Credere è fare le opere di Dio – Lunedì della III settimana di Pasqua

Credere è fare le opere di Dio – Lunedì della III settimana di Pasqua

23 Aprile 2023 0 Di Pasquale Giordano

Lunedì della III settimana di Pasqua

At 6,8-15   Sal 118  


Dio onnipotente,

fa’ che, spogliati dell’uomo vecchio con le sue passioni ingannevoli,

viviamo come veri discepoli di Cristo,

al quale ci hai resi conformi con i sacramenti pasquali.

Egli è Dio, e vive e regna con te,

nell’unità dello Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli.


Dagli Atti degli Apostoli (At 6, 8-15)

In quei giorni, Stefano, pieno di grazia e di potenza, faceva grandi prodigi e segni tra il popolo.

Allora alcuni della sinagoga detta dei Liberti, dei Cirenèi, degli Alessandrini e di quelli della Cilìcia e dell’Asia, si alzarono a discutere con Stefano, ma non riuscivano a resistere alla sapienza e allo Spirito con cui egli parlava.

Allora istigarono alcuni perché dicessero: «Lo abbiamo udito pronunciare parole blasfeme contro Mosè e contro Dio». E così sollevarono il popolo, gli anziani e gli scribi, gli piombarono addosso, lo catturarono e lo condussero davanti al sinedrio.

Presentarono quindi falsi testimoni, che dissero: «Costui non fa che parlare contro questo luogo santo e contro la Legge. Lo abbiamo infatti udito dichiarare che Gesù, questo Nazareno, distruggerà questo luogo e sovvertirà le usanze che Mosè ci ha tramandato».

E tutti quelli che sedevano nel sinedrio, fissando gli occhi su di lui, videro il suo volto come quello di un angelo.

Iniziare a servire, iniziare a soffrire

Stefano, scelto tra coloro che dovevano occuparsi del servizio alla mensa per le vedove appartenenti alla comunità di lingua greca, è descritto nell’atto di compiere prodigi e segni in virtù del dono dello Spirito Santo. Il servizio di Stefano, proprio perché mosso dallo Spirito Santo, viene colto con stupore. Tuttavia, come Gesù, anche Stefano si attira le critiche di chi lo accusa di essere un pericolo per gli equilibri che vigevano tra le varie anime della comunità ebraica. Viene montato un caso per “smontare” la figura di Stefano, il quale con sapienza e pazienza sapeva controbattere alle accuse faziose e ingiuste. Inizia per Stefano la persecuzione fatta di calunnie, congiure con falsi testimoni. Nella vicenda di Stefano trovano senso le parole del libro del Siracide: “Figlio, quando ti accingi a servire il Signore, preparati alla tentazione” (Sir 2,1). L’autore del libro degli Atti vuole sottolineare come nella vicenda di Stefano si ripropone quella drammatica della passione di Gesù. Mentre è al cospetto del Sinedrio i suoi membri riconoscono nella persona di Stefano un messaggero di Dio e tuttavia non esitano ad eliminarlo. Dalle false accuse mosse a Stefano si deduce che il punto di contrasto è la tradizione dei padri messa in discussione. In realtà Stefano con i gesti di carità pone al centro della questione non le norme, i riti, il tempio, ma la persona fragile e povera. Chi nelle tradizioni popolari trova la sua forma di realizzazione mettendo in secondo piano il valore delle relazioni personali per difendere i propri interessi e le posizioni di autorità acquisite, osteggia qualsiasi forma di riforma che rimetta al centro la persona. Tuttavia nessuno può fermare il processo di conversione e purificazione che Dio ha posto in essere con la pasqua di Cristo.

+ Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 6,22-29)

Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna.

Il giorno dopo, la folla, rimasta dall’altra parte del mare, vide che c’era soltanto una barca e che Gesù non era salito con i suoi discepoli sulla barca, ma i suoi discepoli erano partiti da soli. Altre barche erano giunte da Tiberìade, vicino al luogo dove avevano mangiato il pane, dopo che il Signore aveva reso grazie.

Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».

Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo».

Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».

Il giorno dopo l’evento nel quale Gesù aveva sfamato tanta gente, la folla si raduna di nuovo nello stesso luogo, sperando di trovare Gesù. Quando vede che però non c’è si mette sulle sue tracce e percorre la stessa rotta che avevano preso i discepoli la sera prima. L’evangelista sottolinea lo spirito d’osservazione della folla e la sua intraprendenza. Il verbo vedere sta per osservare e rendersi conto. Ciò che osservano, e le conclusioni a cui arriva, indirizza la folla verso Cafarnao dove effettivamente trova Gesù. L’atteggiamento della folla conferma il detto che se uno vuole una cosa trova il modo per ottenerla, mentre se non la vuole trova una scusa. La folla sembra voler incontrare Gesù, per questo lo cerca. Ma Gesù svela ciò che c’è nel cuore della gente e cosa la spinge a cercarlo. Essi che sono stati così arguti nell’intuire dove si trovasse Gesù e si sono messi sulle sue tracce, non sono stati altrettanto intelligenti a cogliere il significato dell’evento dei pani fermandosi al fatto di essere stati saziati. Gesù sembra dire che la gente lo cerca solo perché crede che lui possa risolvere i loro problemi. Non basta essere intelligenti e intuitivi per avere successo nella vita. Saremmo come quelli a cui basta una lettura ad un testo o ascoltare una lezione per capire subito, apprendere con facilità i concetti. Con Gesù non funziona nello stesso modo, perché non si tratta d’imparare una lezione, ma d’imparare a vivere, apprendere l’arte dell’amore. Gesù riconosce lo spirito d’iniziativa della gente. Tuttavia, la esorta a spingere la forza della volontà nella direzione non dell’appagamento ma del servizio. Il vero obbiettivo raggiunto il quale la vita può dirsi riuscita Gesù lo indica nel cibo che dura per la vita eterna, che è Dio. Nel segno del pane che sazia si rivela Dio che offre suo Figlio per donarci la vera pace, la pienezza dei doni. Quello che il Signore ci da, non deve rimanere a noi, altrimenti quel dono non dura, ma svanisce. Ciò che il Signore mi dà io sono chiamato a condividerlo nel servizio. Si tratta d’imparare da lui. Egli ha preso nelle sue mani i pani e i pesci, benedicendoli li ha offerti al Padre, e poi li ha distribuiti. Così, fare l’opera di Dio significa imitarlo. In tal modo l’atto del credere non deve fermarsi ad una attività mentale o ad una semplice declamazione del simbolo della fede, ma deve tradursi in oblazione a Dio con la preghiera e servizio d’amore nella condivisione fraterna.


Signore Gesù, che ti fai trovare da chi ti cerca con cuore puro, aiutami ad usare i doni che mi hai dato per fare la volontà del Padre. Indicami la direzione giusta della vita perché la mia volontà sia orientata non tanto ad appagare me stesso ma a saziare chi ha fame di amore. Donami l’intelligenza del cuore perché, al di là delle preoccupazioni dei problemi da risolvere e dei nodi da sciogliere, possa occuparmi della mia vocazione, del modo con il quale mettere a servizio dei fratelli la mia vita.