La missione del cristiano, umanizzare il mondo – Venerdì della XIV settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)

La missione del cristiano, umanizzare il mondo – Venerdì della XIV settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)

13 Luglio 2023 0 Di Pasquale Giordano

Venerdì della XIV settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)

Gen 46,1-7.28-30   Sal 36  

O Padre, che nell’umiliazione del tuo Figlio

hai risollevato l’umanità dalla sua caduta,

dona ai tuoi fedeli una gioia santa,

perché, liberati dalla schiavitù del peccato,

godano della felicità eterna.

Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,

e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.


Dal libro della Gènesi (Gen 46,1-7.28-30)

Posso anche morire, dopo aver visto la tua faccia.

In quei giorni, Israele levò le tende con quanto possedeva e arrivò a Bersabea, dove offrì sacrifici al Dio di suo padre Isacco.

Dio disse a Israele in una visione nella notte: «Giacobbe, Giacobbe!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Io sono Dio, il Dio di tuo padre. Non temere di scendere in Egitto, perché laggiù io farò di te una grande nazione. Io scenderò con te in Egitto e io certo ti farò tornare. Giuseppe ti chiuderà gli occhi con le sue mani».

Giacobbe partì da Bersabea e i figli d’Israele fecero salire il loro padre Giacobbe, i loro bambini e le loro donne sui carri che il faraone aveva mandato per trasportarlo. Presero il loro bestiame e tutti i beni che avevano acquistato nella terra di Canaan e vennero in Egitto, Giacobbe e con lui tutti i suoi discendenti. Egli condusse con sé in Egitto i suoi figli e i nipoti, le sue figlie e le nipoti, tutti i suoi discendenti.

Egli aveva mandato Giuda davanti a sé da Giuseppe, perché questi desse istruzioni in Gosen prima del suo arrivo. Arrivarono quindi alla terra di Gosen. Allora Giuseppe fece attaccare il suo carro e salì incontro a Israele, suo padre, in Gosen. Appena se lo vide davanti, gli si gettò al collo e pianse a lungo, stretto al suo collo. Israele disse a Giuseppe: «Posso anche morire, questa volta, dopo aver visto la tua faccia, perché sei ancora vivo».

Fa splendere il tuo volto, Signore, e saremo salvi

Israele è il nome che Dio aveva dato a Giacobbe dopo la “lotta” con l’angelo (Gn 32). Il Signore si rivela a Israele per esortarlo lasciare la terra di Canaan e andare in Egitto. È l’inizio di un cammino di andata e di ritorno condotto sotto la guida di Dio che non abbandona il suo popolo. Non è un cambio di programma e la promessa di abitare la terra di Canaan, fatta ad Abramo, non è venuta meno. Israele deve fidarsi di Dio anche se questo costa delle rinunce e comporta situazioni scomode. Il cammino ha come approdo l’incontro di Israele con Giuseppe, suo figlio, colui che credeva morto e che invece era vivo. Il vecchio Israele e il nuovo Israele si abbracciano intensamente. Giuseppe, maturato umanamente attraverso tante prove, custodisce il cuore da bambino che si getta al collo del padre per baciarlo. Le parole dell’anziano Giacobbe riecheggiano in quelle di Simeone quando incontra Gesù nel Tempio (Lc 2). Nel figlio Giuseppe il padre Israele contempla l’opera di Dio alla cui luce possono camminare tutti i popoli. Israele si dichiara in pace perché finalmente vede il volto del figlio. Nel volto di Gesù risplende il volto del Padre che vuole irradiare quello di tutti gli uomini per liberarli dalle tenebre del peccato e renderli luminosi nel bene.

+ Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 10,16-23)

Non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro.

In quel tempo, disse Gesù ai suoi apostoli:

«Ecco: io vi mando come pecore in mezzo a lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe.

Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. Ma, quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi.

Il fratello farà morire il fratello e il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato.

Quando sarete perseguitati in una città, fuggite in un’altra; in verità io vi dico: non avrete finito di percorrere le città d’Israele, prima che venga il Figlio dell’uomo».

La missione del cristiano, umanizzare il mondo

Gesù sembra anticipare la reazione dei suoi discepoli davanti alle forti resistenze incontrate nella loro missione fin dagli inizi e che la fa apparire agli occhi degli apostoli come impossibile. Eppure, il Vangelo altro non è che la pace in mezzo alla guerra e non può essere portato se non da cristiani che hanno la consapevolezza di essere come pecore in mezzo ai lupi. Basta leggere le cronache quotidiane per renderci conto che viviamo in un mondo di lupi nel quale da sempre, come testimoniano le prime pagine della Bibbia, violenze e contese sono all’ordine del giorno. La logica egoistica dell’interesse personale e l’avidità giungono fino al punto di sovvertire le norme morali di base che regolano il vivere civile nella famiglia e nella comunità sociale. Le parole di Gesù risuonano non come un avvertimento, ma come l’affidamento della missione di umanizzare il mondo in cui si vive. Tuttavia, la mitezza, che caratterizza l’immagine della pecora, non significa ingenuità; ecco perché Gesù specifica che la semplicità, tipica della colomba, deve coniugarsi con l’astuzia e la prudenza proprie del serpente. Da una parte il cristiano raccoglie la sfida che gli lancia il mondo con la serenità che gli viene dalla certezza di essere dalla parte giusta, cioè dalla parte di Dio che parla non per accusare, condannare e dare la morte, ma, al contrario, per sanare, correggere, convertire e dare la vita. Dall’altra non si pone in atteggiamento di sfida contro l’avversario, ma fuggendo il male si mette al riparo dalla tentazione dell’arroganza e della temerarietà nella quale il demonio vorrebbe farlo cadere. Perseverare significa rimanere fedele al progetto di vita che Gesù propone di attuare insieme con lui. I social media hanno sostituito i tribunali nei quali il cristiano, più che dire il suo pensiero, è chiamato a far parlare lo Spirito Santo attraverso parole semplici e prudenti corroborate da azioni ispirate dalla carità fraterna. 

Signore Gesù, Tu sei il modello di uomo al quale ispirare le proprie scelte di vita in un mondo nel quale prevale la logica del possesso e della competizione. Sei in mezzo a noi un segno di contraddizione e la tua croce è un fastidioso richiamo al valore della riconciliazione al cui impegno deve essere consacrato ogni sforzo. Rendimi strumento della tua pace, testimone credibile della verità dell’uomo che non può essere veramente felice se non mediante l’esercizio della carità.