Questi fantasmi! – Venerdì della IV settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)
Venerdì della IV settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)
Dalla lettera agli Ebrei Eb 13,1-8
Gesù Cristo è lo stesso ieri e oggi e per sempre.
Fratelli, l’amore fraterno resti saldo. Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli. Ricordatevi dei carcerati, come se foste loro compagni di carcere, e di quelli che sono maltrattati, perché anche voi avete un corpo. Il matrimonio sia rispettato da tutti e il letto nuziale sia senza macchia. I fornicatori e gli adùlteri saranno giudicati da Dio.
La vostra condotta sia senza avarizia; accontentatevi di quello che avete, perché Dio stesso ha detto: «Non ti lascerò e non ti abbandonerò». Così possiamo dire con fiducia:
«Il Signore è il mio aiuto, non avrò paura.
Che cosa può farmi l’uomo?».
Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunciato la parola di Dio. Considerando attentamente l’esito finale della loro vita, imitatene la fede.
Gesù Cristo è lo stesso ieri e oggi e per sempre!
Amore eterno
Nelle esortazioni finali della lettera vengono offerte delle indicazioni pratiche su come vivere la propria fede in Gesù Cristo ed esercitare con lui il sacerdozio battesimale. La carità fraterna è il primo modo di vivere e annunciare la parola di Dio, come hanno mostrato i capi con la loro condotta di vita, in alcuni casi, fino al martirio. L’ospitalità, la solidarietà con i sofferenti, il rispetto del proprio e dell’altrui corpo, la generosità nella condivisione sono occasioni nelle quali partecipare della stessa carità di Cristo il cui amore è garantito, ieri, oggi e sempre. Lui è il fondamento incrollabile della nostra fede e la sorgente inesauribile della nostra carità.
+ Dal Vangelo secondo Marco (Mc 6,14-29)
Quel Giovanni che io ho fatto decapitare, è risorto.
In quel tempo, il re Erode sentì parlare di Gesù, perché il suo nome era diventato famoso. Si diceva: «Giovanni il Battista è risorto dai morti e per questo ha il potere di fare prodigi». Altri invece dicevano: «È Elìa». Altri ancora dicevano: «È un profeta, come uno dei profeti». Ma Erode, al sentirne parlare, diceva: «Quel Giovanni che io ho fatto decapitare, è risorto!».
Proprio Erode, infatti, aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, perché l’aveva sposata. Giovanni infatti diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello». Per questo Erodìade lo odiava e voleva farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri.
Venne però il giorno propizio, quando Erode, per il suo compleanno, fece un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell’esercito e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla fanciulla: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». E le giurò più volte: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». Ella uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». E subito, entrata di corsa dal re, fece la richiesta, dicendo: «Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali non volle opporle un rifiuto.
E subito il re mandò una guardia e ordinò che gli fosse portata la testa di Giovanni. La guardia andò, lo decapitò in prigione e ne portò la testa su un vassoio, la diede alla fanciulla e la fanciulla la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro.
Questi fantasmi!
I prodigi compiuti da Gesù gli fanno guadagnare una fama tale che non si ferma tra il popolo ma raggiunge anche i palazzi del potere. Si moltiplicano le interpretazioni sulla identità reale del Nazareno ed Erode è convinto che lo spirito del Battista si sia incarnato in qualche modo in Gesù. Giovanni Battista incalza più da morto che da vivo. È il senso di colpa che grida dal fondo della sua coscienza che fa parlare Erode in quel modo. La coscienza è come la sala di regia. Da essa dipende la gestione delle nostre scelte. Spetta a noi decidere a chi affidare il comando della nostra coscienza, alla paura o alla fiducia. Erode è ossessionato da ciò che è avvenuto nel giorno in cui prima di farla perdere a Giovanni l’ha perduta lui la testa lasciandosi prendere dall’orgoglio prima e poi dalla paura. Può capitare a noi ciò che è accaduto ad Erode. La vicenda rivela che nessuno è il male assoluto e che in ciascuno, accanto alla tendenza al male c’è anche quella verso il bene. Erode, benché fosse oggetto di duri attacchi da parte del Battista a causa della sua condotta morale peccaminosa, faceva di tutto per proteggerlo dalle intenzioni omicide di sua moglie e lo ascoltava. Quello che Erode pensava fosse il suo punto di forza si rivela invece il suo punto debole. Egli che voleva difendere Giovanni non riesce a proteggere sé stesso. La troppa sicurezza di sé lo porta ad essere maggiormente vulnerabile e ricattabile. Ed è quello che accade nel giorno in cui pur di non perdere la faccia acconsente a far perdere la vita ad innocente. Il vero dramma è l’essere giudici implacabili di noi stessi. La coscienza guidata dalla paura ci condanna al rimorso. La mente si popola di fantasmi quanti sono i sensi di colpa che si moltiplicano facendo della vita un inferno insopportabile. Eppure una soluzione c’è: convertirsi alla misericordia. I discepoli di Giovanni diedero una sepoltura al suo corpo. Avere misericordia verso sé stessi significa affidare alla terra le proprie miserie, mettersi a nudo per lasciarsi riconciliare. In fondo il perdono è il dono più bello che ci può essere fatto nella vita. Questa è la verità che il cuore di ciascuno cerca ma che quello di Erode ha lasciato cadere nel vuoto.
Signore Gesù, tocca e sana la mia coscienza liberandola dalla morsa della paura. Tu che sei l’amen di Dio aiutami a resistere ad ogni forma di orgoglio che mi induce a vivere come se tu non ci fossi e non mi amassi. La tua Parola apra ferite profonde nella mia presunzione di autosufficienza, metta in discussione i miei ambiziosi progetti egolatrici, riporti sul terreno del realismo le mie idee campate in aria. Il mio cuore possa rallegrarsi nel sentire la tua voce e la mia sia la testimonianza gioiosa di chi annuncia non il ritorno di un morto ma la presenza viva di te, Crocifisso Risorto.