Saper perdere per imparare a gioire – Martedì della VIII settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)
Martedì della VIII settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)
Sir 35,1-15 Sal 49
Concedi, o Signore, che il corso degli eventi nel mondo
si svolga secondo la tua volontà di pace
e la Chiesa si dedichi con gioiosa fiducia al tuo servizio.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.
Dal libro del Siràcide Sir 35,1-15
Chi adempie i comandamenti offre un sacrificio che salva.
Chi osserva la legge vale quanto molte offerte;
chi adempie i comandamenti offre un sacrificio che salva.
Chi ricambia un favore offre fior di farina,
chi pratica l’elemosina fa sacrifici di lode.
Cosa gradita al Signore è tenersi lontano dalla malvagità,
sacrificio di espiazione è tenersi lontano dall’ingiustizia.
Non presentarti a mani vuote davanti al Signore,
perché tutto questo è comandato.
L’offerta del giusto arricchisce l’altare,
il suo profumo sale davanti all’Altissimo.
Il sacrificio dell’uomo giusto è gradito,
il suo ricordo non sarà dimenticato.
Glorifica il Signore con occhio contento,
non essere avaro nelle primizie delle tue mani.
In ogni offerta mostra lieto il tuo volto,
con gioia consacra la tua decima.
Da’ all’Altissimo secondo il dono da lui ricevuto,
e con occhio contento, secondo la tua possibilità,
perché il Signore è uno che ripaga
e ti restituirà sette volte tanto.
Non corromperlo con doni, perché non li accetterà,
e non confidare in un sacrificio ingiusto,
perché il Signore è giudice
e per lui non c’è preferenza di persone.
La vita progredisce sulle due gambe del culto e della carità
Ben Sira, autore dell’omonimo libro biblico, espone la ricchezza della tradizione sapienziale d’Israele che mette in dialogo il culto, con le sue forme rituali, e la pratica dei comandamenti. Nella vita del credente sapiente liturgia e morale si illuminano vicendevolmente. L’uomo saggio esprime nella carità fraterna, soprattutto nei confronti dei più deboli, la forma più completa del culto a Dio. Chi fa il bene e si astiene dall’operare il male è gradito a Dio perché si presenta a lui con il cuore pieno di gratitudine. La riconoscenza nei confronti del Signore predispone alla bontà e al rispetto nei riguardi degli altri. La giustizia e la carità innescano un circolo virtuoso nel quale fluisce la benedizione di Dio che si irradia in un raggio di azione sempre più ampio.
+ Dal Vangelo secondo Marco Mc 10,28-31
Riceverete in questo tempo cento volte tanto insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà.
In quel tempo, Pietro prese a dire a Gesù: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito».
Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà. Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi saranno primi».
Saper perdere per imparare a gioire
Un tale era andato da Gesù per chiedere consiglio su cosa fare per ereditare la vita eterna. Era già sulla buona strada dell’osservanza dei comandamenti e Gesù gli propone di vendere tutto per darlo ai poveri e poi seguirlo. Quell’uomo si era voltato indietro ed era andato via triste perché non voleva lasciare i suoi molti beni. L’attaccamento alle ricchezze è grande ostacolo alla salvezza, ovvero al godimento della vera gioia. Il possesso dei beni, e il piacere che esso procura, ci educano a pensare che anche la salvezza sia un bene da conquistare e possedere per provare il grado più alto del piacere. In realtà ci autocondanniamo ad una tristezza senza consolazione. Pietro, a nome anche degli altri discepoli, esterna il suo pensiero secondo il quale la loro scelta di lasciare tutto sia il prezzo da pagare per ottenere quello che si vuole. L’apostolo si confronta con l’uomo che aveva rifiutato l’invito di Gesù pur di non perdere le proprie ricchezze; lui invece, come anche gli altri apostoli, hanno lasciato tutto per seguirlo. Non importa tanto quanto si lascia alle spalle e ciò a cui si rinuncia, ma conta per chi e per cosa lo si fa. L’amore per Gesù cresce nella misura dello spazio che liberiamo per lui nel nostro cuore. Farsi poveri non significa ridursi in miseria ma creare lo spazio della libertà dalle cose da gestire, e che alla fine ci gestiscono, per lasciarci abitare da un amore cento volte più gratificante del piacere che potrebbero darci i beni di questo mondo. Chi allenta la presa sulle cose e sulle persone, chi rinuncia alla pretesa di avere il controllo su tutto, chi non segue l’istinto dell’avidità e della cupidigia, chi si libera dalle ansie della prestazione, si regala la gioia di scoprire sempre cose nuove, l’entusiasmo nel creare relazioni di amicizia, gode la bellezza della comunione e della condivisione, riesce a vedere il bello ovunque e anche quando le sorti sono avverse sa adattarsi per non perdere la fiducia e la speranza.
Signore Gesù, che ti sei fatto povero per arricchirci, aiutami a liberarmi dalla logica commerciale che ricerca l’utile, dalla paura della mancanza e dalla pretesa di autonomia che mi fa vivere facendo a meno degli altri e del loro aiuto. Insegnami a non confidare nei beni da possedere ma ad avere fiducia di Dio e dei fratelli. Facendo spazio nel cuore, affollato e ingolfato dalle preoccupazioni mondane, alimenta in me la speranza della vita eterna perché il mio servizio ai fratelli nel mondo sia sempre più profumato di gratuità e di amore.