Le giuste distanze – Giovedì della II settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)
Giovedì della II settimana del Tempo Ordinario (Anno pari)
1Sam 18,6-9; 19,1-7 Sal 55
+ Dal Vangelo secondo Marco Mc 3,7-12
Gli spiriti impuri gridavano: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma egli imponeva loro severamente di non svelare chi egli fosse.
In quel tempo, Gesù, con i suoi discepoli si ritirò presso il mare e lo seguì molta folla dalla Galilea. Dalla Giudea e da Gerusalemme, dall’Idumea e da oltre il Giordano e dalle parti di Tiro e Sidòne, una grande folla, sentendo quanto faceva, andò da lui.
Allora egli disse ai suoi discepoli di tenergli pronta una barca, a causa della folla, perché non lo schiacciassero. Infatti aveva guarito molti, cosicché quanti avevano qualche male si gettavano su di lui per toccarlo.
Gli spiriti impuri, quando lo vedevano, cadevano ai suoi piedi e gridavano: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma egli imponeva loro severamente di non svelare chi egli fosse.
Le giuste distanze
Man mano che la fama di Gesù cresce e valica i confini d’Israele aumenta il numero delle persone che si avvicinano a lui e anche il peso della responsabilità. Marco dice chiaramente che la fatica nella gestione della folla è tale che Gesù da solo non ce la fa e rischia di essere letteralmente schiacciato. Per quanto abbia un potere straordinario nel guarire tutti egli deve fare i conti con la sua umanità che, come quella di ogni persona, è segnata da limiti. Questo tratto della personalità di Gesù lo rende molto più vicino a noi che sperimentiamo quotidianamente quanto è fragile e precario il nostro equilibrio psicofisico. Immergersi nelle vicende umane porta con sé il rischio di essere travolto dalle istanze della gente. Si richiede allora la prudenza di prendere le giuste distanze, non per fuggire dalle responsabilità, ma per esercitarla in maniera più efficace. La richiesta di Gesù di riservagli una barca per poter continuare il suo servizio senza essere schiacciato dalla folla, ci ricorda che qualsiasi sia il nostro impegno lo dobbiamo commisurare sulle nostre forze senza eroismi che invece possono nascondere la presunzione di non condividere con altri i meriti di un’impresa. La barca è il simbolo della comunità ecclesiale, delle relazioni fraterne nella Chiesa. Il successo, la notorietà e il fatto di essere cercati, pur nascendo dal bene che si compie, possono indurci alla sindrome dell’eroe solitario che tende a distinguersi dalla massa arrivando a vantarsi o a godere nel sentirsi diverso dagli altri. Il maestro, chiedendo aiuto e uno spazio nella barca, insegna che quanto più il discepolo sente il peso della responsabilità tanto più deve coltivare relazioni fraterne nelle quali condividere responsabilità, successo e difficoltà con gli altri. La barca rappresenta anche la mia vita nella quale fare spazio a Gesù che chiede ospitalità. Tra i mille impegni da assolvere e le tante richieste da accogliere è necessario trovare uno spazio e un tempo nel quale entrare in maggiore intimità col Signore. La preghiera salva dallo stress e dall’ansia della prestazione che a volte ci assale e ci travolge come una valanga. La dura e decisa reazione di Gesù davanti alle esclamazioni dei demoni deve indurci a non cedere alla tentazione delle adulazioni. Sentirsi «adorati» da qualcuno ci fa piacere ma bisogna ricordare, innanzitutto a sé stessi, che l’adorazione è una prerogativa di Dio e che noi, come Gesù, non agiamo per essere riconosciuti grandi ma per far crescere coloro che il Signore affida alle nostre cure.
Signore Gesù, tu che hai chiesto ospitalità in una barca per sfuggire al pericolo di soccombere sotto il peso della folla, fammi avvertire ancora più intensamente il desiderio di rifugiarmi in te quando sento che le mie forze sono impari rispetto alle pressanti istanze della gente. Insegnami a riconoscere e respingere i pensieri impuri che, sotto mentite spoglie di zelo apostolico, nascondono segrete ambizioni che alimentano l’orgoglio e la presunzione. Donami l’umiltà di stare con i fratelli perché il mio ego non stoni ma il mio servizio si accordi con quello degli altri sicché il ministero non sia la fatica di eroe solitario ma risuoni come una sinfonia della comunione nella corresponsabilità.