Umiltà e umanità sono i fiori più belli della fede – Lunedì della XXIV settimana del Tempo Ordinario
Lunedì della XXIV settimana del Tempo Ordinario – San Giovanni Crisostomo
1Cor 11,17-26.33 Sal 39
+ Dal Vangelo secondo Luca Lc 7,1-10
Neanche in Israele ho trovato una fede così grande.
In quel tempo, Gesù, quando ebbe terminato di rivolgere tutte le sue parole al popolo che stava in ascolto, entrò in Cafàrnao.
Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l’aveva molto caro. Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo. Costoro, giunti da Gesù, lo supplicavano con insistenza: «Egli merita che tu gli conceda quello che chiede – dicevano –, perché ama il nostro popolo ed è stato lui a costruirci la sinagoga».
Gesù si incamminò con loro. Non era ormai molto distante dalla casa, quando il centurione mandò alcuni amici a dirgli: «Signore, non disturbarti! Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo io stesso non mi sono ritenuto degno di venire da te; ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito. Anch’io infatti sono nella condizione di subalterno e ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa».
All’udire questo, Gesù lo ammirò e, volgendosi alla folla che lo seguiva, disse: «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!». E gli inviati, quando tornarono a casa, trovarono il servo guarito.
Umiltà e umanità sono i fiori più belli della fede
In cosa consiste la fede di questo soldato romano lodata da Gesù? lo si evince innanzitutto dall’umanità con la quale tratta il suo servo che è malato gravemente. Quest’uomo è un sottomesso al potere romano e lui stesso ha dei servi che stanno alle sue dipendenze. Egli vive la sua autorità dando dei comandi che vengono eseguiti dai servi verso i quali si rapporta non come un funzionario ma come fratello. Il suo atteggiamento ci insegna a non trincerarci dietro una funzione per esercitare un potere oppressivo ma ad interpretare la propria autorità come una missione con la quale ci si prende cura degli altri perché li si ha a cuore! La seconda caratteristica della fede del centurione è l’umiltà che mitiga il senso di onnipotenza nel cui delirio si può cadere se si usa l’autorità per accrescere il proprio potere piuttosto per far crescere gli altri. L’umiltà si esprime innanzitutto nel rinunciare a far valere la propria autorità e a parlare in prima persona e poi anche nell’usare il canale della mediazione. La fede mal si coniuga con l’autoreferenzialità ma si concilia benissimo con il coinvolgimento delle altre persone. Umile è colui che chiede aiuto e si fa aiutare nel farlo. La pretesa è il contrario dell’umiltà. E infatti il centurione fa un atto di umiltà, quando si professa indegno nell’accogliere Gesù a casa sua, a cui segue una esplicita professione di fede nella potenza della sua parola. Credere significa essere certi che la parola di Dio è efficace anche quando non se ne vedono i segni. La fede non nasce dai segni, ma è la condizione perché essi si realizzino e che siano riconosciuti. Il vero miracolo è quello che si compie già nell’atto di fede quando si inverte la logica del vedere per credere e diventa credo, perciò vedo. La guarigione del servo rivela che la salvezza operata da Gesù non è il prodotto dei meriti ma è la verità che precede il nostro atto di fede e ne è anche l’oggetto. Credere significa avere la certezza che Dio mi ama a prescindere dai miei meriti come lo è anche l’efficacia della sua parola.
Signore Gesù, donami l’umiltà che lo Spirito Santo ha messo nel cuore del centurione e accresci in me la fede perché non sia vincolata a desideri e speranze mondane ma sia radicata nella salvezza che tu operi a vantaggio degli uomini a prescindere dai loro meriti. Fammi dono della fede perché mi preservi dalla deriva dell’autoreferenzialità e dalla tentazione di esercitare l’autorità con arroganza e per fini personali. L’umiltà mi faccia progredire nell’umanità con la quale testimoniare la fede nelle quotidiane occasioni che mi sono offerte per amare il prossimo come me stesso, per prendermi cura degli altri come ognuno fa con il proprio corpo.