La preghiera è l’anima in cammino verso Dio – Mercoledì della XXVII settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)

La preghiera è l’anima in cammino verso Dio – Mercoledì della XXVII settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)

8 Ottobre 2023 0 Di Pasquale Giordano

Mercoledì della XXVII settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)

Gio 4,1-11   Sal 85  

Dio onnipotente ed eterno,

che esaudisci le preghiere del tuo popolo

oltre ogni desiderio e ogni merito,

effondi su di noi la tua misericordia:

perdona ciò che la coscienza teme

e aggiungi ciò che la preghiera non osa sperare.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,

e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.


Dal libro del profeta Giona Gio 4,1-11

Tu hai pietà per una pianta di ricino, e io non dovrei avere pietà di Nìnive, la grande città?

Giona provò grande dispiacere e fu sdegnato. Pregò il Signore: «Signore, non era forse questo che dicevo quand’ero nel mio paese? Per questo motivo mi affrettai a fuggire a Tarsis; perché so che tu sei un Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore e che ti ravvedi riguardo al male minacciato. Or dunque, Signore, toglimi la vita, perché meglio è per me morire che vivere!». Ma il Signore gli rispose: «Ti sembra giusto essere sdegnato così?».

Giona allora uscì dalla città e sostò a oriente di essa. Si fece lì una capanna e vi si sedette dentro, all’ombra, in attesa di vedere ciò che sarebbe avvenuto nella città. Allora il Signore Dio fece crescere una pianta di ricino al di sopra di Giona, per fare ombra sulla sua testa e liberarlo dal suo male. Giona provò una grande gioia per quel ricino.

Ma il giorno dopo, allo spuntare dell’alba, Dio mandò un verme a rodere la pianta e questa si seccò. Quando il sole si fu alzato, Dio fece soffiare un vento d’oriente, afoso. Il sole colpì la testa di Giona, che si sentì venire meno e chiese di morire, dicendo: «Meglio per me morire che vivere».

Dio disse a Giona: «Ti sembra giusto essere così sdegnato per questa pianta di ricino?». Egli rispose: «Sì, è giusto; ne sono sdegnato da morire!». Ma il Signore gli rispose: «Tu hai pietà per quella pianta di ricino per cui non hai fatto nessuna fatica e che tu non hai fatto spuntare, che in una notte è cresciuta e in una notte è perita! E io non dovrei avere pietà di Nìnive, quella grande città, nella quale vi sono più di centoventimila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra, e una grande quantità di animali?».

La forte debolezza della misericordia

L’obbedienza di Giona ha giovato agli abitanti di Ninive ma non al profeta che, invece, avverte una viscerale avversione nei confronti di Dio del quale disapprova il suo modo di fare e i suoi sentimenti. Per lui Dio è un debole che cede davanti all’uomo peccatore. La fuga verso Tarsis era un modo per dire che la disobbedienza nasceva dal dissociarsi totalmente dal modo di fare di Dio. Giona si rifugia nelle sue strutture mentali che fanno di lui uno spettatore passivo degli eventi. L’esperienza del ricino mette in evidenza che lo sdegno non nasce tanto dall’ingiustizia oggettiva che non trova la giusta soluzione, quanto piuttosto dal fatto che la sua prospettiva è illuminata da sentimenti utilitaristici e spersonalizzanti. Giona confonde la giustizia con il legalismo e la misericordia con il relativismo. Dio è giusto perché vuole che il peccatore viva e non soltanto che paghi il prezzo della sua colpa; è assetato di umanità e il suo refrigerio consiste nella comunione fraterna.

+ Dal Vangelo secondo Luca Lc 11,1-4

Signore, insegnaci a pregare.

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli».

Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:

Padre,

sia santificato il tuo nome,

venga il tuo regno;

dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,

e perdona a noi i nostri peccati,

anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore,

e non abbandonarci alla tentazione».

La preghiera è l’anima in cammino verso Dio

La preghiera è la soglia di accesso al cuore di Dio ma è anche il ponte attraverso il quale Lo Spirito Santo ci raggiunge e, abitando in noi, rende il nostro corpo suo Tempio. Pregare con le parole di Gesù significa entrare nella stessa relazione d’amore che lo lega al Padre come Figlio. Mediante quelle parole lo Spirito parla in noi come uno strumento musicale a fiato che emette il suono quando è attraversato dal soffio della bocca. Gesù non insegna una preghiera ma ci unisce alla sua perché divenga vera liturgia, azione di Cristo e della Chiesa insieme. Con Lui apprendiamo l’arte della comunicazione nella quale il soliloquio egocentrico lascia spazio al dialogo, il tu non è il destinatario del giudizio, ma del riconoscimento e in cui il soggetto non è l’io dell’individuo ma il noi della comunità. Imparare a pregare con Gesù significa imparare a vivere con gioia perché la preghiera dà alla nostra vita la forma del dono per gli altri. Chiamare Dio col nome di Padre significa rinunciare a ogni stratagemma per ingraziarsi il Signore perché si è animati dalla fede che Lui ci ama per primo.

Dire Padre significa riconoscere di essere amati dall’origine, anzi che la preghiera è risposta al suo amore originario e originante. Se non ci avesse amati da padre non potremmo pregarlo da figli. La prima parola è un’invocazione come quella di un bambino che chiama il proprio genitore per chiedere aiuto, per attirare l’attenzione, per trovare un punto d’appoggio sicuro. Invocare il nome di Dio è cosa diversa di evocarne la presenza come fosse uno strumento da possedere. La preghiera è l’anima in cammino, è una forma di esodo da sé verso il tu di Dio in cui trovare ascolto, accoglienza, comprensione, benevolenza e tenerezza, tutte cose che il nostro cuore desidera. Pregando si lancia un ponte verso Dio e si apre la strada attraverso la quale si compie un cammino di graduale adesione di fede alla sua volontà. Nella preghiera apriamo il cuore per accogliere con fiducia e gratitudine il dono dello Spirito Santo grazie al quale possiamo avere la forza di amare come siamo amati da Dio. Coscienti di non poterci salvare con le nostre forze supplichiamo il Signore di non cedere alle tentazioni del maligno. La preghiera edifica la famiglia che non mette semplicemente insieme i singoli individui ma persone che pregando insieme imparano ad amarsi e a rispettarsi reciprocamente.

Signore Gesù, Tu che ti immergi nella preghiera come un bambino si affida alle braccia sicure della propria madre, alimenta in me i sentimenti filiali nei confronti di Dio e insegnami a pregare avendo il cuore rivolto verso di Lui. Aiutami a conformare la mia volontà a quella di Dio, a rendere visibile la luce della sua santità mediante la benedizione del Vangelo offerto ai miei fratelli per edificare insieme il tuo Regno di giustizia e pace. Uniscimi alla tua preghiera perché dall’altare della chiesa, della mensa familiare, del letto del dolore, di ogni zolla di terra, della scrivania di un ufficio, del macchinario con il quale lavora l’operaio, insieme alla tua salga l’offerta del sacrificio col quale eleviamo al Padre le gioie e le fatiche di ogni giorno. Scenda la tua benedizione, Signore, e diventi nutrimento per l’anima, perdono che riconcilia i fratelli, giustizia che riscatta da ogni forma di schiavitù.