Servi dei fratelli esperti di umanità – XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)
XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)
Sap 2,12.17-20 Sal 53 Giac 3,16-4,3
+ Dal Vangelo secondo Marco (Mc 9,30-37)
Il Figlio dell’uomo viene consegnato… Se uno vuole essere il primo, sia il servitore di tutti.
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».
Servi dei fratelli esperti di umanità
Nel racconto di Marco a Cesarea di Filippo avviene una svolta nella missione di Gesù perché cambia il contenuto del suo insegnamento che si concentra su ciò che sarebbe accaduto a Gerusalemme dove il Figlio dell’uomo avrebbe subito l’umiliazione e la morte per poi risorgere il terzo giorno. Questo discorso Gesù lo fa ai Dodici i quali però non colgono il senso delle sue parole. Pietro, che percepisce la portata profetica dell’annuncio, vi si oppone preso dalla paura. Si guadagna da Gesù un severo rimprovero e un forte invito a seguirlo. Se vuole continuare ad essere suo discepolo deve ricollocarsi dietro e non davanti a lui, con la pretesa d’influenzare le sue scelte ispirandosi ad una logica, che è quella di Satana, estranea alla volontà di Dio. Da Cesarea di Filippo, dove nasce il fiume Giordano, alle pendici del Monte Hermon, i discepoli scendono fino a Cafarnao, attraversando la Galilea. Giordano significa «Colui che scende» perché nel suo percorso il fiume scende sotto il livello del mare. Cafarnao si trova sulle sponde del lago di Tiberiade che è già a duecento metri sotto il livello del mare. Esso è alimentato dal fiume Giordano che uscendo dal lago continua la sua corsa fino a raggiungere il mar Morto presso cui sorgeva Gerico, la città situata nel punto più basso della terra, e che è l’ultima tappa del pellegrinaggio prima di salire a Gerusalemme. L’annuncio di Gesù traccia il percorso del pellegrinaggio la cui mappa non disegna solo la geografia del territorio, ma soprattutto quella della vita. Senza che se ne accorgano i discepoli stanno vivendo le medesime situazioni a cui alludeva la parabola del seme. La parola di Gesù trova una forte resistenza in chi ha il cuore indurito dalla logica tipicamente mondana che ricerca il successo e la ricchezza. La Parola di Dio «rimbalza» in un atteggiamento di sfida. Avviene anche che il seme della Parola cada su un terreno sassoso. L’insegnamento di Gesù viene ascoltato, ma non approfondito perché appare fuori della portata della propria comprensione e dei propri progetti. Emerge drammaticamente evidente la distanza che si crea tra il Maestro e i discepoli e la loro difficoltà a vivere la fede come ascolto della Parola di Dio e discernimento della sua volontà. Quanto più egli si avvicina a loro, tanto più essi sembrano chiudersi in un cupo silenzio. Camminare con Gesù e stare con lui significa mettere la sua Parola al centro dei nostri pensieri. Fin quando Egli non è in mezzo a noi, al centro della rete delle nostre relazioni, fulcro e perno delle nostre scelte Gesù rimarrà una sorta di distintivo o, peggio ancora, una divisa dietro cui nascondere i reali interessi sui quali giocare la propria vita. Il silenzio imbarazzato dei discepoli è rotto dalla domanda di Gesù. Si sono invertiti i ruoli. Prima erano i discepoli che chiedevano lumi sul senso della parabola, mentre ora è Gesù che interroga i suoi sull’argomento della loro discussione lungo la strada. La reticenza nei confronti di Gesù cela la diatriba nella quale i discepoli si sono contesi il primato. Facile immaginare come nella discussione si siano creati schieramenti contrapposti, si sia colta l’occasione per togliersi qualche sassolino dal sandalo accusando o colpevolizzando qualcun altro, oppure si siano millantati meriti per accreditarsi agli occhi degli altri e incontrare il loro favore. La lettera di Giacomo chiaramente esprime la logica sottesa alle numerose quanto inutili discussioni che occupano molto del nostro tempo: «Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra? Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male, per soddisfare cioè le vostre passioni». Gesù non stigmatizza tout court il confronto dei discepoli ma, apprezzando il fatto che parlino tra loro, anche con toni accesi, insegna a rimodulare i propri obbiettivi secondo l’ottica di Dio che dona «la sapienza che viene dall’alto», Gesù Cristo. Il Maestro, infatti, si presenta ai suoi discepoli come quell’uomo giusto di cui parla il Libro della Sapienza, la cui fede è scomoda, soprattutto per gli empi, perché contraddice le loro abitudini mentali e comportamentali. La fede non viene proclamata a parole ma confessata con la vita. Nell’evento della Pasqua appare chiaro che Gesù è veramente il Giusto e il primo dei risorti. La risurrezione il terzo giorno è il vertice del cammino esistenziale di Gesù e dei suoi discepoli. L’approdo alla risurrezione passa attraverso un itinerario di discesa, più faticosa della salita. Farsi piccolo è più difficile che farsi grande. Il giusto incarna la sapienza di Dio che è «è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera». Gesù si identifica con il bambino perché nella sua «inutilità», vulnerabilità, innocenza, semplicità, mitezza si lascia abbracciare e trova rifugio nell’abbraccio. Solo assumendo Gesù, che si è fatto piccolo, indifeso e inutile come un bambino, quale modello di vita e la sua parola come cuore pulsante delle nostre scelte, permettiamo a Dio di farci crescere umanamente e maturare nella santità. L’abbraccio del bambino rivela quello del Padre nei confronti di suo figlio Gesù sulla croce. Egli è veramente figlio perché si abbandona fiducioso in questo abbraccio, sicuro di essere liberato dalla stretta della morte per diventare il primogenito dei suoi fratelli nella fede. Farsi piccoli significa diventare docili come i bambini che si lasciano abbracciare, avvolgere dall’amore e sollevare alle altezze della vita eterna. Diventare grandi vuol dire essere responsabili della vita altrui, come fa il Padre con il Figlio, ed accoglienti come fa il Figlio nei confronti del Padre.
Signore Gesù, Sapienza di Dio che viene dall’alto, aiutami a smascherare i pensieri ingannevoli che rendono schiavo il cuore dell’avidità, della gelosia e dell’invidia e che provocano litigi e contese. La tua Parola illumini gli occhi per vedere negli altri non avversari contro i quali competere o nemici che insidiano i miei diritti e macchiano la mia immagine, ma fratelli e sorelle a cui fare dono del mio tempo e delle mie capacità. Il tuo Spirito mi sostenga nel duro cammino di scendere nei bassifondi della mia umanità e accogliere il bambino che è in me, e con lui, il mio e l’altrui bisogno di essere amato gratuitamente. Insegnami a servire l’uomo con umanità e, in tal modo, a salire i gradini della santità che conducono non ad un trono solitario ma ad una comunità in festa che è la comunione dei santi.