Quando piangere è un esercizio di compassione – Giovedì della XXXIII settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)
Giovedì della XXXIII settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)
1Mac 2,15-29 Sal 49
+ Dal Vangelo secondo Luca Lc 19,41-44
Se avessi compreso quello che porta alla pace!
In quel tempo, Gesù, quando fu vicino a Gerusalemme, alla vista della città pianse su di essa dicendo:
«Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi.
Per te verranno giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno di trincee, ti assedieranno e ti stringeranno da ogni parte; distruggeranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata».
Quando piangere è un esercizio di compassione
La vicenda del cieco di Gerico e di Zaccheo insegna che chi lo cerca con umiltà e lo accoglie con gioia viene salvato, rinasce a nuova vita. Al contrario, Gerusalemme, la città posta in alto sul monte Sion, riserva a Gesù un trattamento ingiusto. Ai suoi occhi appare chiaramente la sua altezzosa bellezza che però nasconde l’orgogliosa autoreferenzialità quasi a volersi difendere da Dio. Lo sguardo di Gesù è quello dello sposo che però non si compiace della bellezza della sua sposa, ma piange la sua malattia che l’ha deformata e la sta portando alla morte. Gesù fa un lamento funebre. Gli occhi di Gerusalemme sono spenti come quelli di chi non è più cosciente. Nel pianto di Gesù è raccontato tutto il dolore dell’Amore non amato, dell’aiuto rifiutato, della pace combattuta, della giustizia umiliata. Gerusalemme diventa il simbolo di coloro che sono refrattari agli inviti del Signore a convertirsi e a lasciarsi guarire e continuano a nascondersi dietro la maschera del perbenismo e del culto esteriore a cui non corrisponde l’adorazione del cuore. Gerusalemme senza il Santo in mezzo a lei è non è più città santa ma maledetta, come un corpo senza anima diventa un cadavere che si corrompe.
Il lamento di Gesù è eco del pianto di Dio che, come una madre, non si dà pace per la perdita dei suoi figli. Le lacrime di Dio sono amare come la rabbia ma esse hanno la forza di scavare e liberare anche i cuori più induriti. L’amore di Dio scende su di noi come rugiada che ristora e similmente le lacrime sono versate per smuovere la nostra presunzione e ammorbidire le nostre grette rigidità. Picconiamo il nostro orgoglio perché non diventi la pietra tombale sulla speranza alla quale Dio ci chiama e raccogliamo lacrime di Dio perché esse scavino in noi canali di grazia.
Oggi, la visione del pianto di Gesù ci porti a stargli vicino e a consolarlo, come faremmo con una persona il cui dolore ci commuove perché ci coinvolge. Compatire il dolore di Dio ci aiuterà a sentire vero dolore per i nostri peccati, per le ferite che provocano le nostre parole e la superficialità con la quale capita di trattare quelli che ci stanno vicini. Usare tenerezza nei confronti di Gesù ci permetterà di superare il senso di fastidio o la rabbia che suscitano gli atteggiamenti degli altri.
Signore Gesù, nelle tue lacrime si riflette il mio peccato e riconosco quanto distante io sia dal tuo modo di amare ma anche quanto vicino è il tuo cuore al mio. Il tuo sguardo di compassione susciti in me la contrizione del cuore e il dolore del mio peccato. Aiutami a piangere per liberarmi, con le lacrime che consegno nelle tue mani, delle mie frustrazioni e dei sensi di colpa. Esse purifichino il mio sguardo da ogni forma di arrogante autoreferenzialità per accogliere, da povero, il dono della pace che mi offri. Le lacrime del tuo dolore, come un fiume in piena, abbattano le mie resistenze opposte con atteggiamenti ipocriti e di fede falsa. Donami la forza di sfuggire all’assedio della tentazione e l’umile confidenza di gettarmi nelle tue braccia di misericordia.