cui sangue non solo viene sparso dalla croce ma grazie a quel sacrificio l’uomo viene redento e la volontà di Dio, che è sempre parola di vita, si compie una volta per tutte.

+ Dal Vangelo secondo Matteo Mt 6,24-34

Non preoccupatevi del domani.

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:

«Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza.

Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?

Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita?

E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede?

Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno.

Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta.

Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena».

Il pericolo di essere credente «ateo»

Arrivano momenti in cui bisogna fare delle scelte e il compromesso non è tra le possibilità perché significa rimanere in quella zona di neutralità simile alla disgustosa tiepidezza stigmatizzata dal libro dell’Apocalisse («non sei né freddo né caldo, siccome sei tiepido, cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca»). C’è una sottile forma d’ipocrisia che si manifesta nell’adattarsi come i camaleonti alle situazioni senza avere una propria personalità. Se si agisce per convenienza a partire da ciò che piace saremo, a seconda delle situazioni, tutto e il contrario di tutto. C’è chi pretende di poter fare tutto e di esserci in ogni situazione per rendere culto al proprio io, anche se lo chiama servizio. Quando ci si trova a dover decidere se fare una scelta che denota l’appartenenza a Dio e alla Comunità o quella che realizza qualcosa di piacevole e gratificante, si sceglie la seconda se non c’è alle spalle un vero cammino di fede. Non si possono infatti servire contemporaneamente due padroni, Dio e l’«io». Se si ama Dio, sacrificando il proprio io facendone un dono al Cielo, si arriva ad amarsi veramente; al contrario se ci si illude di servire Dio incensando il proprio «io», si arriverà al conflitto d’interesse. Come ci accorgiamo di idolatrare il nostro «io»? Quando ci preoccupiamo della vita come se Dio non ci fosse o come se l’amicizia con Lui non fosse gratificante. Gesù ci invita a non affannarci a rincorrere le lucciole dell’ambizione personale, a riporre sicurezze in qualcosa di fragile, a ricercare la gioia in ciò che crea solo dipendenza. Abbiamo già ciò che ci è necessario per vivere perché ci viene donato, tuttavia il lavoro che ci spetta non è quello di creare dal nulla le cose, ma di coltivare e prenderci cura di quello che Dio stesso ci offre. Preoccupiamoci non delle cose, ma delle persone con le quali entriamo in relazione, sono esse infatti il dono più bello che la vita può offrirci.

Signore Gesù, tu che hai offerto il tuo cuore indiviso al Padre per la vita di tutti noi, tuoi fratelli, donami lo sguardo sereno e fiducioso di chi, come Te, è libero dall’ansia dietro cui si nasconde il pericolo dell’ateismo pratico e del culto al proprio «io». Insegnami a mettermi al servizio del regno di Dio piuttosto che servirmi delle persone e delle cose per la soddisfazione del mio egoismo. Donami il gusto della gratitudine che riconosce già ora nei piccoli semi immersi nella vita quotidiana il frutto della gioia, festa della comunione dei Santi.